Bowerman e Borges. Tutto è stato già scritto?
Da queste premesse incontrovertibili dedusse che la Biblioteca è totale, e che i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici (numero, anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto ciò ch’è dato di esprimere, in tutte le lingue. (Jorge Luis Borges)
Antefatto: il 5 dicembre gennaio, complice il clima festivo e la pigrizia è nata una bella discussione sulle nostre pagine. Una discussione che partendo dalla ricetta di pasta frolla è arrivata a discutere di tradizioni e di cucina. Insomma le posizioni contrapposte vedevano da una parte i paladini della cucina professionale e tecnica e dall’altra gli araldi della cucina tradizionale.
Inoltre, certe, molte tradizioni appartengono ad una categoria di piatti anacronistici. Sai meglio di me che i piatti proposti dall’Artusi, molti, sono improponibili al giorno d’oggi quando solo ai termini animella o anguilla le persone sbarrano gli occhi con orrore. I gusti son cambiati ed é normale che sia cosí. Uno stilista di moda sa cos’é un corpetto, si ispira ad esso, ma certo non lo ripropone tale e quale oggi: le donne morirebbero per mancanza di respiro dopo poche ore!
Questo spiegava Cristina Bowermann, chef stellata del nostro amato Glass Hostaria e aggiungeva:
Quindi, giusto per non essere fraintesa, a meno che un cuoco non decida di riproporre cucina tradizionale italiana (quale, poi?!), si ispirerá ad essa, ma la trasformerá e la filtrerá attraverso la propria conoscenza, moderna, e esperienza.
Insomma dichiarazioni importanti e che meritano una risposta. Ma, secondo me, la riflessione deve abbandonare le risposte sulla pasta frolla e diventare una discussione a se. Eh, si ragazzi per me la questione è centrale, tocca vari punti della discussione gastronomica che alimenta molte delle divisioni attuali. Investe la visione stessa della cucina italiana contemporanea e futura.
Fatto: Io non penso (ma è una posizione personale) che il fatto che alcuni piatti siano anacronistici li renda meno interessanti e giustifichi il non conoscerli, non credo che un cuoco possa in Italia prescindere da una conoscenza ed un interesse peculiare per la tradizione regionale e casalinga. Per le antiche ricette tramandate attraverso le generazioni. Penso che nel passato ci sia tutto il futuro e nel futuro tutto il passato. Non bisogna essere dei fan di Borges per dire “tutto è stato già scritto”, la Biblioteca di Babele contiene tutto e il ruolo del bibliotecario, moderno rabdomante, è ritrovare il dimenticato. Così un cuoco che voglia incidere nella temperie nazionale deve essere curioso e conscio dello straordinario apporto e ricchezza dei nostri prodotti e saperi.
Troppo spesso mi imbatto in giovani cuochi (non è il caso di Cristina sia chiaro) che, fatti due stages, comprati due macchinari e scoperti quattro trucchi chimici, pensano direttamente di essere pronti per la ribalta. Di giovani chef che dicono “sono uno chef creativo”, un artista pronto a rivoluzionare tutto e tutti…
Il vecchio Colombari (troppo poco ricordato) era solito dire che non esiste la cucina creativa, la cucina tradizionale, ma solo la buona e la cattiva cucina. Insomma cosa ci aspettiamo da un cuoco, da una cucina contemporanea? Questa è la conclusione che lascio aperta al contributo dei nostri 24 lettori e di quanti viandanti nella rete vorranno partecipare….
Foto: Francesco Arena, Pol Quadens, media.photobucket.com