Amatriciana. Antonino Cannavacciuolo spiega le ragioni salvifiche di un piatto
C’è stata molta polemica e tanti distinguo per l’iniziativa #AMAtriciana della donazione di 2 € a favore delle popolazioni terremotate legata a un piatto di amatriciana.
L’iniziativa di Paolo Campana che Scatti di Gusto ha subito sostenuto nella marea di distinguo ma anche di supporti importanti come quello di Carlo Petrini e di Slow Food ha dato la stura a commenti tremendi quanto le scosse di terremoto. AMAtriciana, in questo mondo social che spesso ha profili di estremismo e intolleranza, è stata anche bollata come operazione di marketing e di visibilità di singoli soggetti.
L’articolo di Mattia Feltri sulla Stampa, dal titolo micidiale “Quali spaghetti, qui c’è la morte” aveva quasi chiuso la discussione. Il timore che un gesto potesse essere frainteso ogni ragionevole dubbio è lì che ti assale.
Ma poi la lunga fila di persone a Torino per mangiare un piatto di amatriciana solidale preparato dalla Protezione Civile – gigantesco angelo che immagino al di sopra di ogni sospetto nonostante i tentativi di alcuni di calpestarlo durante il terremoto dell’Aquila – per chiedere una donazione ha spazzato via ogni remora con 7000 amatriciane servite e 49.745 € raccolti.
Mancava un sigillo che desse dignità al cibo diventato condimento di ogni cosa, dalla comunicazione alle trasmissioni televisive.
Ci ha pensato Antonino Cannavacciuolo, troppo spesso additato come esponente di quel food star system insensibile e attento solo al dio denaro.
Su Repubblica di oggi, in prima pagina, ha detto la sua ricordando il terremoto dell’Irpinia del 1980 che fece nascere la Protezione Civile con Giuseppe Zamberletti, poi ministro per il coordinamento della protezione civile nel governo di Giovanni Spadolini.
Io avevo più dei 5 anni di Antonino. A 14 anni, a Napoli, ricordo ancora il terrore del boato che arrivò da lontano come se fosse saltato il mondo e ricordo il corridoio che si contorceva, la fuga senza rispetto di alcuna regola di condotta, le notti in macchina e la replica a San Valentino. La casa che è la cosa più solida che immagini diventata un incubo negli anni a seguire con la biglia attaccata al lampadario su un lungo filo per vedere le oscillazioni in un impossibile anticipo.
Antonino Cannavacciuolo ha spiegato le ragioni salvifiche di un piatto di amatriciana con poche e misurate parole.
Le disgrazie distruggono le comunità e, con esse, i loro simboli. Fanno crollare case, scuole, ospedali, alberghi, chiese. Anche questa volta, il terremoto che ha colpito il Centro Italia sembra aver distrutto quasi tutto. Un simbolo, semplice solo all’apparenza, si è però salvato: è il cibo.
L’amatriciana, il piatto che prende il nome da uno dei comuni più colpiti dal sisma, oggi è un messaggio molto potente. Sappiamo tutti che il cibo fa parte della nostra vita quotidiana. Non è solo nutrimento, è anche storia e memoria. L’amatriciana è proprio questo: un piatto semplice e popolare che porta con sé la storia della gente che l’ha creato, le tradizioni dell’antica cucina agreste.
Anche lui è rimasto colpito dalla fila a Torino e, non posso mettervi tutto l’articolo, chiude con una semplice constatazione.
Bisognerà rimboccarsi le maniche e mettersi al lavoro, perché è solo con l’impegno quotidiano, duraturo, che si potrà ricostruire. A partire da un piatto da tramandare da oggi in poi ai più piccoli. Un ponte dal lutto del presente verso il futuro.
Il senso del cibo, dell’appartenenza, della condivisione e della solidarietà al tempo del web è tutta qui: diventare testimoni attivi e farsi guidare dall’istinto migliore che è in noi.
Come quello che ha acceso la fantasia di Paolo Campana e ha spinto tanti a donare mangiando un piatto di amatriciana, una pizza o inviando un sms.
Fatelo anche voi.
[Link: Repubblica, La Stampa. Immagini: Repubblica, Canale 9]