Miracolo a Milano/28. L’osteria Casa Tua l’ho sentita buona e un po’ mia
“Sai cos’è che mi piace? Le cose buone da mangiare, certamente; gli ingredienti, le preparazioni, la cura nella preparazione della sala, il servizio, l’arredo… Tutto quello che contribuisce a rendere la mia esperienza unica e personale e più o meno riuscita. Ma quello che mi piace è quando incontri qualcuno in grado di renderti conto di tutto quello che hai sul tavolo, di ogni ingrediente e di ogni singola briciola di pane, di ogni mattone, dei figli del produttore di pasta o del raffreddore delle pecore che hanno dato per questo meno latte e allora il pecorino…”
Quando Totò parte, bisogna lasciarlo andare – sorvegliandolo, certo, ma lasciargli percorrere tutte le tangenti e tangenziali che vuole – tanto ritorna sempre (ahimé…).
“Ti ho sentito, sai? E non trovi anche tu che sia un gran bell’uomo?”
Beh, sì, certo, ma, normale, insomma…
“Hi, hi, sei imbarazzato?”
Ma figurati – per così poco? Semplicemente, non avevo considerato il lato estetico del nostro ospite, preso com’ero dal fascino dei suoi discorsi…
“Anch’io – non sto facendo un discorso estetico – ma mi è venuto in mente il grande Totò, in Totòtruffa, mi sembra…”
(Ah, le origini cinematografiche del nostro Totò vengono fuori in modo del tutto inaspettato, a volte…)
“Ecco, Totò se non sbaglio impersonava una signora distinta ed elegante, nonostante la faccia di Totò e certi pelacci sugli avambracci… Insomma, questa signora Totò si sdilinquiva tutta con un signore per non pagare l’affitto, civettava e lo adulava… ecco, per farmi offrire una cena da David…”
David?
“Se si chiama così, come devo chiamarlo, Asdrubale? Insomma, i suoi racconti, i suoi ricordi, e della sua famiglia, e la descrizione dei prodotti, dei piatti, delle sue ricerche sul territorio…”
Alt – riprendo in mano la situazione, e cerco di fare un poco di ordine.
Siamo andati – con un gruppo di amici blogger – a conoscere il signor “Giulio Pane e Ojo” (“Che poi abbiamo scoperto essere un sacco di altre cose: ‘Abbottega’, ‘Casa Tua’, ‘Osteria del Mare’ a Montecarlo, ‘Quinto Quarto’ a Manhattan…”), ovvero David Ranucci – “Oste fondatore”, si definisce giustamente nel suo biglietto da visita.
Origine centroitalica, fra Lazio e Toscana, famiglia che si occupa di ristorazione da un centinaio d’anni (il Giulio di “Pane e Ojo” è una dedica a suo nonno), gestore di discoteche a Roma, a Milano quasi per caso, decide di fare qualcosa – e pensa studia si informa e apre appunto “Giulio Pane e Ojo”, avamposto delle cucine romane (non c’è un’unica cucina romana, ma come spesso, o sempre, c’è un’unione e un incontro di tradizioni e usi e prodotti…) a Milano dal 1999: una base di piatti tradizionali, all’insegna della qualità e del prezzo conveniente, per un locale inizialmente non molto grande (non sono riuscito ad andarci per anni, scoraggiato dalle code fuori – anche se mi si dice che di tanto in tanto venisse apparecchiato anche il tetto di qualche auto parcheggiata…), ma che pian piano si è espanso – il negozietto a fianco, l’appartamentino sopra, il magazzino sul retro, il locale dall’altra parte del cortile (“Vero: ho visto un paio di inquilini rientrare furtivi in casa, strisciando lungo le pareti, per non farsi vedere ed evitare di essere fagocitati; e anche la scala condominiale è chiusa da un cancello di ferro, per evitare che David vi si introduca e ti cominci a cucinare in salotto…”). Ambienti piacevolmente “casalinghi”, ma senza “casalinghitudine” di maniera: familiarità, piuttosto, convivialità.
Grande successo: è così che Ranucci è diventato “Oste Fondatore”, e ha dato vita ai locali di cui sopra – il recente “Abbottega”, pressoché di fronte a Giulio, aperto fino a mezzanotte, con un angolo per la vendita di vini salumi e formaggi (“Ma hai sentito che meraviglia il pecorino romano? Sai che il produttore è forse l’unico romano rimasto a produrre l’autentico pecorino romano, mentre gli altri produttori di sono stabiliti lì venendo dalla Sardegna, e quindi…”) scelti personalmente, con un rapporto diretto col (piccolo) produttore, “biologico” a sua insaputa… – “Casa Tua”, Toscana a tutto spiano un po’ più avanti dall’altra parte della strada (ci si espande a macchia d’olio – siamo in zona Porta Romana, e c’è chi assicura di aver visto sui resti dell’antica Porta un citofono con un campanello “David Ranucci”) – ma anche un “Quinto Quarto” a Manhattan, e, sempre in una città con la “M”, Monaco, a Montecarlo, “Osteria del Mare” (quando esce di casa per andare a comprare una pizza, torna con una pizzeria a Miami e una a Mombasa…).
OK – siamo stati invitati da Ranucci, con un gruppetto di blogger, a conoscere “Casa Tua” (“Quindi mia, no? ma anche degli altri? e allora ‘nostra’, o ‘vostra’, se la precisione…”), e il cuoco di “Giulio”, Sami, di origine egiziana (“Ecco, questi stranieri che vengono qui a rubarci il lavoro! Vero che lo fa benissimo? Mi piace che la cucina del territorio passi tra le mani di gente che viene da tutti gli ‘altrove’ possibili e venga ad un tempo conservata e rinnovata…” – stai diventando verboso e noioso, lo sai, vero?), per una cena di introduzione alla loro idea di cucina del territorio che… o mamma, sto diventando verboso anch’io…
Panzanella, per cominciare: un classico, con varianti, pane sciapo, raffermo abbrustolito inumidito bagnato (“Sai che non amo i piatti inzuppati, che i crostini li faccio passare appena dentro la minestra e li mangio subito – ma qui era proprio al punto giusto di imbibitura, morbido e croccante assieme – e le verdure: insomma, se le materie prime sono buone…”), con verdurine fresche, giro d’olio…
Pappa al pomodoro: siamo sempre nel classico, con un piatto tutto sommato semplice, e forse per questo a volte clamorosamente sbagliato; qui, perfetto, dev’essere sempre una questione di ingredienti, di qualità, ma anche di cura e di attenzione (e di studio della tradizione, perché no?).
Testaroli – forse il formato di pasta più antico, “sopravvissuto” in zone come la Lunigiana: un mix di acqua e farina cotto in un apposito contenitore di terracotta, il testo – un nome che suona di latino… – tagliato poi a rombi e ri-cotto come una pasta e condito – qui con pecorino e olio, e poi con un pesto di pistacchi, straordinari, semplici, buonissimi.
Arrosto morto – altro piatto tradizionale, un arrosto di petto di tacchino lardellato con guanciale, cotto in pentola (“morto” perché non si muove come quando cucinato al girarrosto..?!) – “Non male, forse mi ha colpito meno del resto, il tacchino non è la mia passione…” – in effetti, “appena” buono.
Il dolce – magari non proprio tradizionale, ma delicato (“E la mia fetta era un po’ piccola…”) – crostata con nutella ricotta un po’ di rum cioccolato grattugiato sopra…
E allora? Mangiato proprio bene, un posto piacevole, Ranucci è effettivamente un personaggio (e un imprenditore) notevole, il cuoco bravissimo, il conto moderato.
“Mi sa che ‘Casa Tua’ la senti proprio tua, vero?”
Casa Tua Osteria. Via Muratori angolo Via Corio – Milano. Tel. +39 02.55.14.269