La tavola del Piastrino da scoprire su su, a Pennabilli
Sono felice che tu sia qui con me. Qui, alla fine di ogni cosa…
(Frodo, il signore degli Anelli)
Diavolo, ma quando si arriva? Sarà la strada giusta? Questi accidenti di navigatori non si capisce mai dove ti mandino… Da Faenza a Pennabilli è un viaggio. Non guardate i chilometri di strada, sono pochi non arrivano neanche a cento, ma la strada non finisce più. Si inerpica in questo spicchio di terra di nessuno: al limitare tra Romagna, Toscana e Marche, a un tiro di schioppo San Marino. Curve su curve, tornanti dietro tornanti, in mezzo ad un panorama fantastico, nel cuore del Montefeltro, sembra di aver preso la macchina del tempo e di essere tornati nell’anno mille, tra chiesette e ceramiche di Luca della Robbia. E proprio quando pensereste di girare la macchina ed andarvene, quando avrete deciso che il vostro GPS è definitivamente rotto, solo allora vedrete un casale di pietra, caldo e accogliente e sarete arrivati.
Ci si deve venire apposta al Piastrino, difficilmente ci capiterete per caso. Chi suona il campanello di questo casale lo fa a ragion veduta, spinti dal passaparola incessante che sta additando questa tavola come una delle più interessanti di questo nuovo decennio. Anche noi ci siamo venuti apposta, con mille curiosità e trepidazioni. In questo nuovo millennio superveloce, dove anche la comunicazione gastronomica corre sulla rete in velocità 3G, Il Piastrino ci aveva incuriosito e lo avevamo segnato sull’agenda dei posti da visitare.
Il luogo è molto accogliente, sperso ai piedi di un paesino da presepe. La porta di legno antico promette subito bene, le vecchie pietre a spacco dell’architettura anche meglio. Si entra e l’ambiente è insieme rustico e ricercato. Il decor è fin troppo affettato e ricercato, con quel sapore di ricercatezza rassicurante e il gusto del dettaglio, che fa tanto Coin casa. La sala è geometrica e precisa: lino chiaro, legno, pietra, cristalli sono i materiali che subito saltano agli occhi. Il focolare scoppiettante riscalda cuore e membra.
Ci accomodiamo a un tavolo defilato, siamo i soli in una uggiosa mattina d’autunno. La fame è tanta e la curiosità anche di più. Ci accudiscono due graziose fanciulle, operose e sollecite, che riescono nel difficile compito di essere affettuose ed insieme discrete. Il menù chiarisce subito che qui si fa sul serio, anche troppo. I piatti sono alla lettura, ambiziosi, moderni e golosi. Il territorio che ci colpisce intorno, le pietre al cui interno siamo seduti, i legni antichi che ci hanno introdotto, il camino che ci scalda: in una parola l’heimat che ci riempie, resta in sottofondo nel menù. Quasi un rumore di fondo che ci parla di autunno e di boschi, di animali da cortile e verdure. Materie prime, lette in maniera moderna e alla moda.
La cucina di Riccardo Agostini è un’intelligente sintesi tra modernità e tradizione, molto efficace e tecnica. Peccato l’avremmo gradita più viscerale, ma non si può avere tutto. Intanto scopriamo la competenza e gentilezza della titolare che ci riempie di mille attenzioni. La carta dei vini è personale e ragionata, per nulla banale e dai ricarichi corretti: noi ordiniamo un lambrusco metodo ancestrale Saetti che si rivelerà un alleato prezioso. Per il mangiare, scegliamo di andare alla carta, tanto siamo soli, e possiamo così assaggiare tutti i piatti che chi interessano.
Uovo croccante morbido con insalata di finferli e sedano, tartufo scorzone. Oramai qualsiasi menù ha perlomeno un uovo in carta. Questo è particolarmente generoso e goloso. Sa di fritto allegro e di sottobosco d’autunno. Generoso
Carpaccio di marchigiana, anacardi e tartufo. Un piatto molto classico che vive di materia prima. Gli anacardi freschi gli danno un piacevole tocco inusuale. Il tartufo è molto intenso e buono malgrado un’annata difficile. Territoriale
Cappelletti di piaccione in salmì in brodo profumato ai fiori di sambuco. Intenso e generoso. Chiude con una bellissima nota amara verticale che lo veste e rinfresca. I cappelletti sono buoni, peccato per il ripieno dalla consistenza fin troppo cremosa. Alla Moda
Gnocchi patate farciti di ricotta, leggermente affumicata noci e porcini. Succulenti, con una nota affumicata guascona e una morbidezza persino eccessiva. Una portata buona e morbida, anche se un poco banale. Piacevole
Minestra di cardi al profumo di limone, con passatelli al pepe e storione e capperi. Un piatto in cui vince l’esibizione della tecnica e del pensiero. Pochissima pancia e molto cervello a tenere insieme sapori apparentemente distonici. Ci riesce, e non è poco, ma nel complesso non decolla mai. Pensato
Faraona con patate e tartufi vista da noi. Un abito moderno e trendy, per un piatto che fa della solidità territoriale la nota principale. La cottura è millimetrica e le carni succulente. Fichetto
Piccione farcito alle erbe di campo, cotto sui carboni, lamelle di tartufo nero purè di patate all’olio. Una gran bella pietanza, solida e territoriale. Quello che vorremmo di più da questa tavola. Il piccione è intenso e lussurioso, solo fin troppo saporito. Centrato
Parfait ghiacciato, biscotto alle mandorle, mela smith e cardamomo. Un dessert fin troppo esibito. Tecnico e moderno. Nel complesso discreto ma tutto sommato inutile. Tecnico
Pane e raviggiolo alla vaniglia con salsa d’ ananas e maggiorana. Un dessert splendido, moderno e ancestrale insieme. I rimandi sono arditi e azzeccati. Insieme al piccione, la chiave di volta delle possibilità del locale. Illuminante
Una bella cavalcata di sapori e tecniche, attraverso una cucina sicuramente valida e centrata, con influssi alla moda e molta sostanza. Nel complesso usciamo nell’imbrunire autunnale con la sensazione di un indirizzo solido come molti in questa provincia italiana disseminata di perle, anche più rare. Il conto sui 65 € per tre piatti e un dolce accompagnati da una bottiglia di vino in tre, ci sembra corretto e giustificato da una misurata ambizione.
Ristorante Il Piastrino. Via Parco Begni, 5. Pennabilli (Rimini). Tel. +39 0541.928106
(Giorni di riposo, martedì e mercoledì)