Champagne. Il fuorisalone di Roma con Bruno Paillard N.P.U 1999 & Co.
Gran bella la festa, gran ricco il Salone. Tante marche, una pioggia di etichette: lo sbarco dello Champagne, festa ormai annuale, a Roma riesce anche stavolta bene. Malgrado i tempi grigi. Ma decisamente intrigante è anche quel che si tira dietro (o davanti, visto che un evento almeno precede l’apertura delle danze al Santo Spirito). Degustazioni su invito, bolle non presenti alla kermesse, ambienti decisamente più ristretti.
Ecco, allora, il prima e il dopo. Con relative schede.
Si comincia con il “before” al sempre più inappuntabile San Lorenzo (cresce ancora il personale, cresce in sicurezza e nitidezza il sapore, migliorano i dolci, tiene alla grande la splendida materia prima). Dove sfilano alcuni grandi formati (e grandi contenuti) per festeggiare il rassemblement di un guppo non piccolo e non secondario di importatori (dopo Sagna, citato per primo perché Massimo è il presidente) inordine alfabetico Balan, Cuzziol, Heres, Meregalli, Pellegrini, Sarzi Amadè, la creme, insomma. E anche un bel po’ di cioccolato… Si festeggia e pasteggia a Chapagne, ma l’accordo vale per l’intera gamma dei suddetti, vini e distillati a tutto tondo.
Quanto al dopo, la sede è la Libreria Settembrini, dove Bruno Paillard in persona officia per un pubblico scelto di addetti ai lavori, in serata la presentazione del suo top di gamma: il NPU annata 1999.
Ciò detto ecco le schede di quanto assaggiato (e non presente, pur se in formato non magnum, al Santo Spirito).
- Bruno Paillard Blanc des Blancs 1996 (magnum). Il vino della giornata, dice con gran fair play il mio vicino di tavola, titolare peraltro di un gloriosissimo concorrente (ma ora associato nel club) di Cuzziol, che è il Paillard-man in Italia. Dunque, giudizio oltre ogni sospetto. Il vino è delizioso, crema al limone e spezie, ma anche presa minerale forte; si beve a fiumi ma terrà ancora come una roccia. La domanda che in molti fanno (a Cuzziol) è quanto ce n’è ancora: pare un 200 magnum (perché da quella viene servito). Partono le prenotazioni. Di qua intanto 3 ¾, secchio.
- Bollinger Grande Année 2002 (sboccatura 2012, magnum). E forse proprio la sboccatura recente “sente” ancora il vino, che è grande nelle dimensioni e “bollingeresco”, ma senza eccessi, nello stile; e però manca di un filo di tensione per essere proprio come lo vorresti. Per me è forse un passaggio di vita, un momento esistenziale di questo 2002 che è annata importantissima. Vale 3 ¼ oggi, ma varrà probabilmente di più domani. Forse, molto di più.
- Jacquesson Dizy 2002 (magnum). Il rovescio della medaglia rispetto a chi l’ha preceduto. Qui è la tensione (oltre adannata e scelte di stile) ad animare il vino. Ma su una base di assoluta sostanza e enorme “territorialità”. Serietà e densità insieme, qualcosa di verde al naso, olive fragranti d’attacco, perfino sfumature di pineta, poi lime mangiabile, ma freschissimo… Buono, buonissimo, ma eccelso tra… un tot. Da non uccidere troppo presto. Per ora, 3 ½ con ampi margini
- Cristal 2002 Roederer. Non è che parliamo di noccioline: questo è un grande dello Champagne di sempre, si sa: per alcuni (non pochi) un’etichetta mito. Però stavolta cede qualche punto agli altri due fratelli d’annata. Morbido di più, largo di più, profondo di meno. Un po’ di meno, non vertigini, certo: ma quanto basta a marcare bene le differenze. E a non conquistare già d’attacco, che sarebbe invece la sua missione. 3=
- Goutorbe Collection René Goutorbe 1993. Etichetta particolarissima, vagamente “pompier”, a sbalzo sulla bottiglia; e annata sulla carta non monumentale (non tipo il ’96 per capirci), di cui s’era detto a suo tempo “tenuta sufficiente, corpo e classe un po’ scarsi”. Ebbene: qui basi lavorate in legno, sboccatura tre anni fa, evoluzione già parlante, ma al punto giustissimo adesso, vinosità cremosa, 75% di Pinot Noir molto ricco…. E: briscola che vino! Se il 1996 Paillard è il top scorer, questo è la sorpresa, il ‘93 che non t’aspetti. 3+, secchio
- Bruno Paillard NPU 1999. Quarta edizione (precedenti ’90, ’95, ‘96) del vino che Paillard fa solo nelle annate ritenute super, 50-50% Chardonnay e Pinot Noir, solo grand cru (Verzenay, Chouilly, Oger, Mesnil), gestazione per 9 mesi in barrique e poi lieviti-lieviti-lieviti… Il ’99 a suo tempo giudicato buono ma non monstre, fose non da estrema longue garde, qui va oltre: come da programma di chez Paillard, per il quale il NPU è appunto il limite massimo, secondo millesimo. Che diciamolo, è meno perfetto del ’90, meno enorme del ’96 (ma più regolare nelle proporzioni), forse meno setoso e seduttivo del ’95. Ma qui, è esaltato nella sua purezza (il dosaggio è minimo, 4 grammi) e ha olfatto già serissimo, compatto e fine. La bocca, quella è ancora un po’ ferma. La tessitura c’è: e l’articolazione (il pezzetto di strada che manca sulla via della vetta) verrà. Come sarà? Diversa dicerto dal monumentale esempio che l’ha preceduto. Ma si farà. 3 ¾