Michael Murphy. La birra dagli States alla Norvegia passando per Roma
Michael Murphy nasce a Washington DC nel 1972, ma da subito la famiglia si trasferisce a Philadelphia, dove resterà fino agli anni universitari e alla Temple University dove studia architettura del paesaggio che lo condurrà in Italia ed in Europa 11 anni fa. Le sue esperienze con la birra iniziano nel 1991, con l’homebrewing, grazie ad un regalo natalizio del papà. La scintilla per produrre birre di qualità nasce in maniera casuale: un giorno, vagando nel negozio homebrew vicino casa incontra un appassionato, desideroso di far provare i suoi prodotti, la sua birra era la migliore che Mike avesse provato nei suoi 5 anni di binge drinking.
Come studente di architettura approda in Italia e si rende subito conto che le buone birre a Roma sono rare delle mosche bianche. Elisabetta Stellato, proprietaria di un pub in zona Piazzale degli Eroi, e poi sua compagna, lo convince a produrre birra per il pub creando la Roma Brewing &Co. A Roma, aveva un locale commerciale a due piani, con un disordine infinito, forse dovuto alla necessità di traslocare a breve, e al piano superiore, faceva capolino una bombola di ossigeno che Mike utilizzava per favorire la vitalità dei lieviti ad inizio fermentazione. Un’intuizione particolare se si pensa che in alcune aziende multinazionali, fino a una decina d’anni fa, si utilizzava aria e non ossigeno. In quel piccolo laboratorio, guardato con scetticismo dagli amici che vedevano assurdo un piccolo impianto nel cuore di Roma, c’erano tutti i suoi risparmi e gli aiuti di Elisabetta. Ma per circa 4 anni in quei locali si è prodotta birra e l’aiutante era un tal Leonardo Di Vincenzo…oggi uno dei birrai più famosi nel palcoscenico italiano. Una porter, di gusto abbastanza morbido, un barley wine, il Maelstorm, e una APA, la Pioneer, sono alcune fra le sue birre che hanno segnato un’epoca in questo piccolo mondo.
Mike si trasferisce quindi in Danimarca, presso la Gourmet Bryggeriet, che aveva acquistato il suo impianto con la promessa di avere il birraio per il set up. Lì si ritrova ad essere l’unico operatore con una cultura artigianale, apprezzata dall’azienda che vuole innovare la sua produzione. L’ambizione è di produrre 5.000 hl/anno che ben presto arrivano a 6.000 hl in 6 mesi, la più veloce crescita di un birrificio semi artigianale in Danimarca. Lavora come mastro birraio per 5 anni, fino a quando, anche a seguita della crescita notevole, l’azienda passa ad un altro gruppo.
Il mondo birraio danese non ha quella carica d’entusiasmo che caratterizza il nostro Paese e come noi non ha una propria identità nell’alta fermentazione (anche se in parte Mikkeller smentisce quest’opinione di Mike), per cui spesso vengono copiati stili e tradizioni di altri paesi. Anche se danese è il gigante industriale Carlsberg che gioca un ruolo importante nella cultura della bassa fermentazione.
Dalla Danimarca Mike, nell’aprile 2010, emigra in Norvegia a Stavanger per andare alla Lervig Aktiebryggeri, una birreria regionale con ambizioni di crescita. Trova 5 diversi tipi di pils e ne introduce altre fra cui, ad agosto, una APA, la Lucky Jack, da 4,7 °alcolici, con Amarillo, Citra e Chinook che riscuotono successo prima in città e poi anche ad Oslo e Tromso.
Il suo sogno, però, resta quella di tornare in Italia.
Fra le sue birre da prendere in considerazione la Pioneer Pale Ale, una American Pale Ale, probabilmente la prima in Italia, da cui il nome, a 6,5°alcolici, nata nel 2000. Oggi, ammette Mike, potrebbe sembrare una birra semplice, ma 10 anni fa era una birra rivoluzionaria, fatta con malto Pale Ale e caramello, luppoli americani Cascade e Chinook e lieviti californiani di alta, il Chico Ale. Color rame dorato, fruttato di pesca ed albicocca, ed anche agrumato, limone in particolare, al gusto leggero con un primo impatto dolce seguito da note resinose e fruttate e a chiudere un amaro pulito e persistente.