Stelle Michelin. Cristiano Tomei che va a vedere un Posto a Milano
Appuntamenti a 4 mani da Un Posto a Milano, ovvero Cascina Cuccagna.
Nicola Cavallaro che invita chef più o meno amici (con Cristiano Tomei si erano solo incrociati in giro). Tanto per divertirsi, mi dice Cavallaro.
Divertimento iniziato con Chef Rubio, come ci ha descritto Franca Formenti, in una serata all’insegna – e come altrimenti? – delle frattaglie.
E proseguito con Tano Simonato, come ci ha raccontato, in una sorta di graphic novel, Manuela Vanni.
Entrambe hanno con l’occasione “scoperto” Un Posto a Milano, aperto giusto da un paio d’anni.
Ci sono tornato alcune volte, e ho sempre avuto confermata l’impressione iniziale: è proprio un “posto”, confortevole, piacevole, e la mano di Cavallaro si sente nella cura e nella personalizzazione di una cucina che si definisce “casalinga”.
E Tomei? Cristiano Tomei, viareggino, chef de L’Imbuto, il ristorante del Lu.C.C.A (Lucca Center of Contemporary Art), il nuovo Museo di Arte Contemporanea allestito all’interno di Palazzo Boccella a Lucca appunto, una stella Michelin nuova nuova, una partecipazione come giudice a I Re della Griglia in tv.
Un percorso professionale interessante, e controverso.
Diciamolo subito: diversamente da Franca e Manuela, non mi sono fiondato in cucina armato di macchina fotografica. Mi sono – ovviamente – seduto a tavola. Locale come sempre affollato, probabilmente anche per il richiamo della cena quadrumane, gente dappertutto, tavoli riservati nella saletta col camino.
Si parte con Cavallaro: Crocchette di baccalà mantecato in crosta di pistacchi, mandorle e nocciole con salsa di peperone rosso. Giusto per iniziare le danze, con grazia.
Ravioli, ripieno all’olio e parmigiano, con polvere di cavolo nero, Questo è Tomei: un gioco sulla pasta all’olio e parmigiano, tipico piatto d’emergenza toscano per quando non si sa cosa cucinare – una gradevolezza sorprendente, grande equilibrio, da mangiarsi col cucchiaio per non forare la pasta e farne uscire il ripieno di olio…
Manzo gourmet sulla corteccia. Ancora Tomei: strappa la corteccia a un pino marittimo (rigorosamente morto), bagnata e riscaldata al forno, sopra un po’ di manzo garfagnino, stracciato, massaggiato a mano con un po’ d’olio, sopra grasso tostato di bistecca e bucce di patate fritte, si mangia con le dita, rigorosamente. Un piatto che, dice Tomei, “è un po’ la mia storia”. Bella storia, ci è piaciuta: abbiamo fatto il bis, e qualcuna si è portata via un servizio di cortecce per casa…
Frolla al cioccolato, mousse di caprino e salsa di lamponi. Finale con Cavallaro, che avrei preferito più “dolce”, forse.
Resta da dire del personaggio Tomei: alla fine della cena ha tenuto banco raccontandosi (visto che poi Cavallaro giocava in casa, e gli ha lasciato volentieri la vetrina) e raccontando il suo ristorante, posto fisicamente dentro il museo: menù da 4 – 6 – 9 portate a 40 – 60 – 90 €, il tutto a scelta dello chef (ovvero non c’è menù), grande successo (“a me mi davano un mese di vita”, sottolinea con soddisfazione, con un occhio di rimpianto per la sua Viareggio ormai crollata da tutti i punti di vista).
Una cena divertente, peccato non ci fosse la brunoise di seppioline con cui i ravioli vengono serviti all’Imbuto (e perché ce l’hai detto? non lo sapevamo, eravamo tutti contenti: “eh no invece te l’ho detto apposta così prendi le gambe e vieni giù a Lucca…”); con quel tanto di animalesco rappresentato dal manzo su corteccia, che unisce sentori ancestrali, la carne cruda il bruciato del grasso e della corteccia il terroso delle bucce di patata.
Un bel gioco. Nicola ha giocato in casa, e grazie al cielo la sua casa è qui a portata di mano. Ma vogliamo andare a giocare anche a casa di Cristiano.