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26 Gennaio 2012 Aggiornato il 26 Febbraio 2012 alle ore 00:47

L’oro di Napoli/3 La cantinella con Agostino Iacobucci ci piace

Questa volta Sofia mi ha sorpreso. “Ciuciù, vedi che stasera ti porto fuori io!”, mi dice baldanzosa e con una certa aria di sfida. Sono turbata: intanto
L’oro di Napoli/3 La cantinella con Agostino Iacobucci ci piace

Questa volta Sofia mi ha sorpreso. “Ciuciù, vedi che stasera ti porto fuori io!”, mi dice baldanzosa e con una certa aria di sfida. Sono turbata: intanto nessuno mi aveva chiamato mai Ciuciù e sono cose che segnano, ma poi, come sempre, ero convinta di avere la situazione in pugno, mentre era la situazione ad avere in pugno me.

E così, in un tranquillo lunedì di pazzia – lo sciopero dei trasportatori ha ridotto Napoli ad uno straccio – esco con la mia amica Sofia, destinazione ignota dopo una pizza e un giapponese.

Sofia è abbottonatissima, non dà il minimo indizio sul ristorante che saggeremo, ha solo un’aria tronfia in volto. Non vi dico quanta incredulità ho provato nel trovarmi davanti all’ingresso de La Cantinella. “Che ti credevi che i ristoranti chicche li conoscevi solo tu?” Per amore del cielo, Sofia, anzi pp’ ammore ‘e Ddio!

Ha studiato Sofia, mi ha preso uno dei pochi ristoranti napoletani insigniti da una stella Michelin: evidentemente mi vuole dare uno schiaffo morale, anche se non ho capito bene perché… Il blasonato ristorante di Via Cuma 42, lì all’angolo di quel pezzo di lungo mare che si chiama Via Nazario Sauro, ha infatti riacquistato nel 2010 la stella Michelin, ritornando nell’Olimpo della ristorazione internazionale. Negli anni, infatti, la sua fama si era offuscata, restando uno di quei posti che, come diciamo in alta Provenza, sono belli ma non abballano: cucina tradizionale, un po’ “seduta”, pochi guizzi, ristorazione di livello, per carità, ma un po’ da cartolina. L’arrivo del giovane chef from Castellammare, Agostino Iacobucci, ha portato una ventata di innovazione, sempre nel solco dell’amore per i prodotti primi e della tradizione, e polvere di stelle.

Entriamo e ci accoglie il patron Giorgio Rosolino, sempre charmant con due signore: Sofia riceve un baciamano – “Io so conosciuta qua, tiè”, mi sembrano dire i suoi occhi verdi. La sala è sempre quella: canne sul soffitto, il pianoforte a coda, i quadri effetto affresco, il parquet. L’hotellerie impeccabile, così come il servizio: via le orride bottiglie di vino ed acqua dal tavolo, piattino del pane rifornito ad libitum, cambio tovagliolo tra i mean main dishes e i dessert. La classe non è acqua. Il pane ed i grissini sono già una piccola chicca: grissini integrali, tradizionali, alle alghe (buonerrimi) e al nero di seppia; piccolo babà ai friarielli, panino all’uvetta e pinoli (abboccatissimo, davvero poco fungibile a tutto pasto) e taralli al pepe, tutti integralmente realizzati dalle manone di Agostino. I pani rigorosamente con il lievito madre.

Ecco la piccola entrée, anzi lo stuzzichino… Uh Dio! Ostrica e sorbetto al passion fruit con fiori eduli. Una bontà: il gioco di consistenze e sapori è perfetto e crudele. Io me ne mangerei subito un altro! Sofia butta giù l’ostrica così come se niente fosse: neh ma non era quella che il crudo niet?!

Passiamo poi ai baby calamaretti appena scottati su padella incandescente, adagiati su un materassino (più che un letto) di schiacciatina di patate rosse con cannella e bottarga: anche qui il risultato è tutto un equilibrio sopra la follia e ne vorresti ancora.

Prima considerazione: la cucina di Iacobucci è fatta di poco. Due, tre, al massimo quattro ingredienti e delle spezie. Pochi i condimenti, ristrette ma non irritanti le portate. Sono piatti essenziali, a loro modo. Eleganti, ma non scioccamente sofisticati. Il gioco, finora, vale nettamente la candela.

Si prosegue con capasante, pane e maiale. Sì, con pane (una sorta di polentina tutta realizzata con il pane) e una mou di maiale. Il mare impetuoso al tramonto salì sulla luna e dietro una cortina di stelle… no, non deliro, né patisco ancora i postumi delle belle enoscelte di Giovanni Piezzo, l’impagabile sommelier che ci ha guidato con cambio bicchieri quasi per ogni portata. In questo piatto, il mare incontra la terra, il sofisticato la semplicità: è un fidanzamento, se non un matrimonio, d’amore.

Ci accoglie il mare a 360°: brodetto al pepe sechuan (Wà, ma che d’è?!) con fiori eduli e gamberi, ostriche, pomodoro del piennolo, piccolissimi ravioli al piennolo, e mille altri frutti di mare e del mare. La sorpresa? Zest di arancia: dolce non aspro come quella di limone, chiaramente. Ci siamo arricreate (divertite molto, uffa ma perché non parlano tutti napoletano?).

Lo spaghetto Gerardo di Nola ci dà quella che poteva sembrare la mazzata finale: uno spaghetto di Gragnano al pomodorino del piennolo, con una tartare di alici profumate al finocchietto e cremoso di bufala.

Poteva essere la mazzata finale, ma non lo è stata: segue pezzogna arrosto, sale e pepe, su elisir di alici di Cetara (che le Dop ci fanno schifo a nuje!) con rosti di patate e cicoria stufata.

Iamm’ ià! Due predessert: sorbetto pera cioccolato e zenzero; castagna, caffé e cioccolato.

Nel mentre eravamo già come le percoche (un po’ ebbre!): Giovanni ci aveva consigliato, infatti, bollicine Banfi, ma vinificate in Piemonte; un vermentino toscano La Pagliatura; un eccellente Kerner Strasserhof.

Ma questo punto sul dolce che non potevamo non prendere, potevamo non bere un Ice Wine directly from Ontario, Canada? Clearly che no! Vidal, al bicchiere, grazie.

Il dolce, uno in due, stiamo a dieta! Un biscottino di sacher con knell di cioccolato, lampone e arancia su cremoso di anice stellato. 5000 kcal: il suo profumo… scotta!

E poi Agostino ci ha voluto offrire un po’ di piccola patisserie: reucci i mini macaron, très jolie! Che fai non te li magni? Pare maleducazione, Sofia and I siamo grandissime signore, lo nascemmo.

Le dolenti note: il conto. Ha pagato Sofia, io non ne so niente. E quindi non chiedetemi niente! Né vi posso dire che i menu degustazione vanno dai 55 agli 80 €, che ne so io? Mica sono il tipo che si fotografa il menu, approfittando della distrazione generale…

Menzione ai bagni: eleganti, puliti, profumati. Un ristorante è tutto nella cura dei dettagli: il cestino del pane, la maniacalità nel servizio, l’hotelliere, le finezze che non ti aspetti. E nei bagni, sì, anche nei bagni.

La Cantinella merita la stella? Fatevi un giro e resterete convinti. Gli occhi azzurri e il sorriso trasparente di Iacobucci, l’immagine stessa dello Chef un po’ rubicondo, meriterebbero la seconda, perfino. Padron Rosolino, forza! Rinnovare la sala che la tradizione, sometimes, va anche scardinata.

Ristorante La Cantinella. Via Cuma, 42 – 80132 Napoli. Tel. +39 081.7648684


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