The Bear è la miglior serie tv ambientata in un ristorante
The Bear, la nuova mini serie tv sugli eccessi di una cucina professionale, trionfo dell’estate negli Stati Uniti finalmente disponibile in Italia su Disney+, è ambientata in un ristorante di Chicago.
Guardatela, liberi dal monopolio di talent e reality show troverete la cucina in televisione di nuovo eccitante. Perché la serie The Bear è considerata la più convincente e realistica rappresentazione della vita di un ristorante mai portata sullo schermo.
1 – Di cosa parla la serie The Bear
Quella raccontata nella serie The Bear è la storia di Carmine Berzatto, detto “Carmy”, giovane e talentuoso cuoco che, dopo essersi imposto in alcuni dei migliori ristoranti del mondo — come altro definireste il “Noma” di René Redzepi?— torna a Chicago.
Bisogna salvare dal disastro imminente il ristorante di famiglia, l’Original Beef of Chicagoland, affettuosamente chiamato “the Beef“.
Non proprio una paninoteca. Neanche una tavola calda e nemmeno un fast food. Parliamo di un deli specializzato in panini al manzo, con un piccolo menu di piatti italo-americani.
Carmy è tornato a Chicago all’indomani del suicidio di suo fratello maggiore Mikey, proprietario del locale, che ha fatto testamento lasciandogli the Beef.
Ma il ristorante è soffocato da problemi che Carmy non sa come risolvere. Il fratello suicida doveva 300.000 dollari allo zio Cicerone, un losco uomo d’affari incline a spezzare le gambe di quelli che non onorano i debiti.
La colorita brigata di cucina protagonista delle serie The Bear, cioè il mondo disordinato che ruota attorno al ristorante the Beef, è chiaramente demotivata a causa della tragedia che ha colpito la famiglia di Carmy.
2 – Il talento di “Carmy” in streaming su Disney+
Nella palude che può essere un ristorante avviato al fallimento, Carmy, insieme alla sous chef Sydney, porta la sensibilità dell’alta ristorazione. Una formazione classica la sua, con le aspettative delle brigate di cucina impresse nell’anima come un tatuaggio. In fin dei conti, si dice lo chef, perché un panino al manzo non dovrebbe essere un’opera d’arte?
Alla fine del primo episodio delle serie The Bear, Carmy ha già riorganizzato il menu di the Beef. Cucina la carne usando tecniche nuove, modifica la cottura del pane, leva dal menu un incommentabile piatto di spaghetti al pomodoro, nonostante sia il preferito dei clienti.
Provocando la reazione indispettita del manager del locale, il cugino Richie, che con il tomo “L’arte della fermentazione” del Noma in mano, inveisce contro il suo chef René Redzepi, colpevole di avere insegnato a Carmy come si cucinano le formiche ma non “un fottuto piatto di pasta”.
È evidente già dai primi due episodi della serie The Bear come il giovane chef faccia di tutto per salvare il ristorante. Lo sa bene Sydney, giovane cuoca ambiziosa che, forte di un curriculum costellato di stelle, si è candidata come sous chef del ristorante.
Dopo aver speso i soldi messi da parte per mangiare nei grandi ristoranti di New York, compreso il migliore che, guarda caso, è proprio quello dove lavorava Carmy.
Quando Sydney tocca con mano il talento del giovane chef gli chiede: “Ma cosa ci fa qui uno come te”? Carmy si ferma e scompiglia ulteriormente i capelli perennemente arruffati. “Faccio panini”, dice, e torna al lavoro.
3 – Le tribolazioni di una cucina in 8 episodi di 30 minuti
L’autore della serie The Bear, Christopher Storer, è noto soprattutto per i suoi documentari, tra cui il film del 2013 “Sense of Urgency”, sul noto chef americano Thomas Keller. È evidente che sa come catturare il modo in cui funzionano davvero i ristoranti.
La serie è stata girata in un vero ristorante italiano di Chicago. Gli spazi e il modo in cui i componenti della brigata si muovono, e quasi si scontrano gli uni contro gli altri in cucina, risultano credibili e genuinamente claustrofobici. L’impressione generale è che la vita dei cuochi sia stata riprodotta in modo sorprendentemente fedele.
Ma la ricostruzione più autentica della vita in una cucina professionale riguarda il suo tossico ambiente di lavoro.
Ancora oggi le brigate dei ristoranti si reggono sul modello gerarchico che mette lo chef al vertice della piramide attribuito a Escoffier, il grande cuoco francese morto nel 1935. Con annessi né glamour, né divertenti, come gli atti di nonnismo e la violenza alienante, sia verbale che fisica.
Fino a oggi, molta letteratura su come si diventa chef affermati, ha descritto la componente violenta e auto-distruttiva della vita di un ristorante come unico percorso praticabile per diventare veri artisti della cucina. E la crudeltà del linguaggio o dei maltrattamenti inflitti ai sottoposti, come un linguaggio di verità.
Ma anche per effetto della recente difficoltà di reclutare personale nei ristoranti, questo archetipo dello “chef rock-star”, onnipresente all’inizio del ventunesimo secolo, oggi è dolorosamente datato.
La dura realtà della ristorazione con problemi relativi ai diritti dei lavoratori, allo sforzo fisico e alla salute mentale, stanno cancellando la fantasia patinata dell’essere chef come pura espressione creativa.
Il fatto che The Bear rifiuti di allinearsi a questo paradigma, è un altro dei suoi molti meriti, sono numerosi i cuochi conquistati dalla serie per come cattura l’ansia e la volatilità del lavoro nella cucina di un ristorante.
Alcuni hanno pianto per l’emozione, osservando quanto accurato fosse il ritratto delle loro vite.
4 – Eccessi e abusi in cucina
Al pubblico americano è piaciuta anche la rappresentazione di Chicago. Dei suoi topos culinari e non (un cartellone pubblicitario sul tetto del ristorante pubblicizza Malört, un liquore dal sapore che ricorda la vernice inspiegabilmente amato a Chicago). L’inverno di Chicago è duro e incolore, fango grigio sui marciapiedi grigi sotto un cielo grigio.
I network americani FX e Hulu, che trasmettono The Bear in streaming, hanno classificato la serie come una commedia. In effetti, in ognuno degli episodi di mezz’ora ci sono momenti divertenti. In gran parte dovuti al personaggio di Matty Matheson, un famoso chef tuttofare adorabilmente squilibrato.
Ma i temi prevalenti della serie sono la disperazione e l’autodistruzione.
A guidare il manager di the Beef, Richie, cugino di Carmy e migliore amico del defunto Mikey, è una rabbia irrisolta. Tina, cuoca decana del ristorante, detesta prendere ordini dalla più giovane Sydney.
Lo stesso Carmy mina la sua crescita professionale indulgendo in frequenti esplosioni di rabbia condite di abusi verbali, gli stessi che ha vissuto nei suoi anni di formazione e dai quali non riesce a prendere le distanze.
Attraverso dei flashback apprendiamo che il suo comportamento riecheggia il bullismo subito per mano dello chef con cui ha lavorato a New York (tutto insulti e occhiali alla Heston Blumenthal).
Persino Sydney, la cui personalità tranquilla e competente sembra all’inizio migliorare la situazione, porta avanti il ciclo degli abusi. Tutta la brigata di cucina del “Beef“ si sta leccando ferite profonde, e tutti fanno affidamento su un frenetico ritmo di lavoro per mascherare le proprie miserie, anche quando è il lavoro stesso a causarle.
5 – The Bear, la serie in cui tutti si chiamano chef
L’atmosfera è quella di una favola sporca. The Bear è una serie energica sulla vita di un ristorante attraversato dal dolore ma capace di mantenere una fioca luce di speranza. Gli episodi si svolgono quasi interamente all’interno del locale, nella stretta cucina e nella sala da pranzo illuminata da luci fluorescenti.
Ma grazie all’espediente dei flashback apprendiamo com’è fuori dal locale la vita delle persone che ci lavorano.
Vediamo il fallimento dell’attività di catering messa su da Sydney; l’impossibile sogno di un giovane cuoco –diventare un giocatore della major league americana di baseball–; la guerra sanguinosa che ha costretto un altro cuoco a fuggire dalla nativa Somalia; Il matrimonio fallito di Richie; la separazione di zio Cicerone dal fratello.
Carmy è pieno di disperazione che non sa come articolare e di rabbia che non sa come spiegare.
Ha spesso incubi surreali, nel più ricorrente dei quali un enorme orso minaccia di farlo a pezzi. È The Bear, ovviamente, l’orso che dà il titolo alla serie, nonché il soprannome del fratello scomparso Mikey, dal cognome italiano Berzatto.
6 – Carmy Berzatto è l’attore Jeremy Allen White
La trama di The Bear è, più o meno, il tentativo di rispondere alla domanda “Come farà the Beef a rimanere a galla?”
Ma i momenti più deboli della serie sono quelli legati alla sopravvivenza economica, al ce la faranno o non ce la faranno. Tra i quali –piccolo spoiler– un salvatore deus ex machina abbastanza ridicolo nell’episodio finale (la serie avrà una seconda stagione.)
L’ingranaggio che fa girare tutto è il conflitto tra la raffinatezza dell’alta cucina e la disperata determinazione che spesso coesistono in questo tipo di ambienti. Nel tentativo che fa Carmy di rendere migliori i piatti di the Beef, c’è il bisogno di migliorare se stesso.
Fin dall’inizio la serie disegna una traiettoria prevedibile: i nuovi arrivati si fanno strada insegnando le proprietà terapeutiche della tecnica e dell’amicizia a un gruppo di vecchi mestieranti disamorati. Ma The Bear non si arrende alla banalità rassicurante dell’amore che conquista tutto. Ci sono molte cose da aggiustare nel ristorante oltre alle ricette, e ce n’è anche da conservare.
L’organizzazione militaresca delle brigate di cucina cara a Escoffier non è una soluzione universale, e non basta chiamare una persona “Chef” per far scattare sull’attenti i suoi sottoposti nei loro Crocs.
7 – The Bear: lieto fine per la prima stagione della serie
Nel settimo episodio della serie, forse il più forte di The Bear, Sydney, frustrata dalla lentezza di Carmy nel dare la scossa che migliori le cose, come ha promesso di fare, serve di nascosto a un critico gastronomico in visita al ristorante, un ambizioso risotto. Decisamente fuori contesto in un locale come the Beef.
Il critico pubblica una recensione entusiasta, che attira una marea insostenibile di clienti, il classico bacio della morte che manda in crisi il ristorante.
The Beef è sopravvissuto per decenni cucinando una manciata di piatti semplici, discretamente bene, per un numero di clienti sufficiente a tenere la nave a galla. Cambiare una cosa, si scopre, cambia anche tutto il resto. E non è detto che il cambiamento corrisponda sempre a una crescita.
Nel primo episodio, Carmy chiede a Sydney cosa preparerà per il pasto del personale, il suo primo esame come speranzosa dipendente.
“Ci stupirai con qualcosa di delizioso o di impressionante?”, le chiede Carmy? Sydney lo guarda di traverso e risponde: “Delizioso è già impressionante”.