Pizza. Vincenzo Capuano da Napoli a Las Vegas con un impasto alla prova dei food blogger
Com’è un impasto per una pizza mondiale? Ha provato a rispondere Vincenzo Capuano, pizzaiolo napoletano che ha preparato più di 180.000 pizze durante l’Expo2015 e ha portato la pizza napoletana a Monaco di Baviera a Natale e a Copenaghen a Capodanno dove ha curato l’apertura di 2 pizzerie.
Mi ha chiamato Vincenzo – Pagano – perché questa risposta Vincenzo – Capuano – la dava a via Sabotino a Milano nella pizzeria Rossopomodoro che ormai si identifica con il suo volto barbuto: “Vuoi venire ad assaggiare un paio di impasti per la pizza che Capuano porterà a Las Vegas per l’International Pizza Expo, dove gareggerà nella Pizza Napoletana Division. Non dire che non te l’ho detto”.
E non lo dico, anzi allargo l’invito a Daniela Ferrando, a Teresa Balzano, alle Moniche, a Lorenza, a…
Sì, ci siamo stesi, allargati, per niente ammaccati e abbiamo avuto un’idea di quanto sia difficile il mestiere di assaggiatore di pizze (esiste, vero?).
Il Ritorno alle Origini era il tema di una serata a tutta Margherita e Marinara. Sì, perché questi assaggi non li abbiamo fatti in un laboratorio chiuso ma in una serata di festa con tantissimi clienti. Le origini sono quelle del pizzaiolo della famiglia napoletana Capuano che fa pizze da tre generazioni. Le origini sono quelle delle pizze per antonomasia: appunto margherita e marinara.
In cosa differivano i tre impasti? Ovviamente per idratazione e tempi di lievitazione. Non so se ci avete fatto caso ma, almeno in questa pizzeria Rossopomodoro, c’è una madia di legno a vista in cui la pasta cresce e un orologio che vi dice da quanto tempo sta maturando.
Numeri atomici. Eccoli
Impasto 1: 36 ore di lievitazione e 65% di idratazione
Impasto 2: 36 ore di lievitazione e 70% di idratazione
Impasto 3: 46 ore di lievitazione e 67% di idratazione
Tre teoriche destinazioni d’uso o possibili gradimenti, fate voi. Impasto 1, tipo Napoli. Impasto 2, tipo Milano. Impasto 3 tipo Las Vegas. Che voleva dire più aderenti ai gusti di queste città perché, leggo, “Ho pensato alle sensazioni di cremosità che molti street food americani regalano ai consumatori della costa atlantica come di quella pacifica e ho esaltato il ruolo del pomodoro che resta un’icona in tutto il mondo. Spero che sia l’impasto adatto per colpire i giurati e il pubblico che affolla Las Vegas”.
Ve la faccio breve. Tre marinare, altrettante margherite, una variazione con pomodorini gialli e la granitica certezza di un’unica farina: la Caputo Rossa che a quanto pare è diventata un termometro per tutti i pizzaioli che si cimentano nella pizza napoletana.
Le pizze, arrivate calde calde, sono state assaltate da fotocamere smartphone tablet prima ancora che fossero deposte sul tavolo, affettate e afferrate e degustate in pochi minuti.
Vi dò conto delle sensazioni dei partecipanti.
“La pizza è spesso considerata un piatto povero, fatta con lievito, farina, olio e sale. E invece necessita di grande cultura per scegliere la farina giusta, per adottare la tecnica migliore, per il corretto uso del lievito necessario alla fermentazione dell’impasto. E poi la pizza, come ha ben dimostrato la degustazione guidata da Vincenzo Capuano, non ha una ricetta sempre uguale a se stessa. Noi abbiamo degustato la ricetta più amata a Napoli, a Milano e negli USA. Ho così scoperto che, pur essendo nata a Milano, io preferisco quella partenopea.” Questo il parere di Monica Viani, della rivista Dolcesalato.
La passione di Alessia Saro (Foodfordummies) e di Vincenzo Armenio per la pizza ha portato a due “campioni”. Vincenzo preferisce il primo dei tre impasti: “cottura perfetta, impasto un po’ salato, cornicione leggermente umido in stile napoletano, condimento equilibrato”.
Una devozione.
Alessia invece ha apprezzato il secondo impasto – “cornicione più asciutto e con alveoli più grandi, l’impatto risulta meno salato, la cottura sempre diversa tra le varie pizze”. Più critici sul terzo impasto: “cornicione umido e non cotto perfettamente. L’impasto risulta pesante e la fetta non riesce a reggere il peso del condimento alla prova di piegatura”.
“Io sono quella che in quattro assaggi ha totalizzato una fetta di pizza, aglio compreso,” dice Daniela Ferrando (scrive su BlogVs e qui su Scatti). “Eppure ho un sacco di impressioni. Della prima marinara elogio il cornicione aereo e ciambelloso, la base sottile e il condimento che le mie papille hanno festeggiato. La seconda marinara, col cornicione più croccante e maculato e all’antica cosparso di origano, mi ha insegnato che una pizza va guardata prima di essere mangiata. Della terza, quella da competizione, ricordo il cornicione bello, bollicioso ma finissimo, maculato. ‘This is a pizza’, bisognerebbe dire ai signori di Las Vegas.”
Decisamente positiva l’esperienza per Teresa Balzano, autrice del blog Peperoni e Patate: “Pizza ottima e niente litri d’acqua accanto al letto per digerirla. A parte che gli impasti erano tutti e tre eccezionali, io metto al primo posto il terzo impasto, quello di 46h, 67% di idratazione, seguito dal primo. Del terzo ho gradito sia la consistenza, leggera al tatto, elastica e consistente in bocca, sia il gusto equilibrato. Del primo invece ho gradito particolarmente la scioglievolezza. Come condimento vince sicuramente la marinara, mentre la margherita ho trovato fosse un po’ troppo ‘acida’. Detto questo, se ce ne fosse una fetta per colazione io me la mangerei volentieri!”
Secondo Lorenza Pliteri di Ricette di Stagione, che premette “Parlo da milanese, totalmente ignorante della ‘vera’ piazza napoletana”, e che per di più non ama molto le pizzerie (questa le è sembrata un po’ troppo rumorosa), “La Marinara è senza dubbio la migliore e il terzo spicchio con 46 ore di lievitazione il migliore: più sottile e un buon sapore di pasta di pane, con il cornicione non troppo ‘appiccicoso’, il pomodoro un po’ troppo acido e troppo origano. Buona la Margherita con i pomodorini gialli, ma solo per la scelta dell’ingrediente diverso, con un piacevole retrogusto di peperone senza averne la pesantezza. Da dimenticare la mozzarella troppo fusa e secca! ”
Monica Bergomi, La luna sul cucchiaio: “Ci sono frasi che risuonano nella mente ascoltando l’entusiasmo di Vincenzo: il profondo legame con la famiglia, e l’impegno nel voler mantenere viva la tradizione migliorandosi ogni giorno. Mi ha colpita la luce nel suo sguardo quando racconta il suo ‘sogno americano’, che lo ha portato dalle strade di Scampia a Las Vegas. Certo la pizza con impasto napoletano (36 ore 65% idratazione) è quella che ho più apprezzato, chissà avrò nel dna qualche cromosoma partenopeo, ma degni di nota anche gli altri, forse un po’ gommoso l’impasto americano.”
Ezio Ponari di Io e Margherita ha un evidente debole per un certo tipo di pizza. “L’impasto che ho preferito è stato quello della prima Margherita, soffice e perfettamente alveolata, molto buona nonostante la Rossa che secondo me è meno saporita e gustosa della Blu Pizzeria sempre di Caputo. Ad oggi, a livello di impasto è tra le migliori Margherite che si possono mangiare a Milano e anzi, probabilmente, la migliore”.
Dulcis in fundo, Francesca D’Orazio Buonerba di Lady Erbapepe. “Ho apprezzato molto le diverse tipologie di impasto, la mia preferita è stata quella con minore idratazione. Particolarmente impressionata e favorevolmente dalla pizza con pomodorini gialli, ho subito immaginato una pizza per gli americani condita con degli heirloom tomatoes, un bel connubio tra l’arte della pizza napoletana ed i prodotti made in USA”.
E a me? A me è piaciuta forse di più quella fatta con il primo impasto, e di meno la terza, col cornicione un po’ meno croccante. Si tratta di un giudizio ponderato, a cui sono arrivato dopo un coscienzioso assaggio di tutte e tre le pizze, ripetuto – penso di aver mangiato in totale due pizze e rotti… Interessante quella con il pomodorino giallo, non mi è piaciuta la mozzarella della margherita – ma ho gradito l’assaggio finale di pasta e fagioli e polpo e cozze (due piatti).
Vincenzo ci ha raccontato del concorso, di come si svolge (assaggi alla cieca da parte della giuria per l’International, postazioni di fronte alla giuria per la Pizza Napoletana Division), della sua tecnica (meglio che non si dedichi, come ipotizzato da qualcuno, al contrabbando di mozzarelle e impasti…), e della sua storia: “Quando faccio la pizza, sento la voce di mio nonno, la storia di mio padre: la pizza che faccio oggi è il frutto di tutta la mia esperienza, di errori sbagli scelte amicizie, sono io a 360°, in tutti i modi, non ho altro modo di dire chi sono.”
Vincenzo non ha fatto l’alberghiero, è perito informatico, ha voluto differenziarsi, ma sempre lavorando in pizzeria col nonno, anche quando studiava: “Forno, forno, tanto forno: diceva mio nonno, prima di mettere la mano sul banco, devi fare tanto forno. Per una buona pizza la cottura è fondamentale, è il 98%: puoi fare l’impasto più bello che vuoi, ma dopo è il forno a decidere. Mio nonno mi ha insegnato a non guardare il forno, ma le pizze che escono: dalla pizza dici alza il forno, abbassalo.”
La tradizione, gli insegnamenti: se entrando in una pizzeria vedi sul bancone la ricotta con il cucchiaio e non con il coltello, vuol dire che non sanno lavorare, perché per la ricotta si deve usare il coltello; la pizza si deve girare fuori dal forno, non dentro; mio nonno mi ha insegnato a mettere l’origano anche sul cornicione; e così via.
Corollario finale: un pizzaiolo per essere tale deve per forza essere passato da Napoli, esserci stato almeno un po’. È fondamentale, credetemi.
E ora a tifare per la squadra napoletana che tra concorrenti, giudici, produttori porta a Las Vegas tre Campioni del Mondo (Teresa Iorio, Valentino Libro, Davide Civitiello andando a ritroso nel tempo negli ultimi tre anni), un Vice Campione come Vincenzo Capuano, appunto, diversi titolati e cito giusto Simone Fortunato il cui nome mi è arrivato all’orecchio. E Antimo Caputo che di mestiere fa il mugnaio e a giudicare da queste pizze lo sa fare proprio bene.
Non è captatio benenevolentiae ma la speranza che dopo la puntata a Las Vegas il 7 marzo ci sia da festeggiare una super pizza e un super pizzaiolo. Meglio, super pizze e super pizzaioli.
Non vi pare?
[Immagini: Vincenzo Pagano]
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