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16 Ottobre 2018 Aggiornato il 16 Ottobre 2018 alle ore 12:07

Milano. Cos’è la cucina istintiva di Mauricio Zillo

Mauricio Zillo, chef italo-brasiliano (ah, dal lato italiano c’è sangue partenopeo) che ha lasciato un segno nei suoi trascorsi milanesi, su tutti
Milano. Cos’è la cucina istintiva di Mauricio Zillo

Mauricio Zillo, chef italo-brasiliano (ah, dal lato italiano c’è sangue partenopeo) che ha lasciato un segno nei suoi trascorsi milanesi, su tutti l’esperienza al bistronomico Rebelot, da oggi 16 ottobre fino al 14 novembre sarà il protagonista del format la “Cucina Istintiva” a Milano.

Una serie di chef-ospiti proporranno la loro idea di cucina “istintiva”: ognuno avrà a disposizione un budget in base al quale sceglierà gli ingredienti e il menu della serata (fisso, 4 portate salate e un dolce, 50 € vini esclusi). Un menu degustazione ideato da professionisti della cucina accomunati da un estro non comune, menu che verrà svelato solo pochi minuti prima della cena, perché sarà legato a quanto disponibile giornalmente sul mercato.

Abbiamo parlato con Mauricio della sua idea di cucina istintiva.

Cucina basata sulle materie prime reperite girando per mercati locali, ovvero ricercando e selezionando solo piccoli fornitori di grandissima eccellenza.

Istintiva, come accadeva con i non-menu del milanese Rebelot, che  raramente seguivano linee consuete, improntati come erano al più puro estro dello chef:

Perché mi piace lavorare così, in base a quello che c’è disponibile, esaltando ed utilizzando la grande biodiversità italiana come stimolo per la mia fantasia.

Me lo racconta durante una pausa delle preparazioni del primo dei quattro menu che caratterizzeranno questo mese milanese.

Il mio menu è basato su quello che ho trovato a Torino al Salone del Gusto, tutti prodotti di piccoli produttori, dal cardo gobbo di Nizza Monferrato alle antiche mele dell’Etna, dal fagiolo di Controne al sedano rosso piemontese, dalle mandorle di Torrito al Fiore sardo di 30 mesi, per finire con le acciughe del catanese (per me superiori a quelle del Mar Cantabrico), il cedro liscio calabrese, il chinotto di Savona ed altre eccellenze ancora. Ma senza schemi fissi, insomma sempre secondo lo stile nato a Milano e sviluppato poi a Parigi.

Già, Parigi, dove avevi aperto il tuo ristorante A Mere.

Perché lì è stato possibile partire subito, anche arrivando senza fondi e presentando semplicemente un progetto in banca (ed è stato uno dei motivi per cui ho lasciato l’Italia, purtroppo).
Ma è stato anche il posto dove a un certo punto sentivo di non poter andare oltre: l’uscita del socio-sommelier ha caricato l’intero peso sulle mie spalle, limitandomi in quello che amo fare più di ogni altra cosa: cucinare, inventare, essere a contatto con le materie prime.
E per far sì che l’istinto funzioni bene devi essere al 100% con la testa libera.
Me ne sono accorto all’improvviso, con i piatti che non erano più gli stessi di prima, che risentivano del minor tempo che potevo dedicare alla loro creazione, preso come ero dalla gestione dell’intera attività, dalle bollette alla lampadina fulminata.

E anche lì, nonostante la tua riconosciuta italianità, non hai mai preparato piatti di pasta.

Innanzitutto non la preparo perché non mi permetto. [ride, ndr]
Sia chiaro, a casa la preparo tutti i giorni, per me. Amo la gricia, la carbonara, la pasta con il ragu, lo spaghetto al pomodoro o con le vongole. Però io cucino d’istinto, proverei a cambiare qualcosa di sicuro. E non vedo il motivo per cambiare qualcosa che, giustamente, si fa in un certo modo da una vita. Ecco perché non la preparerei mai in un ristorante, non vedo proprio come inserirla nella “mia” cucina.
E poi c’è anche un problema di formazione, fortemente transalpina, una cucina che, come sai, la pasta non la prevede.
Però non preoccuparti: se un mio cliente a fine cena dovesse averne voglia non esiterei a preparare una bella spaghettata, di quelle di mezzanotte, che so, aglio, olio e peperoncino.
Perché la pasta la vedo come un qualcosa di conviviale, un po’ come il pollo arrosto, da condividere in compagnia, insomma.

Però non puoi negare che hai provato a “rimaneggiare” il piatto di pasta secondo i tuoi schemi.

Beh sì, una volta, in Sardegna, ospite di Roberto Petza, ho tenuto una “lezione” e ho utilizzato una pasta fresca che preparava una signora del paese, ho chiesto un burro di pecora che Roberto è andato a trovare nel nord della Sardegna, un burro che è molto grasso, e un caglio di capretto (“callu de cabrittu”, un rarissimo formaggio che si realizza a partire dai residui dell’ultima poppata di latte materno, che vengono chiusi direttamente nell’abomaso del capretto, cioè il quarto stomaco, in modo da farlo prima cagliare e poi stagionare), utilizzato come se fosse una bottarga di terra, che tra l’altro Petza aveva invecchiato per due anni, quindi duro, da grattugiare. La pasta l’ho cotta in un brodo di fieno che ho preso là nei campi circostanti.
Insomma, una pasta mantecata con burro e brodo di fieno a formare un cremoso di pecora e il callu de cabrittu sopra, come se fosse un semplice piatto di pasta al burro e parmigiano, alla mia maniera, però [e ride di nuovo, ndr].

Quindi niente pasta anche in questa occasione italiana. E pensi che i tanti ospiti, perché pare che saranno davvero tanti a venire a trovarti, gradiranno questa scelta?

Innanzitutto devo ammettere che non mi aspettavo già tante prenotazioni sin da subito, anche se la costante presenza di almeno un tavolo “milanese” al giorno nel mio ristorante a Parigi mi faceva capire di aver lasciato una traccia ben chiara nella mente dei milanesi.
In verità attendo con interesse le loro reazioni, in quanto non so se in questi tre anni e più sia poi effettivamente migliorato o meno nel portare avanti il mio percorso di sperimentazione basato sul constante utilizzo della biodiversità italiana.

A ben vedere sembra però che qualcosa di buono sia già venuto fuori. Mi riferisco al tuo secondo, Francesco Ruggiero, che da giovane stagista è ormai diventato il tuo inseparabile supporto da più di sei anni.

E che spero possa prima o poi sostituirmi pienamente, in modo da potermi permettere di avviare nuovi progetti, che potranno passare per le strade della consulenza, ma anche dell’insegnamento, senza mai perdere di vista il principale amore, ovvero la cucina.
Perché quello amo fare, cucinare.

E io, a questo punto, non posso che lasciarlo al suo lavoro. Appuntamento Al Cortile, fino al 14 novembre.

Cucina Istintiva al Ristorante Al Cortile. Via Giovenale, 7. Milano. Tel. +39 0289093079.

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