Zona gialla: ristoranti e bar chiusi domenica, la beffa è servita
Sei ristoratore, guardi i dati del monitoraggio della settimana precedente della Cabina di Regia, arriva l’ordinanza e la regione è in zona gialla: finalmente. Secondo i calcoli della vigenza delle precedenti ordinanze del Ministero della Salute, domenica ristoranti aperti.
E invece, la beffa: domenica ristoranti chiusi. Si apre lunedì 1 febbraio.
Risultato, ristoratori incavolati di brutto dal nord al sud dell’Italia. O, meglio, in tutte le regioni che da zona arancione sono passati alla zona gialla.
Perché il distinguo è su questa sfumatura. Arancione uguale bar, ristoranti e pizzerie chiusi. Gialla uguale bar, ristoranti e pizzerie aperti. Anche se solo a pranzo o comunque fino alle 18.
Il colorimetro ha preso il posto del barometro e del calendario delle partite di calcio. Prima del Covid-19 la bestemmia più nera per i ristoratori era la malefica combo sabato e temporali. Oppure, sabato e stracittadina di calcio.
Ora serve l’oracolo per capire quando si potrà aprire il ristorante almeno a pranzo. Perché la logica sembra aver abbandonato i lidi della politica e delle ordinanze apri e chiudi.
Da quando è scattata l’operazione semaforo e colori delle zone, il cambiamento di posizione inizia la domenica. Il giovedì arrivano i dati, venerdì c’è il Cts e il “dialogo” con le Regioni, sabato la firma dell’ordinanza.
Il nuovo timing del passaggio in zona gialla
Da questa settimana non più. Si passa in giallo ma dal lunedì. Sarà qualche remoto motivo di affezione alla partenza con numeri e giorni pari. Lunedì 1 febbraio suonerà meglio di domenica 31 gennaio. Tanto il mese è trascorso. E poi non era accaduto qualche mese fa, prima del Decreto Natale che aveva chiuso tutto? I ristoratori si erano preparati per aprire il sabato e invece si aprì la domenica. Stesse incavolature. Solo in Campania riuscirono a fare di meglio nelle more dei giorni gialli che precedevano il Natale del blocco. Il Presidente della Regione De Luca decise che dal 20 al 23 dicembre era meglio tenere chiusi i ristoranti. Peccato che praticamente tutti i locali avevano fatto la spesa per quella boccata di ossigeno.
La storia si è ripetuta sabato 30 gennaio. E ci sono cascati tutti, giornali compresi, annunciano il passaggio di regioni come Lombardia, Emilia Romagna e Lazio in zona gialla. Tradotto sempre in soldoni, via libera al pranzo della domenica a Milano, Bologna e Roma.
E difatti erano partite le prenotazioni che avevano rincuorato chef e pizzaioli.
Zona gialla. Si apre domenica, no lunedì: la beffa
Poi la beffa. Per qualche insondabile ragione, la zona gialla scatta da lunedì 1 febbraio. Beffa servita e pranzo della domenica annullato.
A fare il giro delle pagine facebook dei ristoranti, dei profili personali di chef e pizzaioli, delle interviste rilasciate si legge solo disappunto.
Scelta non comprensibile che fa il paio con la crisi, appunto incomprensibile, del Governo.
“Si tengano le poltrone, ma almeno ci lascino le sedie del ristorante”. È il commento di un ristoratore napoletano in vena di battute che darebbe volentieri fuoco alle scritture delle ordinanze a colori.
“Ne abbiamo viste di tutti i colori, ma ci mancava lo spostamento del semaforo da un incrocio all’altro”, gli fa eco un collega romano.
Restiamo sull’istituzionale e riprendiamo la dichiarazione del Governatore della Regione Lombardia, Attilio Fontana, che di critiche ne ha ricevute a palate. “Un risultato meritato dai lombardi, ma continuo a non capire perché il provvedimento non sia stato reso operativo da domenica”.
Non lo chiedete ai ristoratori. Loro stanno contando i danni delle disdette che in questo gioco capovolto rispetto all’ordinario devono dare ai clienti.
Cosa dicono i ristoratori della zona gialla ritardata
Anzi, diciamolo. Riportando quello che ha scritto Giovanni Favia del ristorante Vamolà di Altedo.
Fino a ieri sera la zona gialla sarebbe partita dal 31 gennaio. Chi è nel settore sa bene che la domenica a pranzo è uno dei “servizi” in cui si incassa di più durante la settimana. Sono tre giorni che trapelano notizie in tal senso mai smentite dal governo e dalle autorità locali.
Cosa abbiamo fatto noi ristoratori per non farci trovare impreparati a questa attesa ripartenza? Abbiamo ordinato d’urgenza quintali di prodotto, messo al lavoro sfogline, tirato a lustro i locali, richiamato con voli charter da Canicattì camerieri e porta piatti e risvegliato dal torpore di netflix chef e aiuti cuoco. Abbiamo cercato di rifondere entusiasmo alla squadra e alzato tutte le fiamme della cucina. Non è uno scherzo organizzare una domenica a pranzo venendo da un lungo periodo di chiusura.
Lo spiego meglio con un esempio: nella sola giornata di domani a pranzo VaMoLà avrebbe fatto il doppio della somma di tutti i coperti infrasettimanali del pranzo. Ovviamente il ministro Speranza ci ha comunicato ieri che si erano sbagliati e che l’entrata in vigore sarà lunedì e non domani. Ora io non voglio scrivere la chiosa/conclusione a questo post. La lascio a voi nei commenti. Ps domani regalo una trentina di kg di cibo, tra ragù tortellini tagliatelle polpettine etc. Grazie a tutti.
Il pranzo della domenica 31 gennaio vale da solo il doppio della prima settimana di febbraio. Eh già, perché statisticamente il mese di febbraio era un mese buio per la ristorazione. Prima della pandemia. Figuriamoci adesso aperti solo a pranzo e con lo smart working, cioè la nuova bestia nera.
Il delivery in zona gialla, ma anche arancione e rossa
E non provate a dire che esiste il delivery, la casereccia consegna a domicilio, o l’asporto. Perché tranne pochi casi di esperimenti ben riusciti e di ottima soddisfazione, la consegna a casa vive di una nuova tassa. Quella che bisogna corrispondere alle piattaforme che avevano già fatto del delivery il loro business.
Ricordate la combo sabato – partita in tivvù? È il famoso sabato del delivery. Si sta a casa e si ordina la pizza. Ma quel servizio costa fino al 40% del prezzo finale della vostra pizza. Su 10 €, 6 restano alla pizzeria.
“La commissione base può essere anche del 20 per cento se assicuri l’esclusiva nelle consegne ad una sola piattaforma e hai fatturati molto alti. Ma quasi sempre si parte dal 30-35 per arrivare ad un costo a carico nostro del 40 per cento, se si sommano iscrizioni d’ingresso, tasse sui portali, Iva su commissione e incasso effettivo, spese di packaging”. Così la Confesercenti.
Insomma, più che parlare di Black Kitchen qui si parla di Black e basta.
La chiusura serale, madre di tutte le disposizioni incomprensibili
C’era una volta la madre di tutte le battaglie. Era il tempo della Guerra del Golfo che avrebbe mandato in onda uno spettacolo cui mai nessuno avrebbe pensato di assistere dal divano di casa. Missili che partono sullo schermo della televisione, chirurgici dicevano.
E ora con la stessa precisione chirurgica si bombarda quello che resta della ristorazione. In zona gialla i ristoranti devono chiudere alle 18. Niente servizio a cena.
La più incomprensibile delle scelte per ristoratori e clienti. Non siamo al negazionismo che fa esclamare al coronavirus che circolerebbe solo dall’ora dell’aperitivo in poi. Ipotesi fantasiosa rafforzata dalle ordinanze anti movida e dal divieto di asporto di alcolici e non alcolici dai bar.
Operazione che finirebbe ad assembramento di giovani senza mascherine per bere intorno a qualche panchina. Come se non esistesse la possibilità di comprare la birretta di ordinanza al supermercato. In barba all’ordinanza.
C’è il complesso sistema di osmosi della cena. Vedersi per decidere dove andare e andarci, cioè le tipicità ante Covid-19, sono elementi cui non riesce ad opporsi nemmeno il coprifuoco alle 22.
A tacere ovviamente del rischio tavolate di non conviventi possibili (e viste sui social) anche ad ora di pranzo.
A credere alla possibilità che i ristoranti in zona gialla possano riaprire la sera c’è la Fipe. La Federazione dei Pubblici Esercizi ci prova anche se nella famosa assemblea annuale, cui partecipò Massimo Bottura, il presidente ebbe a dire che i ristoranti sono troppi. Alludendo al fatto che molti poco esperti avevano aperto in tempo di vacche grasse. Investimenti su pizzaioli e chef di grido o quasi.
La Fipe ha aperto un tavolo col Mise per chiedere di “rivedere i divieti a cui sono sottoposti i pubblici esercizi, partendo dal fatto che nella stessa categoria rientrano attività molto diverse: dal ristorante al pub notturno. Chiediamo, in zona gialla, l’apertura dei ristoranti con servizio al tavolo anche la sera; e in zona arancione la possibilità per tutto il pubblico esercizio di stare aperto, pur fino alle 18, come lo sono la maggior parte delle altre attività”.
Ristoranti aperti dunque anche la sera in zona gialla e a pranzo in zona arancione. Perché non si capisce la differenza con i negozi che aprono in zona arancione. Ci sarebbe l’assenza della mascherina a tavola mentre è presente provando un capo di abbigliamento.
La zona bianca della ristorazione
L’unica vera speranza è scendere sotto quello 0,50 di contagi per 100.000 abitanti che, a norma del nuovo Dpcm, farebbe dichiarare la regione zona bianca. In pratica l’eldorado al tempo del Covid-19.
Ristoranti aperti, possibilità di spostarsi tra regioni (interdetto anche tra le gialle fino al 15 febbraio) e comuni. Aperti musei, cinema e teatri. Insomma, una vita normale.
Proprio come quella che con qualche divieto trascurato abbiamo vissuto la scorsa estate.
Ecco, è di nuovo il calendario a dettare la regola.
Se dovessimo stare alla statistica, al like for like, alle speranze in questa giungla infetta, la data possibile per la riapertura “vera” dei ristoranti è lunedì 17 maggio.
Non domenica, come abbiamo imparato dall’ultima ordinanza.
[Immagini: Ksenia Chernaya, Lukáš Dlutko, Matt Brown per Pexels, Scatti di Gusto]