Il “signor Marchesi”: il ritratto di Anna Prandoni, coordinatrice dell’Accademia del Cuoco scomparso
Oggi alle ore 11 nella chiesa Santa Maria del Suffragio in Corso XXII Marzo, angolo Via Bonvesin de la Riva, 2 a Milano si svolgono i funerali di Gualtiero Marchesi.
Anna Prandoni è una delle persone che hanno affiancato Gualtiero Marchesi in questi ultimi anni, all’Accademia Marchesi, che “il signor Marchesi” aveva creato nel 2014 in via Bonvesin de la Riva, l’indirizzo del suo primo ristorante, e nelle sue uscite pubbliche. Penso con il compito di sorvegliarlo, e impedire che se ne andasse a spasso, o in discoteca: qualche volta l’ho sentito lamentarsi, scherzosamente, che non gli lasciavano fare quello che voleva…
Ho chiesto ad Anna un ricordo del “signor Marchesi”, come lo chiamava sempre – noialtri non si sapeva mai come chiamarlo, Maestro, chef (no, cuoco), Gualtiero, Marchesi…
Quando conosci un autentico genio, fatichi a riconoscerlo subito come tale, soprattutto se vivi fianco a fianco con lui e lo impari a conoscere prima come uomo.
Il signor Marchesi era innanzitutto una splendida persona: aperto, sorridente, generoso e sempre disponibile, con tutti. Puntualissimo, detestava arrivare in ritardo e si arrabbiava quando qualcuno lo faceva aspettare.
Amava i cuochi, ne aveva un profondo rispetto, anche se quasi nessuno aveva la sua benedizione totale.
Amava insegnare. Ai nostri allievi dico sempre che lui era un docente naturale: lui non faceva il Maestro, lo era.
Adorava i suoi appunti, sparsi su foglietti o quadernini che custodiva gelosamente nella tasca della giacca, e faceva comparire quando serviva spiegare un concetto complesso in maniera semplice.
La musica era la sua seconda (prima?) più grande passione, e se in Scala c’era spettacolo era facilissimo incrociarlo in platea, per poi ritrovarlo al Marchesino, accanto al carrello del risotto, pronto ad accompagnare con una battuta il servizio con la ciotola e il cucchiaio. Gli piaceva assai mangiare, ma più di tutto adorava assaggiare, spiluccare, rubare le pietanze dai piatti dei vicini, possibilmente usando le mani, e costringendo chi gli stava accanto a fare lo stesso. Un vezzo? Non solo. Anche una passione sfrenata per la materia prima, che andava conosciuta, scelta con cura, rispettata in cottura e toccata prima di farla diventare parte di noi.
Gli piaceva più di tutto essere attivo, fare, parlare con le persone: ogni incontro si trasformava in una riflessione, spesso pungente, o in un’idea. Ed è qui che, piano piano, ho imparato a capirne la autentica genialità: il suo pensiero correva avanti, era perennemente rivolto al futuro. Viveva nell’oggi avendo gli occhi pieni di domani. Ogni spunto si trasformava in idea con la rapidità e la naturalezza che può avere solo un genio innato.
Ha arricchito e reso uniche le vite personali e professionali di tutti coloro che hanno potuto lavorare per lui. Uso ‘per’ e non ‘con’, perché si lavorava per il signor Marchesi ma solo in poche occasioni si aveva il privilegio di lavorare ‘con’ lui. E questi pochi attimi erano un arricchimento che lasciava un segno indelebile.
“Anna, lo sai qual è la cosa bella di avere la mia età? Di poter dire tutto quello che si pensa.”
Non ha mai smesso, non smetterà mai.
[Immagini: Anna Prandoni, Accademia Marchesi, Carlo Fico]