L’oro di Napoli/7 Umberto. La grande tradizione a tavola
“Ciuciù, statte ferma! Mo’ ci penso io a te!”
E’ una Sofia particolarmente combattiva quella che mi accoglie da dietro al suo bancariello, tutta bella profumata e pittata già, peraltro.
“Sofia e dove mi vuoi portare?”
“Uh Maronn’, ma t vuo’ stà zitt’, o no? Ti porto io e basta. Tu non devi sapere niente”
E vabbuò, andiamo.
Il mio sorriso, però, non può che allargarsi quando, oramai alle 14.45 e con una fame blu, vedo il caldo e confortevole ingresso di “Umberto – Ristorante Pizzeria”, da anni nel circuito “Locali Storici d’Italia”. È, infatti, nel 1916 che questo ristorante, all’epoca una piccola trattoria, fu fondato dalla famiglia Di Porzio. E sono proprio i discendenti di Don Umberto Di Porzio, Massimo con le sorelle Roberta e Lorella (Sofia è in solluccheri, ci conosciamo da una vita, mi fa con complicità), a portarne avanti il nome e l’amore per la cucina napoletana tradizionale. Tradizionale sì, ma con classe!
Ci accomodiamo nella sala dell’ingresso su Via Alabardieri, a due passi da Piazza de Martiri; negli anni, lo storico locale, dapprima piccolo, piccolo, ricorda Sofia, si è allargato, ricevendo, ultimamente, anche dei lavori di ammodernamento. Sofia non mi fa neanche parlare ed ordina pure per me, però la spunto su una cosa: è la settimana della birra artigianale, ed io voglio pasteggiare a birra. Io la scelgo ambrata, Amber Doll della Karma, birrificio campano: luppoli di gran classe e miele di castagno.
L’antipasto è un po’ tradizione, un po’ melting pot: una portentosa pizza (extrasmall, sia chiaro, la dieta continua!) al San Marzano fresco e secco, con acciughe di Cetara – ‘na meraviglia – e un cous cous con polipetti e verdure.
Il cous cous a me, francamente, non piace proprio come piatto, in particolare qui rilevo un non so che di slegato: la presentazione è ottima ed invitante, il risultato, dal mio punto di vista, meno convincente.
Sempre perché la dieta è un assillo, prendiamo dei deliziosi ravioli al limone con lupini di mare, zucchine e pomodori verdi: buoni, buoni, buoni. Il piatto è particolarmente profumato, la consistenza dei raviolini perfetta, così come la cottura, i lupini saporiti as usual.
Seguono schiaffoni con genovese di baccalà. Che dire la pasta è di Gragnano e si sente, ed è perfettamente a cottura, il baccalà morbido e sugoso, tanto che si taglierebbe con un grissino.
Un solo secondo, ma tre contorni!
Polpettone alla napoletana (quindi con il sugo, che secondo me rovina la poesia del polpettone, ma è una mia idiosincrasia), un assaggino di parmigiana di melanzane (buuuuuuuona).
Seguono un carciofo ‘mbuttunato (l’ho scritto male al cento per cento, ma mi è piaciuto al mille per mille) che poi sarebbe un carciofo ripieno e con una bella dose di pangrattato e verza spadellata con pancetta e scaglie di parmigiano. La verza è una roba da paura, gustosa, ma al tempo stesso delicata, perfette le consistenze, invitanti i colori.
Una menzione speciale per il servizio: sollecito, cortese, essenziale, pregio riscontrato in ogni mia visita. Sofia, che ti credi, Umberto lo conoscevo già anche io!
Seguono dolci: la scelta, visto che si sono fatte kidding e laughing (rirenn’ e pazziando , ridendo e scherzando) le 16.30, non è tanto ampia, ma sono rimasti una bella fetta di zeppolone al forno e un carnascialesco sanguinaccio.
Buono il primo, davvero eccellente il secondo, con tanto di sfoglietta (Perugina però…) di cioccolato fondente inside.
Avendo mangiato come al solito giusto due robine il conto non è proprio economico, ma poi neanche esoso: ci si attesta sui 40 euro a persona circa, birra inclusa.
Salutiamo Roberta e Lorella – Massimo oggi è a casa, purtroppo -; Sofia storce chiaramente il naso quando mi vede parlare con Alessandro Teo, figlio della quarta sorella Di Porzio, da poco in cucina insieme allo storico cuoco Francesco Errico.
“Ciuciù, a vuo’ fernì ‘e fà ‘a spiritosa con tutti i cuochi?!”
No, Sofia, questo da te proprio non lo accetto!
Umberto. Via Alabardieri 30/31. Napoli. Tel. +39 081. 418555
Foto: Renato Bevilacqua