10 cose che ho imparato vedendo Report indagare su ristoranti, chef e sponsor
Ho davanti un foie gras di un ristorante stella Michelin e un piatto di maccheroni dell’osteria dimessa sotto casa.
Li ho davanti agli occhi mentre guardo la puntata di Report con l’inchiesta di Bernardo Iovene dedicata al mondo dorato della ristorazione che Scatti di Gusto ha anticipato. Sotto le stelle. E penso mi dia una mano a scegliere tra Formula Uno e Formula Tre.
Una forchettata da un piatto e una spalmata sul pan brioche.
E le mie considerazioni in punta di cucchiaio (la puntata la potete rivedere qui).
1. Il cast. Due schieramenti di intervistati: il “sistema”, cioè Berton, Bowerman, Sadler, che si sono limitati a rispondere in modo “normale” alle provocazioni, contribuendo ad avvalorare le tesi di partenza, e gli “antagonisti”, Pietro Parisi, Leonardo Lucarelli, Lino Scarallo. Con le voci dissonanti: Angelo Troiani, realistico, Filippo La Mantia, un po’ svagato, Eugenio Roncoroni, che non si capisce perché non abbia ancora la stella Michelin (ma le acque non c’entrano niente…). Ed essendo una puntata più Milanocentrica che Romana, non poteva mancare la voce ipercritica di Valerio Massimo Visintin, con gli assist di Edoardo Raspelli e di Federico Francesco Ferrero. Per finire con i critici, Enzo Vizzari, Paolo Marchi, e gli sponsor, Grana Padano, Selecta e SanPellegrino in prima linea. Un parterre di tutto rispetto, una compagnia di prime donne.
2. Il gombloddo. Che non tutto quello che risplendeva potesse essere oro – stelle cappelli punti forchette – lo abbiamo sempre supposto un po’ tutti, diciamolo. E in questi tempi moderni, dove il “complotto” sembra sia diventato una regola di vita, una chiave di lettura valida anche per le previsioni del tempo o il peso del vassoio di paste della domenica, che arrivasse a confermarcelo Report (ma potevano essere le Iene, o Striscia la Notizia, ovvero una qualsiasi delle trasmissioni televisive “a tesi”) era naturale. Niente di nuovo sotto il sole.
In generale, gli unici che hanno fatto una figura decente sono stati ovviamente i testimoni a favore delle tesi: Lucarelli, Parisi, Visintin hanno potuto dire la loro in modo ragionato e ragionevole.
3. C’è chi dice no. Che sono curiosamente quelli più vicini alla platea televisiva, quelli con la maggior fama catodica: hanno rifiutato di partecipare Chef Rubio e Alessandro Borghese (di cui si è sottolineato che non ha un suo ristorante: in realtà aprirà prossimamente a Milano un locale col suo nome), così come Bastianich-Barbieri-Cannavacciuolo-Cracco. Il che dimostra, se non altro, che quando si sta in televisione, si impara anche a maneggiarla.
4. Come cadere nei trappoloni. L’uso delle pinze serve per “mettere la pasta nel piatto in modo ragionato.” Ne consegue, per l’intervistatore, che chi veda la pasta nel piatto, a casa, non ragioni, o quasi. Ovvero, come dice Sadler, “prendere e mantenere la stella è complicato. “Certo, è il commento, se ogni piatto precede una preparazione da sala operatoria con pinzette e bisturi…”
5. Memorabilia – 1. “I miei amici sono tutti stellati. Si dà troppa importanza alle stelle. Ci sono cuochi che si uccidono se perdono la stella. [NdR: sì? quanti? forse uno o due stellati si sono suicidati negli ultimi anni, e non mi pare fosse per la stella persa – ma il rapporto causa effetto sarebbe tutto da dimostrare]. I cuochi spesso sono chiamati a parlare di cose di cui non sanno nulla: a un evento del World Food Program l’ho detto, e ho letto il mio menù per la serata.” Filippo La Mantia
6. Memorabilia – 2. “Bastianich, il suo ristorante, Ricci, aperto con Belèn, è tremendo, Da Cracco ci sono stato 3 o 4 volte e non mi sono mai trovato bene, il pasto non è stato all’altezza del conto. Le grandi guide fanno ‘politica’. Se io andassi presentandomi normalmente in un ristorante, poi racconterei ai miei lettori un’esperienza ‘marziana’, mi sarei avvicinato troppo alla controparte: se ti palesi, hai un trattamento di favore. Lo chef famoso sta meno in cucina. Per fare uno chef ‘griffato’ ci vuole un ‘amico’.” Valerio Massimo Visintin
7. Sponsorizzazioni. Grana Padano, dice Nicola Baldrighi, spende 25.000.000 € l’anno in pubblicità: sono i soldi che vengono al consorzio dai soci, che pagano 5 € per ogni forma di Grana prodotta. Per la Bowerman, il Consorzio produce un grana di Taglio Sartoriale. Grana Padano coinvolge molti chef nei suoi eventi eccetera, e li sponsorizza negli eventi eccetera. E non pagano il Grana che usano nei loro piatti. Peraltro, dice Federico Francesco Ferrero, passato da vincitore di Masterchef a critico per la Stampa, “il Grana Padano in sé non è un gran che (come del resto a volte anche il Parmigiano Reggiano)”.
Negli uffici di Identità Golose si beve acqua San Pellegrino e Panna. Le due acque sono indicate nella loro guida con due simbolini accanto ai nomi dei ristoranti che le usano. Secondo Vizzari chi organizza Identità Golose è difficile che giudichi negativamente un cuoco che partecipa a un loro evento. [NdR: ma davvero?]
Selecta propone una selezione di prodotti pregiati d’importazione. Fra i suoi clienti, chef “Ambasciatori del Gusto”, che per statuto devono “promuovere il patrimonio culturale della cucina italiana, in Italia e nel mondo.” Scandalo? O forse si può cucinare “all’italiana” con ingredienti non italiani? Un baccalà alla vicentina deve essere fatto solo col baccalà del Lago di Fimon?
Secondo Parisi, c’è un sistema entrando nel quale sei presente nei salotti che contano, nelle manifestazioni; se non fai parte del sistema, se non acquisti da quei cataloghi, sei fuori (lui ora acquista da produttori locali, e non ha più stelle, ma va regolarmente in televisione e quindi mica è tanto esente dal sistema).
8. Sceneggiature. Vizzari: “Se mi dà la carta, faccio finta di scegliere.” E poco dopo, Berton dice con intento scherzoso che vuole i 4 cappelli dell’Espresso (ne ha già tre). Certo, osserva Iovene a un Vizzari manducante, che è un duro lavoro. “Meglio che la miniera.” Una sceneggiatura degna dei Turkey Awards (The Worst Achievements in Hollywood History).
Menzione d’onore per i critici: “I critici gastronomici stanno coltivando in vitro un sistema che non esiste.” – “I controlli redazionali del Gambero sono sospetti: i vini pubblicizzati nella guida ai ristoranti sono tutti i 2/3 bicchieri nella guida dei vini.” – “Massimo [Bottura] mi ha tenuto al telefono per 18′ per speigarmi un arancino.” [Enzo Vizzari]
9. I cuochi hanno da poco imparato a parlare in pubblico – ma devono ancora imparare a farsi intervistare. Mi spiego: se hai davanti un signore con una telecamerina con su scritto Rai Report, non puoi dire che usi il Grana Padano perché risponde al tuo gusto personale, e che si tratta di un’azienda sensibile alla qualità: lo dovresti considerare un ingrediente ideale per il tuo piatto, più morbido di un Parmigiano, meno invasivo di un Montebore, più sapido di una mozzarella… Se no finisci per corrispondere alla tesi del programma, che non è certo quella di dire che i cuochi stellati sono bravissimi.
10. Concludendo. I cuochi, i critici, gli sponsor, tutti amici, tutti una combriccola che vuole cavar soldi ai poveri clienti. [NdR: che poi il “tu” amichevole sia diffuso in tutti gli ambienti di lavoro, ovvero fra gente che fa lavori simili, non sembra così disdicevole]
Hai le stelle, i cappelli, le forchette, solo se sei amico dei critici, e se usi i prodotti degli sponsor. [NdR
I ristoranti stellati hanno in media una decina o poco più di coperti, per cui devono procacciarsi sponsor, consulenze, programmi TV, o affiancare allo stellato altri ristoranti meno impegnativi. [NdR: Che non mi sembra una cosa così negativa: tutto lavoro che circola]
Chiudo con la strage degli Stagisti. La parte finale della trasmissione è stat dedicata al fenomeno degli stage sottopagati, degli apprendisti e così via. Niente di nuovo, anche rispetto a quanto vi abbiamo raccontato e testimoniato nei giorni scorsi. Ci si sarebbe aspettato qualche testimonianza un po’ più decisiva, estrema, forte, invece siamo ancora nelle sottospecie già delineate nei nostri articoli: come in altri casi di lavoro ai margini del nero, ai limiti dello sfruttamento, nei dintorni del semi-schiavismo, la soluzione sembra non esserci.
Come hanno commentato gli chef? “Lavorare 15.16 ore è una realtà,” Andrea Berton. “Se ci si fa male non ci si ferma, si va all’ospedale dopo il servizio,” Angelo Troiani. “Non è un problema dell’alta cucina,” Cristina Bowerman. “La Federazione Italiana Cuochi non è un sindacato, ma possiamo portare il problema all’attenzione pubblica,” Rocco Pozzulo, Presidente FIC.
E ora a voi. Come ne esce da Report la ristorazione italiana, le guide, gli chef e la scuola pubblica e privata (ho dimenticato qualcosa?)