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Ristoranti
2 Febbraio 2012 Aggiornato il 26 Febbraio 2012 alle ore 00:46

L’oro di Napoli/5 Uno Barrato, il tram da prendere con gusto

Prima che Sofia mi gabbi di nuovo e decida lei dove portarmi, la vado a prendere di nuovo al suo bancariello. “Ciuciù, ma io debbo lavorare!” “Il gusto
L’oro di Napoli/5 Uno Barrato, il tram da prendere con gusto

Prima che Sofia mi gabbi di nuovo e decida lei dove portarmi, la vado a prendere di nuovo al suo bancariello.
Ciuciù, ma io debbo lavorare!”
“Il gusto non aspetta, Sofia. Mi hanno detto che c’è un giovane chef a Piazza Vittoria che dobbiamo andare a trovare.”
Manco avessi detto “apriti Sesamo”! Le parole giovane chef hanno su Sofia un effetto bomba: un biz e si è già tolta il mantesino, nel mentre si sistema i capelli.
“Ma sarà un posto chicche?”
“Su, Sofia, tranquilla. L’Uno Barrato è un posto ggggiovane, frequentato da gggente ggggiovane”.
Sofia storce definitivamente il musetto, ma ho idea che si ricrederà.

Nato qualche anno fa dalla passione per la cucina e l’enogastronomia di tre ragazzi (poi diventati due) della cd. “Napoli bene”, l’Uno Barrato è un piccolo ma accogliente enoristorante di Via Vannella Gaetani: luogo se non proprio di sperimentazione enogastronomica, sicuramente di approfondimento.

Ci accoglie Simone Nicòtina, uno dei soci, nonché attento sommelier. Ci fa accomodare nella saletta più interna: l’Uno Barrato è fatto di pochi coperti ma divisi in due ambienti, molto carini. Troneggiano sulle pareti rosso quasi-pompeiano quasi-no (che però, pupi in qualche parte, soprattutto del piano inferiore andrebbero stuccate, eh!) le opere di Antonio Fumo Franco, uno dei più giovani artisti ad essere entrato nel CAM, catalogo di arte moderna: napoletano, lo nacque.

La tavola è semplice ma graziosa: una tovaglia di lino bianco che è un’americanina ma non lo è (Marò, Danié ma che fossi un po’ confusa?!), che lascia liberi i gomiti sul tavolo, accompagnata da semplicissimi tovaglioli della stessa stoffa.Essenziali i piatti, così come i bicchieri.

Dalla cucina a vista, ci occhieggia Francesco Armenio. La fama di Sofia la precede: il giovane chef – che ha già alle spalle delle collaborazioni con Sud di Marianna Vitale, con Veritas e con un’enoteca chic di Piazza Vittoria, che durò, pur essendo un gran bel posticino, meno che un gatto in autostrada – è forse preoccupato del suo giudizio. Sbaglia, ché Sofia già gli sorride. Quando si dice l’imparzialità del critico enogastronomico.

E’ arrivato da settembre ci spiega Simone, mentre l’altro chef, oggi assente, Fabio Stefano Crispino è con loro dall’apertura.

Iniziamo con una piccola entrée: sushi del Chianti, una battuta di filetto di chianina ribattuta a coltello, marinata con olio extravergine d’oliva di provenienza laziale e soia, accompagnata da chips di patate novelle. Not bad.

Graziosissimo il cestino, o meglio il sacchetto in iuta, del pane: pane bianco, di segale e alle noci, realizzato dai cuochi. Si beve al bicchere: è mezzogiorno di lavoro, cribbio! Lis Neris 2007, un uvaggio di Cabernet e Merlot, consigliato da Simone a tutto pasto: ci piace.

Doppio antipasto da scambiarsi, oramai il mio piatto è quello di Sofia: pancake di farina di ceci con ricotta di Agerola, cicoli e filetti a crudo di baccalà e rotolini di cosce di faraona, farcite con parmigiana di melanzane.

Qui si apre una tenzone tra me e Sofia: la faraona piace ad entrambe, ma il pancake di farina di ceci, divide, a mio parere, senza imperare. Troppo dolce, paradossalmente troppo delicato, consistenze troppo “morbide”, ci vedrei, se non altro un spessore di croccantezza.

“Non capisci niente Ciuciù”, mi fa la donnaccia e sorride a Francesco. Seguono fettuccine allo zafferano fatte rigorosamente a mano con ragout leggero di anatra, scaglie di ricotta infornata e lemon grass. Ecco qui ci siamo decisamente. Ad essere puntigliosi ci vedrei di più una pappardella, ma il risultato del piatto è notevole: bei profumi, bel colpo d’occhio, interessanti sentori nel piatto.

Andiamo di bene in meglio con la mille foglie di pane carasau, con baccalà e pomodorini ciliegini, molto scenica e fresca, accattivante.

Ed una notevole guancia di vitello brasata su crema di topinambur con “popcorn” di lenticchie. Parliamone. La fetta di carne è alta, alta. Qui lo scherzone di Simone. Mi giro e zac, niente coltello per me. Ebbene la forchetta basta agevolmente a tagliarla. La carne morbidissima e saporita, ben si sposa con il topinanbur e le lenticchie croccanti sono una bella sorpresa di consistenza e gusto.

Due dolci, che ci frega della dieta! Simone ce li fa servire in cantina, ma non è una punizione. La minima saletta fumatori dove una botte diventa un tavolo e il tufo la fa da padrone è graziosa: nelle nicchie ancora piccole sculture di Antonio Fumo.

Semifreddo al pistacchio di Bronte con cuore di cioccolato fuso e granella di pistacchi e nocciole: una trovata molto divertente! Soprattutto per l’apparire di un tartufo che farebbe pensare all’Antica Gelateria ma, oddio, è pimpato.

Il capolinea, che poi è davvero il nostro non plus ultra (anche i bustini contenitivi potrebbero cedere, prima o poi): una griglia di cioccolato fondente al 70%, ripiena di una dolce mousse di nocciola con uno spessore di bisquit alle mandorle. Simpatico per il gioco di consistenza, molto dolce il gusto, temperato però dal fondente.

Questo nostro viaggio, il nome Uno Barrato allude proprio al tram che anticamente passava per Via Gaetani, termina qui.

Risultato oltre 3000 cal, ma possiamo dire ne sia valsa la pena. Io qualche piccolo aggiustamento ce lo vedrei, ma rispetto agli esordi, direi proprio che la strada è quella giusta, del resto la strada di un tram solo su certi binari può andare!

Conti equilibrati: la cucina qui è fatta con attenzione; una media di 45/50€ a persona ci possono stare. Con i menù degustazione si risparmia qualcosa.

Salutiamo Simone, Sofia bacia perfino Francesco, ma il dubbio è sempre lo stesso.

Sarà gastro-amore o amore e basta?

Enoristorante Uno Barrato. Via Vannella Gaetani 8. 80121 Napoli. Tel. +39 081.7642159

Foto: Renato Bevilacqua

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