La Grande Bellezza: il cibo è da Oscar
Ho amato da subito La Grande Bellezza che ha vinto l’Oscar per il Migliore Film Straniero.
Dopo 15 anni, l’Italia torna alla vittoria e lo fa con questo film che racconta l’età d’oro di Paolo Sorrentino: quella degli anni Settanta e Ottanta.
“Grazie alle mie fonti di ispirazione: Talking Heads, Federico Fellini, Martin Scorsese e Maradona. Grazie a Roma e a Napoli e alla mia personale grande bellezza: Daniela, Anna e Carlo”, ha commentato sul palco il regista accompagnato dal produttore Nicola Giuliano.
Lo so, dovrei gioire solo della statuetta conquistata dall’Italia. Ma un flashback sul cibo mi prende mentre guardo lo scorrere dei tweet.
Umberto Contarello, innanzitutto, sceneggiatore celebrato in un articolo sul Giornale come fattore geniale. Che ho conosciuto all’enoteca il Goccetto a via dei Banchi Vecchi, dove ha festeggiato la candidatura all’Oscar (e dove si presume festeggerà anche la conquista dell’Oscar). E sappiamo che l’Arnaldo al Pantheon, citato nella Grande Bellezza, è in realtà Armando della famiglia Gargioli come ha rivelato. Eusebio, il marito fedigrafo di Stefania va a pranzo lì ogni giorno.
Nicola Giuliano, che conosco da più tempo e che ho incontrato a distanza di anni all’inaugurazione di Ham Holy Burger, la catena di Rossopomodoro il cui presidente Franco Manna è stato giocatore di rugby. Proprio come Nicola Giuliano.
Di Paolo Sorrentino, napoletano trapiantato a Roma (abita a Piazza Vittorio), sappiamo che ama un ristorante storico di Torino, le Tre Galline.
Avete seguito come è raccontato il cibo ne La Grande Bellezza?
Le arance raccolte dalla suora nel giardino finiranno nello spremiagrumi di Jep Gambardella reduce da una delle sue notti mondane? Il dubbio mi resta al pari del ristorante zona Pantheon in cui Servillo e Ferilli incontrano Antonello Venditti e un prelato che ordina champagne Cristal.
Dadina, la direttrice della rivista, offre un riso scaldato. Preferisco la pizza con la scarola della “farabutta”, la colf di casa Gambardella.
Il product placement di SanPellegrino piacerà? A voi giudicare la scena con il commensale arabo che gusta spaghetti con le vongole utilizzando il cucchiaio insieme alla forchetta. Ma il lancio per la prossima 50 Best è efficace.
Potrebbe funzionare ancora meglio l’abbinamento della birra Peroni con Jep Gambardella nel bar frequentato dagli anziani.
Al catering della festa del più grande collezionista in questo paese di debosciati, un piatto di orecchiette con cime di rapa galleggia nella fontana.
Anche la morte ha il suo peso sul cibo. La vedova dell’amico resta sola a capotavola nella sala da pranzo, mentre il padre di Ramona/Ferilli si dispera sotto il flash del paparazzo all’Harry’s Bar di via Veneto. Una vita amara, più di quella dolce cui molti si richiamano.
Ma forse le immagini più fastidiose di una decadenza di spirito che associa nella caduta vertiginosa il cibo sono quelle dedicate al cardinale Bellucci in corsa per il pontificato. Nel giardino, sono prima i bocconcini di mozzarella a essere protagonisti. L’alto prelato ha una mania per le ricette che sciorina in pubblico. 12 pezzi, rosolato, timo, alloro, rosmarino, vino rosso, olive taggiasche: “Ecce coniglio alla ligure”. Micidiale. Peggio dell’agnello che segue.
E il cibo non è salvato dalla santa suor Maria che mangia solo 40 grammi di radici “perché le radici sono importanti”.
È Dadina che offre il minestrone a uno scorato Jep Gambardella a ridargli valore. “Com’è il minestrone, Geppino?” “Il minestrone è buono. Ma tu com’è che mi hai chiamato Geppino?”. “Perché un amico ogni tanto ha il dovere di far sentire l’altro amico come quando era bambino”.
Ritrovare la propria età d’oro in un piatto: quella del bambino e dell’adolescente.
Non trovate anche voi qualche spunto di grande bellezza del cibo in questo film?