Stop and Go ristoranti. Quanto costano al mese i continui cambi di zona?
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Stop and go: chiudere, aprire per poi dover richiudere il proprio locale. È mutuata dalla F1 l’espressione usata dagli imprenditori della ristorazione per descrivere cosa succede alle loro attività con i continui cambi di zona.
Da zona gialla a arancione. Da zona arancione a rossa. Poi di nuovo zona gialla.
Una situazione al limite del sostenibile che cambia la prospettiva. Il punto per i ristoratori non è più solo aprire prima possibile. Ma quando poterlo fare senza doversi di nuovo fermare la settimana dopo. O giù di lì.
Perché il continuo stop and go, appunto, dettato dai Dpcm per contrastare la pandemia, è molto costoso. E complica la salute economica di un’intera categoria che nel solo 2020, stando ai dati Fipe, ha perso fatturato per 34,5 miliardi di euro.
E perderà, sempre secondo Fipe, 150 milioni di euro al giorno da oggi. Da quando cioè è in vigore il decreto del governo Draghi che cancella di fatto la zona gialla fino al 6 aprile. Compreso il weekend di Pasqua dal 3 al 5 aprile. Con la conseguenza per ristoranti, pizzerie, bar e pasticcerie, di poter contare per i propri ricavi soltanto su consegna e domicilio e ristorazione d’asporto.
Quanto costa al mese tenere chiuso un ristorante causa Covid?
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Abbiamo già scoperto che i costi sostenuti da un ristorante italiano medio costretto a chiudere causa emergenza sanitaria, sono all’incirca di 5.000 euro al mese.
Per ristorante italiano medio, Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) intende è una trattoria con 6-7 dipendenti e un fatturato annuo di 400.000 euro.
Quanto costano mensilmente a un ristorante i continui cambi di zona?
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Gabriele Principato su Cook, inserto gastronomico del Corriere della Sera, ha fatto i conti interpellando qualche ristoratore. Chiaro che una media ponderata è impossibile da calcolare. È possibile, invece, avvicinarsi.
Uno degli chef più noti e apprezzati per lo spirito imprenditoriale che ha contrassegnato la sua carriera è Giancarlo Perbellini. Oggi alla guida di 8 attività, compreso un ristorante due stelle Michelin, che assommano oltre 100 dipendenti.
Per il cuoco veronese il continuo stop and go imposto negli ultimi mesi a ristoranti & Co è economicamente insostenibile per diverse ragioni.
Il costo sterile delle chiusure improvvise
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Le chiusure improvvise si scontrano con la necessità dei ristoratori di organizzare la propria attività. Le scorte, per esempio. ”A ogni chiusura improvvisa ci troviamo con le dispense e i frigoriferi pieni di prodotti freschi”, lamenta Perbellini. In effetti, per quanto si cerchi ormai di fare meno scorte possibili, provate voi a gestire una pizzeria senza avere in casa almeno 20 chili di salsa di pomodoro o 50 chili di mozzarella.
Situazione analoga nel ristorante veronese due stelle Michelin quando, pochi giorni fa, il Veneto è passato in zona arancione. Le chiusure improvvise significano un perdita secca del 30/40% delle scorte. “Se volessimo fare una stima”, conclude Perbellini, ”ogni volta il danno economico è di almeno 1.500 euro”.
Quanto costa riaprire un ristorante
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Hanno il loro peso economico anche le riaperture. I titolari del ristorante milanese Cavoli a Merenda hanno provato a contabilizzarlo.
Ogni volta che un ristorante riapre ci sono procedure obbligatorie che iniziano in media 5 giorni prima di aprire. Ordinare gli ingredienti ai fornitori, predisporre alcune preparazioni, organizzare l’allestimento della tavola. Dopo, ovviamente, aver pulito e sanificato ogni spazio.
Alla fine preparare un ristorante alla riapertura costa 1.000 euro al giorno. Che nel caso di un ristorante stellato salgono a 1.300 euro. “Perché fare la spesa è sempre più difficile”, chiarisce Giancarlo Perbellini, “la filiera dei produttori è in ginocchio”.
Sono numerosi, infatti, i piccoli fornitori dei ristoranti più blasonati che hanno sospeso o, purtroppo, interrotto l’attività. Per i mancati guadagni dovuti alla chiusura dei locali a causa dell’emergenza sanitaria.
Quanto vale la cena rispetto al pranzo?
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Un altro problema, particolarmente sentito, anche questo, dai ristoranti stellati, è la chiusura obbligata alle 18.
Come spiegano Andrea Berton, chef e proprietario del locale stellato omonimo a Milano, e Moreno Cedroni, due stelle Michelin per La Madonnina del Pescatore di Senigallia, nonché proprietario di altri due ristoranti di pesce nelle Marche.
Il primo con la sola apertura a pranzo copre a malapena le spese. Complice la sparizione dei turisti e il diffondersi dello smart working che ha sensibilmente ridotto l’afflusso di clienti nel servizio di mezzogiorno.
Per Cedroni, invece, organizzare un gruppo di lavoro composto da una ventina di persone è economicamente insostenibile non potendo lavorare la sera. Del resto, secondo i dati Coldiretti, la cena procura ai ristoranti l’80% del fatturato.
In definitiva, tenere un ristorante chiuso è controproducente, vista l’alta incidenza mensile dei costi fissi. Ma se finora abbiamo pensato che trovarsi in zona gialla, con la possibilità di aprire il ristorante a pranzo, facesse la felicità dei ristoratori, forse dobbiamo ricrederci.