Olio extravergine di oliva blend: 5 motivi per preferirlo al monovarietale
Meglio un olio extravergine di oliva monovarietale o un olio di oliva extravergine di oliva blend?
Vi sento già scalpitare con le dita sullo schermo del telefono o sulla tastiera del computer.
Il monovarietale è l’olio extravergine di oliva estratto da una sola varietà, dunque monocultivar.
Il blend è l’olio extravergine di oliva ottenuto ricorrendo al blending, cioè alla miscelazione di oli estratti da diverse varietà di olive.
Non cercate di nascondervi dietro le denominazioni Dop per avvalorare la supremazia dei monocultivar, perché anche i disciplinari di produzione prevedono che possono contenere diverse olive (non oli).
Capirete che il fatto che un olio extravergine di oliva sia prodotto da una sola varietà non significa che sia migliore di un blend prodotto da diverse varietà.
Quindi, prima di scegliere tra monovarietale e cocktail, ecco 5 aspetti dell’olio extravergine di oliva in versione blend da conoscere.
La doppia visita alla sede del gruppo Salov che crea l’olio Filippo Berio a Massarosa (LU) e alla Villa omonima a Vecchiano (PI), ai bordi del Parco Naturale di Migliarino è stata illuminante.
Contagioso l’entusiasmo del management di questo gruppo. Dopo oltre 150 anni di celebrità all’estero, ha lanciato nel 2019 il marchio Filippo Berio in Italia.
Vediamo cosa è uscito da questo press tour che ci vuole convincere che un blend fatto bene ha pari dignità di un monovarietale.
E se la degustazione dei vari blend è stata preziosa, l’applicazione pratica nei piatti di Giuseppe Mancino, chef a doppia stella Michelin, ha posto il sigillo.
Ecco perché qui seguono alcuni spunti . Dietro un Extra Vergine blend ci sono
1. Olio extravergine di oliva blend: il fascino degli uliveti
Spesso i blend nascono perché l’uliveto è misto. Ed è misto, cioè composto da cultivar diverse di ulivi con olive che maturano in tempi sfasati, perché così il raccolto sarà più gestibile e la frangitura più immediata, igienica, selettiva. Prima si fa un olio, poi l’altro e infine si mescola.
E questo aspetto si riscontra tanto nei piccoli uliveti moderni privati, quanto negli uliveti di grande estensione che devono adottare e adattare metodi di raccolta più o meno meccanizzati.
2. Ricerca, biodiversità, sostenibilità, tracciabilità
L’olivicoltura contemporanea è fortemente supportata dalla ricerca scientifica. A tutti i livelli – dall’agronomia, all’antropologia, alla biologia, all’informatica, all’ingegneria, alla genetica. E tutto è tracciabile, tracciato.
A Villa Filippo Berio, l’uliveto è anche campo di ricerca con il CNR. Il progetto mira a valorizzare la biodiversità olivicola toscana, con 52 cultivar messe a dimora e studiate anche con droni, sensori in rete, monitoraggi sistematici. E mira a mettere a punto strategie sostenibili di coltivazione e di lotta integrata ai parassiti.
“Sostenibilità e biodiversità sono i due concetti-chiave” sottolinea Claudio Cantini, responsabile CNR del progetto.
“E i risultati sono a beneficio di tutto il comparto, non solo dell’azienda.”, chiosa Fabio Massari, AD di Filippo Berio e del gruppo Salov.
3. Olio extravergine di oliva blend: l’identità pensata a tavolino
Nell’olio extravergine di oliva, prodotto imprevedibile e mutevole per definizione, si crea un blend per ottenere un’identità, una personalità stabile, una qualità costante.
L’olio che risulta dal blend deve avere attributi sensoriali in termini di fruttato, amaro e piccante predeterminati. Insomma, dev’essere riconoscibile per il consumatore e riproducibile, per progetto e non per caso, con le stesse caratteristiche.
Per fare ciò si combinano insieme, non una volta per sempre ma ogni anno in modo diverso, diverse percentuali di oli con le caratteristiche utili. Un blend può anche essere pensato a tavolino guardando alle opportune segmentazioni di mercato e di prodotto, ma viene composto con i sensi. Per Daniele Piacenti, Master Blender “Creare è la parte più bella del lavoro”.
Un blend può essere tale a livello territoriale, regionale, nazionale, comunitario, internazionale. Lo dobbiamo leggere sull’etichetta e solo così possiamo comprare senza pregiudizi e ampliare le nostre esperienze.
4. Olio extravergine di oliva blend: l’assaggio
Per creare un blend, la figura di riferimento è un assaggiatore – o meglio, un panel di assaggiatori – dal palato allenatissimo. Anzi, dire “palato” è riduttivo.
Perché se è vero che un blend si avvale di oli extravergini dalle analisi chimiche ineccepibili, è ancor più vero che è il risultato di bilanciamenti e formulazioni e confronti basati sulla fisiologia umana. Dall’occhio che guarda il colore, al naso che individua i profumi, al cavo orale dove si analizzano le sensazioni gusto-olfattive, al tatto che rileva la viscosità, la setosità, la pulizia del prodotto.
Vorrei metterci anche l’udito, che rileva schiocchi e strippaggi, ma non è particolarmente polite. L’assaggio professionale dell’olio è rumoroso. E comunque fondamentale, perché produce un profilo dettagliato del prodotto. Profilo combinabile, in un mosaico infinito.
5. Deviazione esperienziale: la postazione di assaggio
L’assaggio dell’olio è dettagliatamente normato da indicazioni che riguardano l’ambiente, le modalità, i requisiti, il comportamento dell’assaggiatore e addirittura le sue condizioni fisiche.
Ora, quasi tutti, per lavoro o per diletto, avremo partecipato a degustazioni di olio più o meno conviviali, improvvisate, scomposte e chiassose, con fette di pane volanti, scodelline riempite e svuotate e bicchierini improvvisati.
Facciamo invece una piccola deviazione esperienziale: le postazioni vere per i panel di assaggio sono un’altra cosa. Sono luoghi quasi metafisici che privilegiano la concentrazione assoluta dell’assaggiatore, l’isolamento dalle distrazioni, il silenzio.
Protagonisti, l’assaggiatore e l’olio, nel bicchierino blu o rosso, secondo un’altra recente tendenza. Ma lo scopo è sempre quello di rendere il colore dell’olio ininfluente. Più gli strumenti per redigere una scheda cartacea o digitale.
L’assaggiatore assaggia in solitaria. Il confronto viene dopo, con il capo panel e gli altri assaggiatori. Ed è esattamente quel confronto che si conclude in un verdetto e permette di confermare la personalità di un olio extravergine di oliva e di assemblare il blend perfetto.