Obbligo di gonna al corso: come si sfida il sessismo dei sommelier italiani
Il caso di sessismo che agita il mondo dei sommelier italiani inizia con un’imposizione: la divisa prevede la gonna. Altrimenti quella è la porta.
Di fronte all’ultimatum si trova Nicole Hesslink, fotografa americana che vive a Fermo, nelle Marche, dove segue un corso da sommelier presso una non meglio precisata “Fondazione”.
Hesslink, che tiene volutamente nascosto il nome della Fondazione (ma è il segreto di Pulcinella), sceglie la seconda opzione e lascia il corso.
Prima però denuncia l’accaduto su Instagram, dove è @itadakimasu_fm, raccogliendo il sostegno di numerose donne. Spesso sommelier costrette a indossare la gonna.
Obbligo di gonna per le donne sommelier
Trentadue anni, nata nel Vermont da padre americano e madre giapponese, Hesslink trascorre l’infanzia in Giappone. Poi, alle Hawai, dove lavorando come fotografa incontra un ragazzo marchigiano.
La coppia si sposta nelle Marche con un sogno: organizzare tour enogastronomici per turisti orientali. Ragione per cui, nel 2020, la fotografa americana decide di seguire un corso da sommelier.
Qualche tempo fa, Hesslink partecipa a una lezione in cui la sommelier che serve i corsisti indossa una gonna con spacco profondo.
“Ogni volta che si piegava le si vedevano le mutande”, racconta la fotografa americana in un’intervista a Vice.
Alla richiesta della giovane americana di poter indossare i pantaloni, senza per questo tradire la tipica eleganza delle uniformi da sommelier, che per le donne prevede giacca, gonna, foulard, stemma e spilla, la risposta è no.
Obbligo di gonna per le sommelier: ragioni “puramente estetiche”
Hesslink chiede con chi può parlare per avere spiegazioni più argomentate. Può scrivere un’e-mail alla sede romana della Fondazione.
L’aspirante sommelier pubblica su Instagram l’intera conversazione. Dove una tale Valentina rispedisce al mittente le accuse di sessismo ma ribadisce il dress code, spiegando che il motivo per cui il Consiglio della Fondazione impone la gonna alle sommelier è “puramente estetico”.
“Perché un paio di pantaloni sarebbe meno professionale”, chiede Hesslink?
Per tutta risposta, visto che è in disaccordo, viene invitata a lasciare la Fondazione, cosa che effettivamente fa, richiedendo il nulla osta per continuare il percorso da sommelier altrove.
Caso internazionale
Nel raccontare il suo caso su Instagram, Hesslink raccoglie il sostegno di Laura Donadoni, giornalista e imprenditrice italiana con base in California.
Per innescare la discussione Donadoni condivide post e storie della fotografa americana con le associazioni americane dei sommelier, che non prevedono l’obbligo di gonna, al massimo forniscono consigli sul colore della giacca.
La risposta, racconta Donadoni, è una lunga sequenza di richieste assurde per delle professioniste. Decine di donne sommelier cui è stato chiesto di indossare la gonna in occasione di eventi e fiere, altre costrette a indossare smalto e rossetto rosso.
La gonna e il Medioevo dei sommelier italiani
Nel frattempo, il caso diventa virale e apre una voragine sui meccanismi discriminatori e sessisti che regolano il mondo dei sommelier italiani. Neanche sfiorati dalle istanze paritarie attuali.
Una mentalità medievale messa in crisi da una giovane donna americana che non si è voluta piegare all’uniforme.
Servirà tempo per cambiare un ambito di lavoro mosso da logiche patriarcali ma intanto Hesslink un primo risultato lo ha ottenuto.
L’Ais, associazione italiana sommelier, la principale in Italia, che pure i suoi problemi di sessismo li ha avuti, ha invitato la fotografa americana a uno dei suoi corsi.
Senza obbligo di gonna, questa volta.