VKA, super vodka toscana che vuole conquistare il mondo
Italians do it better, anche la vodka. Lo afferma con assoluta convinzione Luca Pecorini, che ha presentato da Settembrini Cafè a Roma la sua nuova creatura, una vodka prodotta completamente in Italia, biologica, a basso impatto ambientale e molto al di sopra della media in commercio. Si chiama VKA, è nata circa un anno fa, ma solo ora – dopo che molti panel di degustatori ne hanno confermato le qualità – si prepara ad aggredire il mercato consumer.
Un mercato ghiottissimo, visto che la vodka è il superalcolico più venduto al mondo (gli Stati Uniti sono il primo consumatore, con svariati milioni di litri/anno), a fronte di una materia prima economica e di facile reperibilità, i cereali, che però può fare la differenza. VKA è prodotta con quattro tipi di grani (teneri) antichi, Verna, Bolero, Bologna e Sieve “perch ‘i c’han la glera amara e ‘un li bruhan i‘haprioli” specifica l’esplosiva toscanità di Pecorini, e questo consente da un lato la coltivazione biologica, e dall’altro il recupero della vocazione agricola di un territorio, il Mugello, che ha risentito in questi anni delle politiche europee e della mancanza di progettualità locali.
La vodka VKA nasce sotto la bandiera del ‘monopolio condiviso’, visione imprenditoriale in cui ogni parte, dal contadino all’amministratore delegato, è consapevole del proprio ruolo e del proprio valore in tutte le fasi del ciclo produttivo. Questo si traduce in qualità della filiera, sostenuta da un prezzo adeguato. VKA è venduta al pubblico a 40 € in bottiglia da 70 cl (75 per il mercato USA), dal design minimal e in cui nulla è casuale. Dai caratteri, che evocano – con la bottiglia in orizzontale – i simboli archetipici del femminile e maschile separati dal glifo della terra; al materiale più bio che c’è, il vetro, tappo compreso; perfino l’etichetta sarà serigrafata e non appiccicata: l’unica concessione al sintetico (la guarnizione in gomma) è asportabile.
Non solo una miniera d’oro, non solo ecocompatibile ma pure buona. L’abbiamo provata in diversi modi, mixata all’interno di cocktail, assoluta, abbinata con piatti diversi, e in ogni circostanza ha espresso una personalità ben definita. Bellissima la consistenza, leggera, veloce, sottile, proprio quella che ci si aspetterebbe dalla trasparenza assoluta che si palesa dalla bottiglia. I sentori balsamici e di fiori di campo che già si annunciano al naso, in bocca si espandono con grazia. “Una vodka che sa della casa della nonna”, l’ha definita Pecorini, per la nettezza dei sentori riconducibili alla campagna toscana in pieno rigoglio di erbe e fiori. Finocchietto, anice, camomilla, il finale leggermente ammandorlato e una sapidità iodata, marina, essenze che restano a lungo, anche grazie a un alcol morbidissimo che nonostante i suoi 40° canonici, non anestetizza le papille né disturba. Pericolosa…
L’abbinamento ha premiato la pulizia dei sapori: buona nel cocktail con la creme de cassis, ancora meglio in tandem con il baccalà su letto di pomodoro, basilico e spaghetti di sedano.
Il risotto all’acciuga non ce la fa, con un sorso è spazzato via, e non resta che un lontano ricordo.
VKA ha intenzioni serie per l’anno in corso: sono previste circa 760mila bottiglie, di cui gran parte destinate al mercato estero (Lituania, Usa, Inghilterra e Giappone, dove già viene servita in alternativa al sakè su alcune linee aeree interne in business class), con l’obiettivo, per quanto riguarda l’Italia, di raggiungere le 100mila bottiglie distribuite nell’arco dei prossimi 3 anni.
“E pe’ una volta che l’è noi italiani he si hopia”– commenta Pecorini – “si fa vedere he si è di molto più bravi!”
Volete mettere la soddisfazione?