Gli chef stanno male: la verità del precariato e degli orari insostenibili
Domenico è uno dei tanti cuochi italiani. “Trentaquattro anni, cuoco da venti. Precarietà, flessibilità estrema, orari insostenibili…”
Comincia così la lettera dello chef che Concita De Gregorio ha pubblicato sul proprio blog ospitato dalla pagine di Repubblica di cui è attualmente editorialista.
Per molti addetti ai lavori lo sfogo riportato suonerà trito e ritrito, ma l’impatto di una lettera simile sul pubblico che guarda al cibo e alla ristorazione come una delle ennemila cose che passano su un giornale generalista quale sarà?
Innanzitutto che si è formata una nuova casta, quella degli chef come suggerisce il passaggio “considerare il cibo come un’opera d’arte: il cuoco, di conseguenza, un artista”, e guardare a “esperienze stellate utili per apprendere le basi, ma deludenti”.
Una casta che ha il solo obiettivo della notorietà poiché “In qualsiasi cucina entri l’unico obiettivo è ottenere una stella Michelin e, se l’obiettivo è palesemente lontano, emulare coloro che possono vantarne una“.
E di conseguenza nelle cucine stellate si gioca con il cibo “come se l’ortaggio dalla forma perfetta, la foglia dal colore più accattivante, come se un tono più chiaro o più scuro potessero fare la differenza sulla qualità del piatto“.
“Anche ingannare il cliente è diventata una moda inarrestabile, presentandogli menu con una lista interminabile di ingredienti dop, doc, docg… nella maggior parte dei casi assolutamente falsa!”
“Buona parte di queste attività è in perdita, salvo i compensi dell’executive che spesso non mette piede in cucina e segue solo il marketing. Riconosco però una corresponsabilità della clientela, che si fa facilmente influenzare dall’immagine piuttosto che dalla sostanza“.
Manca solo la bellezza della cucina di casa o della trattoria per il percorso completo.
Il vero problema è quello degli stipendi bassi, dello sfruttamento degli stagisti: “niente ferie, niente diritto alla malattia perché il personale è più che ridotto, buste paga omnicomprensive”, anche se ovviamente non è l’unico comparto ad avere problemi del genere.
Noi l’avevamo raccontato in concomitanza dell’inchiesta di Report e l’argomento è particolarmente a cuore a tutti, vista l’immensa mole di letture e commenti in proposito. Per arrivare al traguardo servono sacrifici incredibili e ci sono stipendi da fame. Con cifre intorno ai mille euro difficile arrivare anche alla seconda settimana del mese.
La replica è stata affidata dalla stessa Repubblica (Sapori) a Irina Steccanella, chef dell’agriturismo Mastrosasso che ha specificato come “ognuno sia figlio delle sue stesse esperienze, lui evidentemente ne ha avute di molto diverse dalle mie”, entrando a conoscenza con un mondo molto differente da quello che “c’è oggi in Italia, un paese che al livello enogastronomico può dire fortemente la sua in diversi settori”.
La conferma dell’importanza della gavetta viene poi da Luciano Villani, 34enne chef de La locanda del borgo presso l’Acquapetra di Telese Terme, che quest’anno ha guadagnato la stella Michelin. “È stata proprio questa perseveranza nello specializzarmi in una cucina di territorio che mi ha portato a questo importante risultato” e crede “che la Michelin porti ad una notorietà di sostanza, non di facciata”.
Vero che spesso si esagera, arrivando ad un vero e proprio sfruttamento della forza lavoro, soprattutto quella giovane, che rincorre il sogno della grande cucina, del servizio di classe, dei possibili clamori televisivi e poi si trova di fronte alla realtà fatta di stipendi bassi e turni anche di 75/80 ore settimanali.
Purtroppo senza impegno, dedizione e sacrificio non si va da nessuna parte.
Ma ha ragione il disilluso Domenico o Luciano Villani, 34 anni entrambi che guardano alla cucina e alla ristorazione in modo totalmente diverso?
[Link: Invece Concita, Repubblica. Immagine: cucchiaio.it]