Debiti da incubo per Peck e Eataly, in crisi la gastronomia italiana
I debiti di Peck e Eataly segnalano la crisi. I due nomi simbolo della gastronomia italiana di qualità hanno chiuso il bilancio 2022 in rosso, con perdite nette rispettivamente di 2,3 e 28,7 milioni di euro.
Due mostri sacri soffocati da rossi pesanti, che mettono in ginocchio il modello del miglior cibo made in Italy.
Ma quali sono le ragioni di questo flop? Perché i formati di Peck e Eataly, come testimoniano i debiti monstre, sembrano non funzionare più?
I debiti di Peck
Peck ha chiuso il bilancio 2022 con una perdita di oltre 2,3 milioni di euro, peggiorando rispetto al 2021, quando la perdita d’esercizio è stata di 1,4 milioni di euro.
Il patrimonio netto è sceso a 5,6 milioni di euro e l’ebitda, il margine operativo dell’azienda, positivo nel 2021 per 565 mila euro, è diventato negativo per 301 mila euro.
I ricavi delle vendite nei negozi e online sono rimasti stabili a 16,9 milioni di euro, ma sono stati erosi dall’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia nonostante l’aumento dei prezzi di vendita.
Hanno contribuito ai debiti di Peck anche maggiori costi d’affitto sostenuti per i suoi tre punti vendita a Milano, quello storico di Via Spadari e i due a Citylife e in zona Porta Venezia, sempre nel capoluogo lombardo: 250 mila euro in più rispetto all’anno precedente.
Peck simbolo di Milano
La notizia dei debiti di Peck fa scalpore. Perché il marchio, con una tradizione lunga 140 anni, è simbolo della Milano da gustare (qui il chiarimento dell’azienda).
Lo stile Peck prevede una selezione di prodotti rari, preziosi, insoliti e piatti pronti diventati classici per i milanesi altospendenti: cotoletta, risotto, vitello tonnato, l’aragosta in bellavista. Per non parlare della cantina, varia, ampia e con una selezione di oltre 500 etichette.
Amministratore delegato di Peck è Leone Marzotto, che, possedendo oltre il 61% delle quote, è anche il maggiore azionista. I suoi soci sono le sorelle Ita (12,9%), e Marina (12,3%) e il fratello Umberto (9,7%).
Storia di Peck
Peck nasce nel 1883 da Franz, un praghese che si trasferisce a Milano per fare affari nel settore gastronomico.
Il negozio diventa presto un fornitore di prestigio per la Real Casa, la nobiltà e la borghesia milanesi, e un luogo di ritrovo per gli intellettuali dello Sbafing Club (copyright di Gabriele D’Annunzio per indicare i ritrovi goliardici degli intellettuali davanti a tavole imbandite di ogni ben di Dio).
Peck cambia diverse proprietà nel corso degli anni, ognuna delle quali apporta innovazioni e amplia l’offerta di prodotti tenendosi lontano dai debiti.
Nel 1940, orami un punto di riferimento della Milano bene per la gastronomia, Peck passa da Eliseo Magnaghi a Giovanni Grazioli, che introduce li prodotti del suo allevamento di maiali. Quindi ad Angelo Stoppani e infine alla famiglia Marzotto, proprietaria dal 2016.
La novità introdotta dai Marzotto è l’apertura dei negozi di Porta Venezia e di City Life, sempre a Milano, con la ristorazione.
Non solo Peck: i debiti di Eataly
Eataly ha chiuso il bilancio 2022 con una perdita netta di 28,7 milioni di euro, in calo da quella di 31,1 milioni del 2021.
I ricavi sono cresciuti a 601,9 milioni di euro, dai 462 milioni del 2021, e l’ebitda a 25,5 milioni di euro, dai 14,4 milioni del 2021.
A causa delle nuove perdite, sommate a quelle da quasi 70 milioni di euro portate a nuovo a fine 2021, il patrimonio netto di Eataly è sceso a 744 mila euro dai 28,7 milioni di fine 2021.
Non conosciamo il debito finanziario netto di Peck, mentre quello di Eataly è stato di 117 milioni di euro, da 126 milioni di fine 2021.
Il simbolo del food Made in Italy
Eataly nasce da una grande idea di Farinetti (se parliamo dei punti vendita all’estero). Ovvero, aprire tanti mercati di prodotti del territorio, piccoli e raffinati, a prezzi da bottega di lusso, come Peck. Completati da una rete di piccoli ristoranti, oggi determinanti per il fatturato.
Eataly, fino a inizio anni ‘20, è stato il simbolo del food Made in Italy e della ristorazione di qualità.
Storia di Eataly
Eataly nasce nel 2007 a Torino da un’idea di Oscar Farinetti, che vuole creare un luogo dove acquistare, mangiare e conoscere il cibo italiano di qualità.
Il marchio si espande rapidamente in Italia e nel mondo, aprendo negozi in città come New York, Roma, Milano, Tokyo e Londra, con un’offerta di mercato, ristoranti, bar, laboratori e scuole di cucina.
Mentre Peck non ha partecipazioni esterne, Eataly, nel 2017, partecipa al progetto di Fico, il parco del cibo a Bologna che però è causa di pesanti debiti. Tanto che nel 2022 la quota di partecipazione di Eataly viene svalutata del 100%.
Il gruppo affronta una crisi finanziaria e Farinetti, nel 2022, cede il 52% del capitale a Investindustrial, il fondo di Andrea Bonomi, che valuta il gruppo circa 600 milioni di euro.
E pensare che nel 2018, quando la quotazione in Borsa di Eataly sembrava certa, giravano valutazioni fino a tre miliardi di euro.
Farinetti rimane socio di minoranza con il 22% del capitale e lascia la guida a Andrea Cipolloni, il nuovo amministratore delegato.
Eataly e Peck: perché tanti debiti
Il sogno di Oscar Farinetti di creare un grande impero del cibo italiano non si è rivelato tale né per fatturato né per redditività.
Lo stesso vale per il progetto di Leone Marzotto di trasformare Peck, il salotto gourmand di Milano, in una rete di gastronomie di lusso, rivelatesi poco redditizie come dimostrano i debiti.
Il problema è che tutto costa troppo, forse più del dovuto. Il cibo italiano va valorizzato, ma i prezzi di Peck e (in parte) di Eataly sono spesso esagerati. Così lo “slow food” diventa un affare poco remunerativo e elitario.
In altre parole, Farinetti ha fatto Eataly ma non ha fatto gli Eatalyani.
Discorso diverso all’estero, dove i conti di Eataly funzionano meglio.
Inoltre, abbiamo capito col passare delle aperture, che il format di Eataly resta un semplice ristorante – centro commerciale dove i prodotti locali e di qualità dell’inizio si sono persi nel tempo. Difetto meno evidente da Peck, nonostante i debiti.
Tra gli errori di Farinetti c’è anche la rinuncia alla quotazione in borsa di Eataly prima della pandemia. Nel 2019 si sperava di valutare Eataly a 2 miliardi. Con l’arrivo di Investindustrial, la valutazione del gruppo è scesa a soli 400 milioni, meno del suo fatturato annuo.
Ma il vero buco nero nella strategia farinettiana è Fico, un parco nato con Coop e inaugurato nel 2017, costato 140 milioni di euro e che ha accumulato solo negli ultimi tre anni perdite per oltre 10 milioni.
Anche se ora Farinetti ha ripreso in mano Fico, ammettendo il flop di gestione che ha portato i conti in rosso, con l’intento di rilanciare il suo originale sogno imprenditoriale.