Un marziano a Roma/25 È quasi guerra nucleare. State lontani dal Macro!
L’architettura è l’arte di sprecar spazio. (Philip Johnson)
Basta non ne posso più di cucina romana! Da quando ho adottato settimanalmente Qwerty sto mangiando più coda, matriciana e trippa di tutta la mia vita. Ogni martedì preciso come una multa, il nostro marzianino arriva sul suo disco e richiede la sua dose settimanale di romanitudine. Non ne posso più, debbo fare qualcosa per correre ai ripari. La settimana scorsa ci ho già provato, ma mi ha bloccato il self service del Macro. Ma a questo giro ci riprovo!
Ore 21, l’appuntamento questa volta è direttamente sulla meravigliosa terrazza del Macro, Qwerty ha tutto il posto dell’universo per atterrare. La futuribile architettura della archistar, post-punk Odile Decq lo farà sentire a casa, penso. Invece varcato il bellissimo terrazzo, lo vedo rabbuiato, senza il suo solito bel colorito verde acido. Gli chiedo “che hai?” e lui mi dice “ma dove mi hai portato?” Ci resto male, ma a quanto pare su Alpha Centauri va di moda l’architettura invisibile, non posso fare a meno di pensare: stanno avanti…
Cerco di difendere l’operazione, con la solita litania di osservazioni sulla necessità di un segno moderno nella città eterna e bla bla bla, signora la marchesa… ma lui se ne impipa e mi chiede “come se magna?” ha imparato anche il romano il disgraziato. Come se magna, non lo so. So solo che di Marco Milani ho un ottimo ricordo quando stava al San Rocco, Monterotondo. Una cucina divertente e golosa, tra i migliori ricordi della Roma gastronomica passata.
Il locale visto di sera è ancora più brutto che di giorno. Non so come mai ma quando l’architettura contemporanea si approccia alla ristorazione, fa dei disastri… questo addirittura sembra un autogril di lusso. Entrando il rosso lacca del pavimento, mi colpisce come un upper cut e mi lascia tramortito. I tavolini tutti uguali, con le sedie colorate, non rischiarano questo anonimo stanzone, come la parete obituaria di fondo: inox scintillante a schermare i bagni futuribili, che non funzionano.
Arrivano i menù, cibo e vino. Le proposte dalla carta sono stringate ma interessanti, come il menù romanesco a 45 euro (chapeau!), ordiniamo come al solito troppo… si inizia con una discreta zuppetta di fagioli e cozze, saporita malgrado i legumi siano duri. Poi l’ambizioso Uovo nell’uovo, si rivela un uovo alla coque freddo. I primi piatti sulla carta sono golosi e divertenti, un giusto mix di creatività e tradizione. Peccato che in bocca siano slavati e tirati. i fusilli al ferro di ombrello con polpettine di agnello e nduja sono piacevoli e neutri, nulla di quella spavalda intensità che promettono. Ma sono i promettenti ravioli di coda alla vaccinara a impressionarmi. La pasta è alta e cruda sui bordi, il ripieno neutro e la salsa densa e legata, un piatto che sa di catering e di matrimoni in villa. Impensabile.
Passiamo ai secondi, il mio saltimbocca di animelle è lesso e gommoso, laccato da un fondo coprente e dolciastro, tutto sommato dimenticabile. Ma è l’agnello “firmato” di Qwerty a strabiliare: agnello di martignano… sorpresa, la sorpresa forse era il sapore di agnello intenso? Boh, un sapore veramente troppo gagliardo, non so su Alfa Centauri, ma da noi l’animale si sgrassa prima della cottura, proprio per evitare rischi come questo. Immangiabile. Discreta la tagliata di manzo, comune e piacevole, ribattezzata per l’occasione costa di manzetta alla griglia con fiocchi di sale e pepe lungo: tagliata, appunto.
Siamo sempre più basiti e dispiaciuti. Il cibo non aiuta a sopportare un luogo cupo e minimale. Guardiamo il soffitto con le luci a forma di giavellotto e sognamo interminabili partite a shangai. Non abbiamo neanche la forza di fotografare, l’umore è definitivamente compromesso e rischiamo anche la rissa su delicate questioni di politica internazionale. Proviamo con i dessert: il croccante caramellato con crema al tirami su è goloso e croccante, fin troppo ricco ma discreto. In mezzo un servizio freddo e attento, ma sostanzialmente, inutile!
La carta dei vini è limitata ma con qualche bottiglia interessante e non convenzionale. Peccato per la bottiglia di Brunello 2001 Biondi Santi ordinata dalla carta e arrivata in tavola già scaraffata: era strana, non cattiva, ma diversa da quella che ricordavamo. Abbiamo chiesto di vedere la bottiglia: Poggio Salvi, distribuito da Biondi Santi… peccato che si fossero dimenticati di specificarlo! A nulla sono servite le nostre lamentele.
Peccato, un’altra occasione sprecata, a Roma sembra che non si riesca a fare un ristorante moderno veramente valido. Infatti in un sabato sera eravamo solo tre tavoli, di cui uno marziano. Conto umano e leggero di 66 euro a testa con parecchio vino, e per fortuna: Qwerty ha preso il disco ed è fuggito, chissà che non ce lo siamo tolti di mezzo…
Macro 138. Via Nizza 138. Roma. Tel. +39 06.8548274
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