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Vino
13 Settembre 2024 Aggiornato il 13 Settembre 2024 alle ore 12:34

Il vino naturale non esiste, c’è il vino tatuato, dice Camillo Langone

Camillo Langone polemizza sui tatuaggi dei vignaioli come requisito per definire un vino naturale che non esisterebbe. Ma non è vero
Il vino naturale non esiste, c’è il vino tatuato, dice Camillo Langone
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Ho da poco appreso una grande novità: Il vino naturale non esiste, esiste il vino tatuato. A dirlo è Camillo Langone nella sua rubrica sul quotidiano Il Foglio, “Preghiera”. 

Ve la siete persa? La riportiamo qui.

«Il vino naturale non esiste, esiste invece il vino tatuato, lo sciamanico vino del vignaiolo inchiostrato. L’ho capito quando Giovanni Gregoletto, produttore insieme ai fratelli di alcuni dei migliori bianchi veneti, mi ha raccontato di sentirsi escluso dal circuito delle vinerie naturaliste, o naturiste, o non so come chiamarle ma ci siamo capiti. Eppure i suoi vini soddisfano i parametri di quei fanatici: lieviti indigeni, pochi solfiti, niente filtrazione, addirittura la rifermentazione in bottiglia…

Mentre mi parlava lo guardavo e improvvisamente ho capito: Gregoletto non è tatuato. Non ha orecchini e nemmeno un anello al naso. È uomo di aspetto assolutamente convenzionale, così come la grafica delle sue etichette. È questo che lo frega. Gli appassionati di vino si muovono a gregge: prima sono arrivati quelli che giudicano il vino in base al nome (Barolo! Brunello! Champagne!), poi quelli che giudicano il vino in base al prezzo (più costa meglio è), adesso sono arrivati quelli che lo giudicano in base al tatuaggio. Il tatuaggio fa il vignaiolo selvaggio.

Ribelle. Alternativo. Trasgressivo. E pazienza se il vino puzza.»

Chi è Camillo Langone

bicchieri vuoti langone

Sempre per chi non lo conoscesse, due parole su chi è Camillo Langone.

Scrittore e giornalista senza filtri, probabilmente uno dei più noti polemisti in circolazione, non solo per quello che riguarda il vino e il cibo. Voce spesso fuori dal coro, il più delle volte in modo impertinente e controcorrente, si fa spesso beffa del pensare comune, incurante delle reazioni. 

Grande appassionato di vino, però. E appassionato in una maniera viscerale, talebana, almeno così sembrerebbe dal suo libro Dei miei vini estremi. Un ebbro viaggio in Italia” (Marsilio, 2019), lettura consigliatissima. Come è arcinoto agli addetti di settore, lui non degusta, “non sputa”, beve, e raramente dà indicazioni sul vino. Ama raccontare le storie collegate, praticamente a 360°. Persone, territori, e chi più ne ha più ne metta: ogni pretesto è utile per arricchire i suoi racconti.

Lambruschista convinto, che apprezza Bergianti, Camillo Donati, Angol d’Amig, tutti produttori di vini rifermentati in bottiglia. Così come Mario Pojer (vulcanico e visionario enologo/produttore) ed il suo Zero Infinito, definito l’unico vino buono senza solfiti. 

E poi come si fa sotto sotto a non essere contenti quando si legge che lo chardonnay italiano è imbevibile, e che la regione italiana più sottovalutata è la Campania? Qui ci sono elementi per affermare di poterlo amare in maniera quasi incondizionata.

Eppure – modalità panegirico off – quest’ultima considerazione da lui scritta, il vino naturale non esiste, esiste invece il vino tatuato, proprio non mi quadra.

Cosa non mi piace nell’articolo de Il Foglio

brindisi vini naturali

Tralasciamo la ritrita frase “il vino naturale non esiste”. Tra l’altro credo che Langone sappia benissimo identifichi un movimento e non una tipologia di vino, tra l’altro non normata.

A non andarmi giù è quel “vino tatuato”. E anche gli argomenti usati per dimostrare di non aver torto.
Non credo per la semplice amicizia con il produttore qui indicato, ma più semplicemente per restare nell’ambito del personaggio scomodo. Dopo tutto lui dice sempre quello che pensa.

Si parla di Giovanni Gregoletto, che fa parte di una delle più note famiglie che producono Prosecco.

Cito testualmente Langone: «mi ha raccontato di sentirsi escluso dal circuito delle vinerie naturaliste, o naturiste, o non so come chiamarle ma ci siamo capiti. Eppure i suoi vini soddisfano i parametri di quei fanatici: lieviti indigeni, pochi solfiti, niente filtrazione, addirittura la rifermentazione in bottiglia…»

Li chiama fanatici, il nostro Langone, intendendo sicuramente i produttori che vinificano seguendo quelle linee come i produttori indicati sopra, da lui già citati in altre interviste.

Cito di nuovo testualmente: «Mentre mi parlava lo guardavo e improvvisamente ho capito: Gregoletto non è tatuato. Non ha orecchini e nemmeno un anello al naso.»

Ah, ma davvero? Ho incontrato più volte Marco Lanzotti di Angol d’Amig, e non mi pare di aver visto, a meno che non siano ben nascosti, lembi di pelle tatuata. Né tantomeno orecchini o anelli al naso. Così come i suoi maestri, Vittorio Graziano, Vanni Nizzoli (Cinquecampi) e i fratelli Masini (Cà dei Noci), che conosco, e bene, da tempo. E potrei continuare con la lista.

Comunque: almeno sulle bottiglie di vino, sembra che i disegni dei tatuaggi vadano per la maggiore.

Fare di tutta l’erba un fascio 

Vini Naturali

Per carità, non nego che qualcuno, tra i più giovani, qualche “disegnino” sulla pelle lo abbia. Però generalizzare, non mi pare davvero sia il caso, mancando chiaramente gli elementi a supporto. 

Anche perché, per scelta che onestamente non discuto, l’azienda di Giovanni Gregoletto (così come quella di famiglia), pur lavorando con discreta attenzione, si distingue per un buon utilizzo di tecniche moderne. Di fatto relegando a spazi marginali i vini legati al pensare naturalista o naturista, come dice lui, più ossequiosi di uve e territori, dico io. Insomma, anche la famiglia Gregoletto fa poco per essere accettata. Basta fare una passaggio sui loro siti web, per verificarlo. (Nel caso: aggiornateli ’sti siti, se no giocano davvero a vostro sfavore.)

Capisco che queste posizioni “spurie” non permettano in alcun modo di potersi affiliare alle associazioni più integraliste, e di conseguenza presentarsi alle loro manifestazioni. Ma, senza alcun intento polemico, non comprendo perché non ci sia al momento alcun rapporto almeno con FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), ad esempio, dove i presupposti d’ingresso sono completamente differenti. Non è che invece si tenda a snobbare associazioni come questa? I soci, poi, che sono tantissimi, non è che abbiano tutti i tatuaggi, gli orecchini o gli anelli al naso. Anzi. 

Di certo, però, posso concordare con Langone sul richiamato “muoversi a gregge” degli appassionati. «Prima sono arrivati quelli che giudicano il vino in base al nome (Barolo! Brunello! Champagne!), poi quelli che giudicano il vino in base al prezzo (più costa meglio è).»
Ma non posso accettare, perché assolutamente non vero e non suffragato da fatti reali, frasi come «adesso sono arrivati quelli che lo giudicano in base al tatuaggio. Il tatuaggio fa il vignaiolo selvaggio. Ribelle. Alternativo. Trasgressivo. E pazienza se il vino puzza.»

In conclusione

langone vini naturali rosso

Come la premessa, anche la chiosa finale lascia il tempo che trova. Non discuto sul dato di fatto che ci siano vini meno o poco gradevoli al naso e al palato, ma, come tanti che frequentano manifestazioni “naturali”, io il vino l’ho sempre giudicato in maniera oggettiva, altro che in base al numero di orecchini, tatuaggi ed anelli al naso.

In altre parole: mi piace poco leggere che se qualcuno ha gli orecchini, tutti hanno gli orecchini.
E che, se qualche vino puzza, tutti i vini puzzano. Leggendo spesso le cose che scrive Langone, e conoscendo il suo pensare sui vini naturali (ed il suo dispiacere nel constatare la “pesantezza” ideologica di contorno che non permette, o a mio personale parere, non aiuta il movimento a decollare), comprendo si tratti di pura provocazione. Ma questo non rende affatto solido il ragionamento.

Perché, parimenti, poi nessuno mi vieterebbe di pensarla allo stesso modo, fintamente integralista, per il produttore in questione: parte dei suoi vini sono prodotti con ricorso alla tecnologia? Allora per me sono tutti prodotti allo stesso modo, e pertanto non li prendo nemmeno in considerazione. A prescindere. 

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