Nuovo Dpcm coronavirus. Verso lo stop di ristoranti e bar alle 20 per legge
Quando esce il prossimo Dpcm anti coronavirus che manderà in soffitta il nuovo Dpcm del 18 ottobre (che aveva ammazzato il precedente del 13 ottobre)?
Probabilmente già da domenica 25 ottobre e quindi avremo il triste primato di 3 Dpcm, tutti nuovi, in appena 12 giorni. Un record che purtroppo insegue il record di contagi, ricoveri e ordinanze regionali che specificano, restringono, limitano le libertà.
“Se non proteggiamo la salute non possiamo proteggere l’economia”, è l’assunto del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Che dovrà firmare questo terzo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per cercare di invertire la rotta della curva del Covid.
Sul banco degli imputati delle occasioni di contagio c’è la movida notturna dei bar, baretti, take-away e street food che generano focolai, cluster, impossibili ormai da tracciare.
Quasi nessun accenno alla movida diurna fatta da studenti e padri di famiglia che prendono autobus e metropolitane regolarmente affollate, come se non ci fosse il Covid.
Coprifuoco a partire dalle 20 nel nuovo Dpcm
Tra i pessimisti e i negazionisti che affliggono questo Paese, Conte e la sua squadra è chiamato a trovare una mediazione per evitare che l’Italia si trasformi nuovamente in un lazzaretto. La paura, di tutti gli assennati, è di vedere di nuovo le immagini dei camion militari. Con le bare.
La paura di non farcela muove i comportamenti di tutti: amministrati e amministratori, locali o nazionali non fa differenza.
Gli amministrati, i cittadini, hanno paura delle limitazioni che si tradurrebbero in perdite economiche. Gli amministratori, Governo e Presidenti delle Regioni, hanno paura della perdita del consenso. La sintesi è questa.
Giovani e movida notturna sono diventati i super conduttori del contagio. Poco importa che i ristoranti, le pizzerie e i bar – le attività che interessano questo sito – si siano attrezzati per essere luoghi sicuri.
Sul patibolo delle misure che devono rassicurare la popolazione sono destinati a finirci proprio loro.
La previsione di chiudere tutto con un coprifuoco serale dalle ore 20 – misura fortemente voluta dal PD – li condanna inesorabilmente.
E rendere sostenibile un’attività economica votata al servizio al tavolo con il solo delivery è follia. Anche per noi che l’abbiamo sostenuta ai tempi del primo lockdown. Ma la differenza era che la luce delle riaperture si intravedeva per il 18 maggio. Due mesi contro i 7 mesi che ci separerebbero da data simile nel 2021.
I danni ai ristoranti nel nuovo Dpcm
Il quadro è cambiato. Le cure sono più efficaci, c’è la speranza di un vaccino, ma se dobbiamo riportarci a un dato statistico precedente l’unico che abbiamo è questo. Maggio.
Il coprifuoco alle 20 spezzerebbe le gambe alla ristorazione anche se il Ministro dell’Economia si è affrettato a dire che 4-5 miliardi sarebbero a disposizione delle attività danneggiate dal coprifuoco.
In combinato disposto con il numero degli esercizi commerciali e le stime della Fipe di perdite 1,3 miliardi di € al mese potrebbero già essere insufficienti.
Giuseppe Conte è contrario a una serrata serale alle 20. Vorrebbe posticipare le chiusure della ristorazione alle 22 se non alle 23.
Due – tre ore che farebbero la differenza tra l’abisso e la possibilità di sopravvivere. Uno scoglio cui si stanno aggrappando anche i ristoratori cui non era andata già il limite alle 24. La storia del metro e dell’ora è ormai una costante del settore.
La limitazione alla mobilità tra Regioni e i ristoranti
In Campania è già operativo la limitazione alla mobilità tra province dei cittadini della regione. In pratica, un napoletano non può andare in un locale di Caserta o il contrario. Misura che non è valida per un romano che può circolare liberamente in Campania. Un assurdo dovuto al fatto che una Regione non può blindare i propri confini.
La limitazione alla mobilità rappresenta un punto molto delicato nella trattativa Stato – Regioni. Se approvata darebbe un’ulteriore mazzata ai ristoranti che sono meta di gita nel fine settimana.
Il cliente a chilometro zero è quanto di peggio si possa immaginare per ristoranti e pizzerie le cui tavole valgono la tappa, la deviazione o il viaggio. L’anti guida perfetta, insomma.
Negozi di alimentari, centri commerciali e delivery
Mettere indietro le lancette dell’orologio e ritornare a un quasi lockdown (parola che Conte manco vuole sentire pronunciata) porterebbe a considerare quali sono gli esercizi essenziali che possono restare aperti.
I negozi di alimentari certamente, ma poi c’è il distinguo dei centri commerciali che sono considerati un altro luogo in cui è facile contagiarsi. Resterebbero aperti i supermercati ma non nella parte non alimentare (avete già dimenticato la questione matite e pennarelli?).
E ci sarebbe da rispolverare file e app per rendere possibile la spesa in un clima appunto tra coprifuoco, lockdown e necessità di approvvigionamento.
Il saldo della tavola sarebbe ampiamente negativo poiché la parte della ristorazione non è immediatamente e direttamente assorbito dal consumo diretto.
Resterebbero in piedi probabilmente le attività di consegna a domicilio e di asporto. Una parte della ristorazione che riguarda soprattutto pizza, panini, hamburger, etnico, pasta.
Veramente troppo poco per il settore della ristorazione che fino a un anno fa veniva considerato una voce importante del PIL nazionale agganciato anche a quello del turismo.
Cibo e vino da vettori principali del Made in Italy, questo anno sono diventati vettori del contagio. L’Italia, a quanto pare, non è mai per le misure di mezzo. Che non è la stessa cosa delle mezze misure.
[Immagini: ADNkronos]