Nuovo Dpcm: per bar e ristoranti coprifuoco progressivo o lockdown mirato
Di questi tempi, ma in altri tempi, il web enogastronomico era impegnato nel nuovo toto stella, ovvero nel cercare di indovinare quante nuove stelle Michelin sarebbero state assegnate a novembre.
In tempi di seconda ondata di Covid-19, l’arte divinatoria è più complessa. C’è il toto nuovo Dpcm e il toto nuova Ordinanza (regionale).
La materia è ancora più complessa perché non basta una prova tavola o il conteggio delle ricorrenze del nome di uno chef per azzeccare la previsione.
Il linguaggio politico appare spesso poco comprensibile.
Esempio classico del toto nuovo Dpcm: perché imporre il coprifuoco alle 22 ai bar (con servizio al tavolo), ristoranti e pizzerie se in autobus si viaggia stipati come sardine?
E la derivata da questa osservazione. Perché battagliare sulla distanza tra tavoli quando ho a 30 centimetri il possibile positivo che farà tutto il viaggio da capolinea a capolinea?
Misteri del tentativo di mantenere in piedi un Paese che ha paura dei contagi ma vorrebbe scendere in piazza per un paio di ore di cena in più.
Fateci caso. Siamo passati dalle esplorazioni delle misure per le possibili riaperture di maggio alle indagini per il temuto lockdown di Natale.
Lockdown è la parola maggiormente rigettata in questo tempo instabile che ha visto superare la soglia simbolica dei 10.000 contagiati al giorno. Non la vuole Giuseppe Conte, non la vogliono tutti o quasi.
Il distinguo è tra chi fa attività di impresa, non solo di ristorazione, e chi ha uno stipendio bene o male assicurato.
Per un’ora in più
Eugenio Iannelli Galliano, pizzaiolo di Agape a Cetraro, ha commentato un post di Ciro Salvo, prestante pizzaiolo napoletano dell’accorsata pizzeria 50 Kalò a Napoli, per invitare a scendere in piazza. Per un’ora in più di servizio sarebbe disposto a regalare un po’ di privacy in favore di un contact tracing efficiente. In realtà, Immuni non avrebbe problemi in questo senso, ma in Campania l’attività profetica sulle nuove ordinanze è materia da Sibilla Cumana. Il Presidente della Regione, Vincenzo De Luca, ha bollato Halloween come monumento all’imbecillità. E ha annunciato il coprifuoco alle 22 per evitare scherzetti da contagio. Insieme alla chiusura delle scuole, rectius, delle lezioni in presenza. Tranne che correggere il tiro aprendo asili e asili nido in presenza. Evidentemente il cambio di pannolino a distanza non funziona.
Per un’ora in più in Lombardia, il Presidente della Regione Attilio Fontana, ha innescato la retromarcia in una sorta di compensazione da clessidra. I bar e le attività senza servizio al tavolo devono chiudere alle 18, mentre quelle che dispongono di tavoli chiudono “normalmente” come da Dpcm alle 24. E non alle 23 come era stato anticipato. Un’ora in più che farà respirare Milano?
Il nuovo Dpcm è già vecchio
Gli esempi di operatori della ristorazione e della maculo-geografia delle ordinanze potrebbe continuare a lungo. I ristoratori temono che sia partita la corsa a chi fa l’ordinanza più restrittiva per “tutelare famiglie, figli e nonni” secondo il glossario imposto dal Coronavirus. Gli amministratori nazionali e locali ritengono necessario non ammazzare l’economia, ma considerano il comparto un divertimento non strettamente necessario. Insomma, si sarebbe avverata la profezia “Facciamo pizze (o piatti) mica salviamo vite umane”.
Fatto sta che il fresco Dpcm del 13 ottobre oggi, 17 ottobre, è già decrepito come ha efficacemente commentato Monica Guerzoni sul Corriere. Gli ha dato la botta la soglia dei 10 mila contagi al giorno. Che per fortuna non sono i casi gravi e i decessi di marzo, ma qualcosa pur significheranno.
Ed ecco la ragione del nuovo toto Dpcm. Azzeccare in anticipo le misure significa avvantaggiarsi sul mercato della paura e dirigere i flussi di commensali alla propria tavola.
Lo abbiamo visto con l’asporto e il delivery concesso in Campania in ritardo durante il lockdown rispetto alle altre regioni. Lo vediamo con l’asporto ora vietato in Campania a partire dalle ore 21. Non è che la Campania, al netto della residenza della Sibilla Cumana, possa diventare esempio univoco. Ma il decisionismo del suo Presidente costituisce un buon laboratorio. E forse offre anche la possibilità di comprendere in anticipo cosa potrebbe succedere a livello nazionale.
Il nuov(issim)o Dpcm
Il Dpcm atteso al massimo per lunedì, potrebbe stabilire un temutissimo coprifuoco serale. Alle ore 22 tutti a casa e posate riposte nei cassetti. In pratica la fine della ristorazione. Che ha un po’ il difetto di guardare al fine settimana e alle famose file ante Covid.
File che alimentano il timore degli assembramenti in questa nuova equivalenza della parola fila. Da significato di successo è diventata spia da tenere sotto controllo sul cruscotto dei contagi.
Ed ecco che si materializza lo spettro del coprifuoco alla francese: serrata globale a partire dalle 22. Un orario che spezza le gambe alla ristorazione fatta di riti serali con tutto lo storytelling di cui ci siamo abbeverati da dieci anni a questa parte.
Un coprifuoco progressivo che ruba due ore alla tavola del venerdì sera e del sabato sera, i due moloch che premiano anche le attività che procedono senza i clamori mediatici. “Il sabato sera lavorano tutti”, è il refrain degli addetti ai lavori, appunto.
La fine del sabato sera
La progressività asciuga le ore a disposizione per fatturare e dall’altro lato le possibilità di contagio. Un’onda del mare che si ritira facendo asciugare la spiaggia su cui ci sono sia il timore della curva in salita (quella dei contagi) sia quella in discesa (degli incassi).
Ma il coprifuoco progressivo orario cela anche il lockdown mirato. Orario, geografico e di settore. Che potrebbe diventare generalizzato se fossero confermate le voci che vogliono sul tavolo del Governo la possibilità di un lockdown durante il fine settimana. Dalle tavole scomparirebbero il venerdì, il sabato e la domenica.
Il solito De Luca ha invitato a pensare a un piano socio economico di aiuto al reddito dei settori che subiranno contraccolpi da misure stringenti come questa. O come quella delle limitazioni alla mobilità variamente intesa. Leggi chiusure di comuni e regioni o secondo la nuova geografia dei contagi ipotizzata per territori che non rispondono alle logiche politico amministrative italiane quanto alle relazioni interpersonali e lavorative.
Poca cosa. “Acqua che non spegne la sete”, sempre per usare una figura cara ai pizzaioli che, tranne pochi casi, hanno visto nell’asporto e nel delivery il cappio del patibolo.
Il rischio di un nuovo lockdown e le proteste
“L’obiettivo dell’esecutivo è annullare la movida e frenare le attività ludiche non essenziali, per salvaguardare la scuola e la produzione. Per questo, i ristoranti e gli altri locali dovrebbero chiudere alle 22”. Così scrive Tommaso Ciriaco su Repubblica.
Ipotizzando la progressione del coprifuoco fino al lockdown del fine settimana fortemente voluto da Franceschini e da Speranza. E osteggiato proprio da Conte.
Il lockdown totale come quello già vissuto ha un altro numero soglia: 30 mila contagiati al giorno che significherebbe situazione fuori controllo.
Secondo il modello realizzato dal professor Flavio Tonelli, professore di Simulazione dei sistemi complessi all’Università di Genova, in assenza di contromisure l’Italia toccherà quota 20 mila contagi l’8 novembre. E potrebbe arrivare a quota 30 mila tra il 20 novembre e il 15 dicembre.
Una data che significherebbe una pasqua di passione a Natale come è accaduto in primavera. Ma con una resurrezione ben più avanti nel tempo speranzosi del vaccino o dell’estate che per motivi sconosciuti ci ha permesso di abbassare la guardia.
Nuovo Dpcm e nuove proteste
Giusto protestare, scendere in piazza, accendere i riflettori sulla situazione di bar, ristoranti e pizzerie? Al momento possiamo solo dire che la protesta sembra aumentare la paura nei potenziali clienti. Con l’effetto di sale dimezzate. Un effetto boomerang difficile da manovrare.
Non protestare significa acconsentire, è il ragionamento che fanno tutti.
La via di mezzo sarebbe trattare e ipotizzare nuovi scenari favorevoli in un momento sfavorevole. Ma ve lo immaginate un tavolo in cui si baratta un’ora in più in cambio di una distanza maggiore tra i tavoli e una minore capienza? O bonus del mercoledì da spendere come si fece tanto tempo fa per i cinema in crisi? Impossibile. Meglio sperare in una retromarcia.
Ciak, si gira. Per un’ora in più al ristorante.