Il rimorso della bestia
Il rimorso non è mai per azioni che abbiamo commesso o che non abbiamo commesso; non è per ciò che facciamo; bensì per ciò che fummo, siamo e fatalmente saremo: non riguarda soltanto il passato, ma anche il futuro. (M. Soldati)
L’altra sera nel giardino dell’Incannucciata, tra carni succulente, ormoni selvaggi e zanzare che mi divoravano ho conosciuto una bellissima persona: Eugenio Barbieri. Sono stato conquistato dalla sua carne, ma soprattutto dalle sue parole schive e profonde, seduti al tavolino durante la cena abbiamo disquisito di enogastronomia, materie prime e sociologia rurale.
Dopo quella serata sono stato risucchiato dal vortice delle degustazioni della nuova guida vini 2011 e complice Dionisio e gli oltre 2000 campioni di vino saggiati, le nostre chiacchiere mi sono ritornate spesso in mente. Ora finito il lavoro faticoso, sfumati i vapori alcolici che mi hanno accompagnato negli ultimi giorni, passata la fatica cerco di fare chiarezza su quanto ci siamo detti e su cosa penso.
Eugenio è un contadino! O meglio una nuova forma di contadino che è insieme moderna e antica, come dovrà essere nel futuro questo nostro mondo. Il futuro sempre più sarà il superamento dei vecchi canoni di modernità e tradizione, con un nuovo canone di contemporaneità. Ricordate la vecchia storia di tesi, antitesi e sintesi? Beh la sola chance per il futuro sarà la Sintesi!
Ciò è particolarmente attuale per il cibo, il vino, la cucina ecc. Il tema centrale della nostra discussione era la necessità e la bellezza per chi fa agricoltura e allevamento oggi di non specializzarsi. E come questo sia difficilissimo da realizzare, perché tutte le norme e le regole sembrano fatte apposta per renderlo difficile.
Eugenio mi diceva che nella sua cascina lui cerca di inseguire un ideale di autosufficienza. Questo mi ricordava dove sono cresciuto, la campagna abruzzese, e come l’autosufficienza fosse la peculiarità di quel mondo. Tutt’oggi io a Francavilla cerco di avere tutto quel che posso: polli, verdure, uova, frutta, conserve, salse, olio in un inseguimento di un archetipo che ho visto sin da piccolo. Così nella Cascina Barbieri si fanno tante cose: si coltivano cereali, si macinano, si panifica, si allevano maiali, manzi, si producono salumi, carne, formaggi, uva, vino. Si cerca di fare tutto bene e secondo gli insegnamenti della tradizione e della modernità. I prodotti sono ottimi, talvolta straordinari, privi di quella prosopopea da superspecialista e supernicchia di molti prodotti di eccellenza nostrani.
Ecco questa è parte della faccenda, oggi per ogni cosa ci vuole un “professore” un esperto straordinario ed unico sino a quando non arriva il nuovo campione. Un uovo, un pollo, un salame non sono più normali prodotti, ma sempre più spesso o colossali schifezze o prodotti super dal costo adeguato. I costi, la legge, l’industria, il passaggio al cibo come nutriente sono nemici di una semplice possibilità di onestà: non c’è più posto per un artigiano che lavora bene, per un contadino onesto che produca per se e per vendere quel poco che gli resta alla sua autonomia. Dobbiamo produrre o tanto, tantissimo o buono, buonissimo, tertium non datur!
Eugenio mi raccontava il suo sgomento per non poter fare tutte queste cose insieme come si faceva tradizionalmente. Mi ha fatto riflettere che, per una cascina, è assurdo pensare di avere un forno in regola con cui panificare, un macello a norma dove trattare gli animali allevati e fare i salumi, una cantina in regola per le 3000 bottiglie di vino che si producono, un caseificio per le poche forme di formaggio che il latte prodotto consentano. Insomma fare le cose per bene in una dimensione artigianale ma corretta, rischia di diventare un costo proibitivo, perché tutta la normativa non prevede assolutamente questa possibilità. Più mi parlava e più mi sembrava pazzesco, lì per lì pensavo anche che esagerasse e che ci fosse un inseguimento romantico del buon selvaggio di rousseauiana memoria. Ma nei giorni seguenti, via via assaggiando vini e pensando mi tornava in mente la follia di questa situazione e di come quella indicata non fosse una idea di primitivismo selvaggio, ma invece una straordinaria idea di modernità, appunto di sintesi. La modernità ci darebbe gli strumenti e la cultura per riappropriarci di una nuova idea di tradizione e di normale qualità del cibo. Oggi sembra utopico, lo so, ma solo se ne parleremo, se veicoleremo questa idea di moderno ritorno alle origini potremo sorpassare l’idea industriale del cibo come insieme di nutrienti e quella romantica e elitista del cibo come luogo di sole straordinarie eccellenze per una più attuale concezione del cibo buono e salubre.
Ci penso e ci ripenso e diamine Eugenio, mi hai convinto!
Per conoscere la storia della bestia e l’ultimo atto (la cena all’Incannucciata)
Foto: Francesco Arena