Coronavirus. Perché dovremmo preoccuparci della carne
Il disastro della Tönnies e della carne. Così definiscono in Germania la nuova ondata di contagi che mette paura e fa scattare l’ipotesi di un nuovo lockdown. Sono 1.330 i nuovi contagiati da Covid-19 nel più grande mattatoio d’Europa, a Guetersloh, nel Land tedesco del Nord Reno-Vestfalia.
Più che di carne, bisogna però parlare di mattatoi, dei luoghi in cui gli animali sono abbattuti e vengono lavorati per diventare mezzene, polli spiumati, conigli e ovini scuoiati che successivamente approderanno nelle macellerie sotto forma di lombate, bistecche, filetti, costine, petti e cosce.
La Germania è il caso più eclatante per dimensioni e numeri dei contagi che fanno impennare la curva portando l’Rt, l’indice della diffusione del coronavirus nel tempo, oltre la soglia ritenuta (ancora) accettabile di 1.
I mattatoi sono diventati tanti focolai pronti ad appiccare l’incendio in aree più vaste di altri Paesi.
Irlanda, Francia, Regno Unito, Olanda, Spagna, Canada fanno la conta dei nuovi casi.
Negli Stati Uniti il coronavirus ha coinvolto quasi 200 impianti di macellazione con circa 24 mila contagi e un centinaio di vittime.
Più di un campanello di allarme che è suonato anche in Italia a Palo del Colle, in provincia di Bari, dove per due settimane era stato chiuso lo stabilimento Siciliani quando i positivi tra gli impiegati sono saliti a 71.
Si guarda alla Germania e al suo record positivo di pochi decessi che ha reso il Paese un modello di studio per arginare la diffusione del Coronavirus. Preoccupano le voci della possibile istituzione di una zona rossa nel land che ospita il gigantesco mattatoio del Gruppo Tönnies e che fa il paio con i focolai registrati in altri piccoli mattatoi tedeschi.
Pericolosi i mattatoi, non la carne
Come è accaduto in Cina con il tampone ai salmoni, diventati capro espiatorio della nuova ondata di contagi che ha portato indietro le lancette dell’orologio a Pechino, così la carne potrebbe essere additata come untore dei nuovi casi.
Un lungo e dettagliato articolo di Le Monde fa il punto della situazione e delle conoscenze scientifiche che con il Coronavirus sembra siano da prendere sempre con le pinze.
Non è la carne a diffondere il Coronavirus, questa la sintesi, ma le condizioni di lavoro nei mattatoi.
“Non vi è attualmente alcuna prova scientifica che la SARS-CoV-2 possa essere trasmessa da animali domestici e bestiame infetti all’uomo”, ha detto l’Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare, ambientale e della salute sul lavoro (Anses) all’inizio di marzo. Una diagnosi confermata in un parere aggiornato alla fine di aprile.
I ricercatori hanno anche aggiunto che “non ci sono prove che suggeriscono che mangiare cibo contaminato può portare a un’infezione del tratto digestivo,” poiché il coronavirus è neutralizzato durante la cottura. L’unica possibilità rimasta è “la possibilità di infezione delle vie respiratorie durante la masticazione”, che “non può essere totalmente esclusa”, aggiunge L’Anses.
“Dobbiamo mettere fine a certe voci”, ha detto Marie-Agnès Linguet, sindaco di Fleury-les-Aubrais, dove 34 dipendenti di un macello sono risultati positivi. “Ho sentito dire che alcune persone vogliono buttare via la loro carne o il loro pâté. Cerchiamo di essere ragionevoli”.
La politica non va esattamente nella stessa direzione delle indicazioni scientifiche, questo lo abbiamo capito in Italia, ma prima di mettere al bando la carne dalla tavola, è il caso di ritornare nei mattatoi.
I protocolli sanitari dei macelli prevedono già l’uso di guanti, cappucci e indumenti protettivi nelle fabbriche dove la temperatura raramente supera i 4-6 gradi Celsius. In alcuni stadi del processo, in particolare nel caso della lavorazione della carne, sono obbligatorie anche le mascherine. “Sembra che il protocollo sanitario sia stato rispettato” nello stabilimento di Fleury-les-Aubrais, ha detto Pierre Pouëssel, prefetto del Loiret, in una conferenza stampa. Il direttore del mattatoio di Kermené, nella regione delle Côtes-d’Armor, ha illustrato anche le misure sanitarie “eccezionali” attuate nel suo stabilimento dal 16 marzo.
Perché i mattatoi sono luoghi del contagio
Sotto la lente d’ingrandimento del perché un mattatoio sia così pericoloso è il fatto che il virus si trova perfettamente a suo agio in ambienti in cui circola costantemente aria fredda e umida.
Le ragioni della conservazione della carne sarebbero superiore alla difficoltà, in alcuni casi, di mantenere tra gli addetti ai lavori la distanza interpersonale di 2 metri.
A questa mancata osservanza della distanza interpersonale si aggiunge il pesante lavoro fisico che rende difficile la respirazione e mantenere nella corretta posizione la mascherina davanti a bocca e naso.
Lo sforzo fisico aumenta la frequenza e la profondità dell’inspirazione e dell’espirazione. E noi sappiamo dai divieti vissuti nel periodo di lockdown che l’attività sportiva e amatoriale diventa un veicolo di trasmissione.
Come se non bastasse, l’osservazione di alcuni mattatoi ha messo in evidenza che i lavoratori, per sovrastare il rumore meccanico di carrucole e nastri, lalzano la voce per farsi sentire dai compagni di lavoro anche a distanza ravvicinata. Uno spargimento ulteriore dei famigerati droplet, le goccioline potenzialmente infette di coronavirus che si ritrovano nell’ambiente più favorevole a loro per rimanere in vita e attive.
Sarebbe quindi questa la catena di trasmissione del virus. Il lavoro nell’industria della carne “comporta compiti fisici che vengono eseguiti rapidamente, generando un sacco di aerosol in un ambiente freddo e chiuso, che potrebbe moltiplicare il rischio di trasmissione se una persona è infetta”, dice la professoressa Raina MacIntyre della University of New South Wales, vicino a Sydney, all’Agenzia France Presse. “E’ possibile”, ha confermato anche il professor Antoine Flahault, direttore dell’Istituto di Salute dell’Università di Ginevra.
Sarebbe dunque la conferma che anche l’aerosol composto dalle più infinitesimali goccioline di saliva trasmette il contagio.
I comportamenti sociali intorno ai mattatoi
A completare il quadro, di per sé già preoccupante, c’è il risvolto sociale evidenziato da Paolo Valentino, corrispondente da Berlino del Corriere della Sera.
“Ma il segreto sporco del gruppo e dell’intero settore della lavorazione delle carni in Germania è in realtà proprio la condizione di lavoro e di vita dei Gastarbeiter stranieri, provenienti da ben 87 nazioni. Sono spesso alloggiati in massa in dormitori insalubri, dove non viene rispettata alcuna misura sanitaria o di sicurezza. E sono pagati con salari molto inferiori al minimo in vigore in Germania, grazie alla finzione di essere assunti da società sub-contraenti, datori di lavoro ufficiali di circa metà degli addetti all’impianto di Tönnies”.
«La nostra fiducia nella ditta Tönnies è pari a zero», ha detto Thomas Kuhlbusch, capo dell’unità di crisi di Guetersloh.
Il comitato d’emergenza contesta all’azienda di non aver fornito la lista completa degli indirizzi di tutti i 6500 dipendenti, impedendo la verifica immediata dell’estensione del contagio e il suo isolamento.
Così racconta Paolo Valentino e il Corriere della Sera ritorna sull’argomento per ricordare che spesso i lavoratori stranieri dei mattatoi vivono ammassati in dormitori insalubri a poca distanza dai luoghi di lavoro o affrontano lunghi viaggi in bus stracolmi per raggiungere il posto di lavoro.
Senza contare che i controlli sanitari della manovalanza non sono sempre puntuali, la misura della temperatura o test sierologici non sono sempre garantiti.
Carne da macello buona per la propagazione del coronavirus: ma non è quella che mangiamo quanto quella che con un lavoro duro, e a questo punto rischioso, la fa arrivare sulle nostre tavole.