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30 Marzo 2024 Aggiornato il 2 Aprile 2024 alle ore 08:37

Olio Evo al ristorante: 10 consigli per riconoscere quello buono

Come riconoscere il migliore olio Evo, cioè extravergine di oliva, al ristorante dove sempre più spesso si propongono assaggi
Olio Evo al ristorante: 10 consigli per riconoscere quello buono

L’olio EVO piace sempre più. Olio extravergine di alta qualità, dico. In parallelo, di olio extravergine di alta qualità ce n’è sempre meno e quando c’è, costa di più. E, sempre in parallelo, il passaggio dell’olio al ristorante è sempre più sfruttato, prima o durante il pasto. Perché è un ottimo intrattenimento e riempitivo di un pranzo o di una cena.

Come assaggiatrice di olio e come Donna dell’Olio, mi sento molto coinvolta sull’argomento. Ecco perché ho provato a formulare 10 modi per riconoscere ed esigere l’olio evo di qualità al ristorante – un piccolo elenco da far girare e condividere. Mi permetterete però di abbreviare “olio extravergine di oliva” con “olio EVO” o non ne usciremo più. 

1. Meglio la bottiglia dell’oliera?

L’oliera è bella. È un dettaglio molto identitario per una tavola. Molti designer si stanno misurando con l’oggetto oliera (quella in foto, prodotta da Atelier Ushak, ha vinto un premio a Olio Officina). Ma sarebbe bello vederla riempire sotto i propri occhi. La bottiglia è da osservare bene: quella con tappo antirabbocco è nata come tutela per clienti e produttori. Per evitare che ristoratori disonesti ri-usino bottiglie vuote di olio di qualità per riempirle con olio di dubbia provenienza e di ancor più dubbia qualità (legge 161/2014 e succ.).

2. Come assaggiare l’olio

olio EVO assaggio ristorante Iris Verona

Bicchierino blu, piattino, ciotolina, cucchiaio, brocchetta, barchetta, vassoio con incavi, piatto a scomparti sono tutte opzioni. Ricordando che per l’assaggio dell’olio in purezza, ne basta poco e serve un recipiente piccolo. La capienza di un cucchiaio-cucchiaino. Merita sempre chiedere di assaggiare l’olio EVO da solo. Per coglierne il profumo e il sapore. Identificarne il fruttato (di che cosa sa?), l’amaro, il piccante. Per capire la loro combinazione. Gli oli meravigliosi non solo monolitici. Rivelano dettagli ad ogni sorso. Ne basta poco, insisto.

3. Pane e olio al ristorante

Frantoi Aperti olio sul pane

Pane e olio. Che coppia essenziale, perfetta; che opportunità potente. Che gesto simbolico, che ristoro bramato (specie dopo la fatica), che immagine d’impatto. Via con il primo morso. Però. Immaginate un oliaccio su un pane meraviglioso o un olio sublime su un pane poco cotto, ammuffito o scadente. Uno dei due alimenti ne patirà, forse entrambi. Sono rari gli esempi di ricerca come fa Davide Longoni che coltiva per produrre sia il pane che l’olio. Perciò, davanti alla fetta ospitale, provate anche l’assaggio in purezza per riconoscere l’olio EVO di qualità e per non piangere sull’olio versato.

4. Olio Evo al ristorante con altri cibi per il test

assaggio oli asparago

E se non fosse il pane? L’olio EVO, soprattutto di buona qualità, si esalta anche quando è proposto su un alimento-veicolo – neutro come una patata lessa o di carattere come l’asparago del mio disegnetto, freddo come una fetta croccante di mela cruda o caldo come un quadrato di cioccolato amaro fuso. Tutti ingredienti che perfino un vegano accetta. Il fatto che al ristorante ci si impegni anche per un assaggio di questo tipo, fa pensare favorevolmente che abbiano voluto investire tempo e ingredienti per aggiungere valore al valore di un buon olio extravergine di oliva. 

5. Non esiste l’olio Evo di annata

olio blend imbottigliamento

L’olio “d’annata” non esiste. Non succede come per il vino. L’olio in tavola, soprattutto quello inteso per la degustazione o il finissage a crudo dei piatti, dovrebbe essere dell’annata olearia in corso, che si estende sul periodo di 18 rispetto all’imbottigliamento. Questo dovrebbe leggersi in etichetta. Due note: Una, esistono annate in cui la produzione olearia è stata memorabile, ma quell’olio è stato consumato, si spera. Due, l’olio che scade non è dannoso, si ossida sempre più. Perde le caratteristiche organolettiche dell’olio nuovo. Lo si usa in cucina. 

6. Occhio alle mega collezioni di olio Evo al ristorante

Bonus ristoranti
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Vietato stupirsi davanti alle mega-collezioni di oli, ai super carrelli dell’olio dove è impossibile scegliere, alle carte degli oli con pagine e pagine dedicate. Meglio poche-pochissime referenze selezionate all’apice della loro bontà, che molte bottiglie in fila sugli scaffali a prendere caldo, luce e aria, che sono i tre nemicissimi dell’olio. Ristoranti vocati all’olio come la Trattoria del Pesce di Bargino o Vibe (Valerio Braschi) a Milano, così come molti frantoi oleoturistici danno l’esempio. Due-tre-quattro oli preziosi per volta, e molta rotazione.

7. Il colore brillante non è tutto

Olio EVO verde

Ah, e quelli che a tavola vi dicono “Guarda come è verde!” perché ricollegano l’olio verde, tanto più se bello opaco, al momento della frangitura. Quindi olio verde = fresco = buono. Come se fossimo nel frantoio davanti al primo filo d’olio che esce (momento commovente per l’olivicoltore). Ma per quanto i colori dell’olio – i gialli, i verdi – possano essere bellissimi, la vista influisce poco. Questo è anche il motivo per cui nei concorsi si beve l’olio nei bicchierini colorati. L’olio di qualità si giudica con i sensi tutti. E tutti dovremmo imparare a degustare.

8. Chi ci mette la faccia

EVOO Ambassadors Umbria

Siamo osservatori e osserviamo un certo movimento intorno all’olio. Sono sempre più le aggregazioni e i riconoscimenti dedicati a ristoranti-cuochi-cuoche che valorizzano l’olio e credono in una cucina oliocentrica. Alcuni esempi? I ristoranti dell’olio censiti da AIRO o il Galà dell’Olio in Puglia, gli EVOO Ambassadors nati in Umbria, le ExtraCuoche, vincitrici del concorso nato dall’alleanza delle Donne dell’Olio, dell’Ercole Olivario e dalla FIC. Costoro, tutti e tutte, ci mettono la faccia: affidiamoci (con juicio)!

9. Quanto vale un campione dei concorsi

vincitore Il Magnifico 2024 Alphabetum di Masoni-Becciu

Curiosate nella cronaca dei concorsi oleari – italiani, europei, internazionali. Segnatevi i nomi dei campioni, cioè dei produttori e/o dei prodotti premiati. Sarà abbastanza bello ritrovare e riconoscere questi campioni a tavola, al ristorante (in foto, Alphabetum di Masoni-Becciu, vincitore de Il Magnifico 2024). Cercate di capire in quale categoria sono emersi. Rassegnatevi al fatto che nel mondo dell’olio c’è evoluzione e che magari passeremo dal criterio geografico e sensoriale che domina oggi a quello genetico *, paragonabile alla suddivisione dei vini in bianchi rossi, rosé. Le cose cambiano a macchia d’olio.

10. Studiare l’olio Evo prima di andare al ristorante

Per diventare esperti di assaggio ci sono corsi, scuole, accademie. Tanti i percorsi formativi, da quelli puramente edonistici a quelli più tecnici che formano assaggiatori, frantoiani, sommelier dell’olio, cuochi dell’olio, bartender e mixologist dell’olio. E i corsi in remoto con spedizione dei campioni di assaggio o i corsi con le sedute in presenza, scandite da esami.

* La relazione presentata a Il Magnifico 2024 da Alessandro Parenti e Lorenzo Cecchi dell’Università di Firenze: si stanno analizzando tutti i nostri oli monovarietali per un ri-raggruppamento che potrebbe davvero rivoluzionare la caratterizzazione, la classificazione e il giudizio degli oli prodotti.

Daniela Ferrando
Milanese, trent’anni di copywriting e comunicazione aziendale. Le piace che il cibo abbia le parole che merita: è cultura. Parlando molto e mangiando poco, non si applica nel suo caso il “parla come mangi”.
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