Coronavirus: divieto di cena nei ristoranti in zona rossa per decreto
Dobbiamo ridurre le possibilità di contagio da Coronavirus tra le persone.
Questa è la linea anche del nuovo decreto che il Governo ha emanato poche ore fa e che estende la zona rossa a tutta la Lombardia e 14 province ubicate al nord.
Non si può entrare né uscire dall’intera Lombardia e dalle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti, Alessandria, Novara, Vercelli e Verbano Cusio Ossola.
Un’area molto vasta in cui non sarà possibile andare a cena nei ristoranti: tutte le attività ristorative potranno essere aperte solo dalle 6 del mattino alle 18.
Niente cena, solo pranzo insomma.
A patto che sia rispettata la norma di mantenere una distanza di un metro tra un commensale e un altro.
Tradotto in soldoni, ristoranti e pizzerie e non solo più pub o locali senza servizio al tavolo dovranno chiudere nel pomeriggio.
Senza distinzioni di stelle, forchette, cappelli, scatti.
Pesa sulla decisione di chiudere tutto sicuramente le immagini poco rassicuranti dei Navigli a Milano presi d’assalto come se fosse un giorno di festa con le persone che se ne sono bellamente fregate della raccomandazione del metro di distanza.
Il Coronavirus fa paura a corrente alternata, perché in fondo in fondo si guarisce. Nei casi più gravi si fa un po’ di terapia intensiva e solo quelli che già avevano problemi di salute muoiono “con” il Coronavirus, non “per” il Coronavirus.
Una leggerezza di interpretazione perché nessuno pare voglia pensare che le strutture sanitarie del nostro Paese, cioè gli ospedali e le sale di rianimazione e di terapia intensiva che possono aiutare a uscire dalle crisi respiratorie provocate dal Coronavirus, sono limitate.
Non possiamo permetterci di ammalarci tutti insieme.
Ecco perché non si può andare al ristorante, in pizzeria, al pub, al wine-bar di sera.
Una decisione che sembrerebbe folle, ma guardando i nostri concittadini che hanno preso il treno da Milano per ritornare al Sud altrimenti restavano “bloccati” come poter dar torto a una disposizione del genere?
È chiaro che non siamo capaci di autogestirci nemmeno nell’osservare semplici statuizioni come evitare di stare vicini e di assembrarci.
E non sarà il comportamento giusto di pochi a salvarci. Purtroppo.
Per la ristorazione che perde fino al 3 aprile grandi nomi come Bartolini al Mudec, Da Vittorio dei Cerea, l’Osteria Francescana di Massimo Bottura o Le Calandre dei fratelli Alajmo, solo per citare i tre stelle Michelin (ma ne resterà fuori per un limite geografico minimo Uliassi – qui potrete rendervi conto dei ristoranti stellati in area rossa) è una batosta incredibile.
Potrebbe salvare la ristorazione il delivery e l’asporto? Ci vorrebbe una specifica ad hoc perché il decreto così formulato chiude l’attività in toto e quindi, ad esempio, non sarebbe possibile per una pizzeria aprire con le serrande abbassate per cuocere le pizze e inviarle a domicilio.
Ma un periodo così lungo che potrebbe creare le condizioni per un deserto della ristorazione dovrebbe prendere in considerazione altre formule.
Altrimenti anche la bella idea di Irina Steccanella di creare #irinacasa e di portare i piatti della trattoria dai colli bolognesi a domicilio si spegnerebbe.
Cosa che accadrà, per esempio, a Milano da Gino Sorbillo che aveva avviato l’attività di consegna delle pizze con Uber Eats o del bento box di Wicky’s.
In uno scenario in rapida mutazione come quello imposto dal Coronavirus occorre esplorare tutte le soluzioni possibili per evitare che un comparto trainante come quello dell’agroalimentare e della ristorazione rischino un collasso da cui sarà lungo riprendersi.