Assaggi di vino. Il merlot che ritorna dagli anni Novanta
Oggi vi voglio raccontare un assaggio diverso, che è stato per me un pretesto per un ragionamento sull’idea stessa del vino. Debbo dire che non sono mai stato un sostenitore del gusto internazionale, un appassionato di dolcezze di vaniglia di legno e delle concentrazioni spericolate. Negli anni ’90 in tanti (parecchi anche tra gli attuali paladini dei vini veri) si sperticavano in lodi davanti a sentori dolci e vanigliati, davanti ad archetti e densità inusitate. Io temevo di non capire il vino e di non riuscire ad apprezzare questo gusto suadente e morbido, che troppo spesso mi innervosiva. Ma ugualmente mi accade oggi davanti ad alcuni vini inutilmente magri e problematici. Dinnanzi ad alcune riduzioni che vengono spacciate per tipicità (non si è mai visto un vitigno che ha una puzza come caratteristica) alzo il sopracciglio e mi chiedo come non ci si renda conto che è la medesima cosa, il medesimo stile, solo rigirato come un pedalino.
Mi piace assaggiare i vini, anzi mi piace proprio berli, a prescindere da ideali o dogmi. Non penso che ci sia un solo metodo giusto di fare il vino e per questo l’altra sera mi è piaciuto molto essere sorpreso da questo rosso laziale, di cui si è detto tutto e il suo contrario… Scartabellando in cantina, si fanno dei ritrovamenti improvvisi. Si aprono lampi di vita di un anziano degustatore. Bottiglie che non ricordavi di avere e che giureresti di non avere mai comprato. Così qualche giorno fa cercando una bottiglia da bere con un caro amico in trasferta romana, mi sono imbattuto in due bottiglie di Montiano1995, della cantina Falesco.
Ora il Montiano è stato una folgorazione: in pieni anni Novanta abbiamo scoperto che nel Lazio (certo non una zona vinicola importante) si potesse fare un Merlot elegante e ambizioso. Fu subito gloria. Lui e il suo artefice (Riccardo Cotarella), grazie anche a vagonate di premi, diventarono il simbolo di una enologia italiana ambiziosa ed internazionale. Non ho mai tifato per quei vini, ma il Montiano debbo dire che convinceva con un prezzo piccolo e una beva disarmante. Per questo debbo aver dimenticato queste due bottiglie e tra me e me debbo aver pensato:”Chissà come invecchia?” Detto, fatto. Dopo quasi 17 anni dalla vendemmia, oggi lo assaggio. Apro la bottiglia. Il tappo è perfetto, verso un goccio nel bicchiere e il colore è da subito convincente, bello brillante nei suoi allegri toni rubino. Lo giro nel baloon e lo annuso, i profumi sono intensi e piacevolissimi. Il frutto si staglia nitido e fresco, su un pentagramma pirazinico e note piacevoli di erba, tipici del Merlot. Ancora molto vivo e senza segni di cedimento, ma con aromi complessi e piacevolmente maturi. Mi pregusto un gran bel sorso.
Alzo gli occhi, guardo Giorgio e riconosco il mio stesso stupore nel suo sguardo. Mi sa che è proprio una bella bottiglia. Un ultimo sguardo e un’ultima sniffata e lo metto in bocca. Il sorso è da subito pieno e rotondo. La trama tannica è velluto allo stato puro, senza rinunciare ad un poco di grinta acida. Non un vino enorme, ma assai elegante e piacevole e con una complessità speziata interessante. Ha ancora margini di evoluzione interessanti e di miglioramento. Si riconosce netto il vitigno, più che il territorio. Ma questo era da subito l’obiettivo del vino. Concludendo una gran bella bottiglia, che tiene il passare del tempo con grazia e stile. Non male per un vino che negli anni Novanta non arrivava alle 20.000 lire.