Milano. Dagospia tritura Yoji, ex sous chef di Massimo Bottura, che ha aperto Tokuyoshi
Lady Coratella è la curatrice della nuova “rubrica sulla società dei magnaccioni, oggi imperante”, avverte Roberto D’Agostino dalla corazzata Dagospia.
E volano subito frattaglie a Milano, anche se il nome ispirerebbe un movie da cucine romane.
I primi fortunati ad essere citati dal blog che macina numeri monstre sono alcuni chef che hanno partecipato a Identità Golose. Il beniamino, ovviamente è Carlo Crik-Crok Cracco. “Re della patatina dopo Rocco Siffredi”.
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Tutto bello a IG 2015, ma la domanda è: chi gira il sugo in cucina mentre gli chef sono sul palco? I sous chef, chiaro.
Di secondi si parla nel post successivo. Cracco è sempre sugli scudi per il suo secondo da Carlo e Camilla in Segheria (e per i cocktail) e per l’ex Matteo Baronetto, ora stellato e in forma felice al Cambio di Torino, che gli ha “tirato la volata al successo stellato cucinando buona parte dei piatti che Cracco firmava prima di sbocciare in Tv”.
Dal circolo del gastrofighettismo imperante arriva voce che la Lady non abbia un minimo di preparazione nel settore food. Sia solo fuffblogger (cit.), insomma.
“State a rosicà”, insinua qualcuno e sempre di frattaglie si tratta.
Anche perché la Coratella stende nero su bianco un giudizio a dir poco caustico che mette(rebbe) fine all’ipotesi “scrive senza nemmeno andare”.
Ma qualcuno fra i secondi a Milano fa una figura di palta. L’ex vice di Massimo Bottura, ritenuto all’estero il migliore chef italiano (tre stelle Michelin a Modena), con un menù degustazione oriental//fushion/incasinated, che dura più di una degenza con piaghe da decubito, fa incazzare quasi tutti in sala da Yoshi, di recente apertura. Speriamo si riprenda.
Vorrei vedere patente e libretto della Lady Coratella perché paro paro questo è il giudizio espresso da ennemila critici gastronomici, giornalisti, guidaroli, opinion leader, appassionati di cibo, gastrofanatici, intenditori di vino, amici e parenti che si sono seduti ai tavoli e al bancone del ristorante Tokuyoshi nel breve lasso di tempo che va dall’apertura del locale alla chiusura di Identità Golose 2015.
Sì, perché Yoji (Coratella, prendi nota del nome sempre che il correttore non mi trafigga) ha giocato la carta d’azzardo e ha tagliato il nastro in fretta e furia per accogliere il circo(lo) gastronomico che non si è fatto attendere.
Ovvio che l’aspettativa fosse molto alta mercé il diluvio di articoli, post, stati estasiati sui social. Yoji ha creato, suo malgrado, un’attesa che nemmeno una finale di Champions.
In ordine sparso e senza pretesa di completezza ne avevano dato notizia: Gambero Rosso, Fine Dining Lovers, Reporter Gourmet.
Ascoltati e intercettati pensieri, parole, distinguo e notazioni fulminee di molti dei partecipanti delle cene, ho guardato al pranzo del tenutario di queste pagine. Che ha sintetizzato l’impressione in un “troppo affrettata l’apertura per ragionare”. E ha puntualizzato: “A sala molto poco abitata chiaro che il giudizio su questa cucina italiana contaminata possa divergere radicalmente”.
“Premetto che sono per la minimizzazione della presenza del sale. Non sull’inesistenza, ma il mio q.b. è basso”. Che vorrà dire lo scopriremo mangiando?
Si parte con un pane non salato che accompagna il burro, ma l’attenzione è tutta per i fogli che si piegano a fare da piatto.
Il brodo ottenuto da scarti delle verdure riprende l’abitudine giapponese di bere qualcosa di caldo ad avvio pasto, recepisco.
L’ostrica con caffè verde è “un po’ troppo leggera soprattutto dopo il brodo caldo, ma più di un commensale lo ha indicato come il piatto migliore”.
L’insalata di riso nero con cavolfiori, puntarelle e calamaretti “mi è molto piaciuta: croccante e con lo stridio del cucchiaio sul piatto che sembrava volesse sottolinearlo”.
Gli spaghetti di patate con cozze e tartufo “li ho collegati a quelli di un collega giapponese a Roma. Che li fa più buoni, ma il contenitore a forma di patata creato in Giappone è nota pignola”.
Triglia e triglie è un 100% di pesce. “Punto. Anche per il sale che è solo nella salsa”.
Risotto milanese. “Un altro pianeta per chi pensa al riso qui sostituito dal sedano rapa tagliato a sua immagine con tecnica di mantecatura che inganna e quasi ti fa chiedere: perché diavolo non c’è il riso (cit.)?”
Tagliatelle con ragù di Modena. “La tradizione guarda avanti con un ragù che quasi cambia consistenza di grasso a seconda del piatto in cui finisce, mi par di capire. Ma buono”.
Maiale. “Il vestito d’inverno non mi esalta. Bassa temperatura, consistenza ok, ma verdure che si ammassano in bocca”.
Tatin. “Divertente e buona”.
Cemento e terra. “La voglia di stupire richiamando altre sensazioni può giocare qualche brutto scherzo”.
Capolinea con qualche nota.
La domenica del pranzo, a pochissimi giorni dall’apertura, erano in 8 a far camminare il ristorante compreso Yoji Tokuyoshi. Non c’è capo partita, non c’è lavapiatti: ognuno mette in ordine e lava le cose che ha utilizzato (sarà questo il motivo delle lunghe attese?). Eppure nei 400 CV arrivati appena si era diffusa la notizia dell’apertura qualche lavapiatti avrà inoltrato domanda.
E il giudizio finale?
“Ho chiesto a Massimo Bottura se per caso fosse andato da Yoji inviandogli la foto del risotto. Ha risposto: no, non ancora, gli dò tempo. Se lui che conosce bene il suo modo di cucinare ha detto che aspetta, perché essere frettolosi? Forse lo è stato già Yoji”.
Capito Lady Coratella? Tocca attendere un attimo. E vedere almeno se qualcuno del circus della tavola è ripassato ad assaggiare la cucina contaminata di un secondo che aspira giustamente a diventare primo.
Io di più non direi. Tanto un’idea ve la sarete fatta se siete andati ad assaggiare. O no?
Ristorante Tokuyoshi. Via San Calocero, 3. Milano.
[Immagini: Franca Formenti, iPhone Vincenzo Pagano]