L’oro di Napoli/6 L’ebbrezza di Noè, meglio bere che mangiare
Fa freddissimo, Sofia è mollemente adagiata sul mio divano, a pranzo abbiamo mangiato riso: siamo a dieta.
La dieta mia e di Sofia, però, non può durare assaje, mantenere della cellulite di gran classe è un lavoro a tempo – quasi – pieno: per scongiurare il pericolo deperimento non ci resta che partire alla volta di una nuova gastro-esperienza.
“Ma io non è che ho proprio fame…” – sospiro a Sofia.
“Neh, che d’è, tieni più voglia di qualcosa di buono?!” – risponde la donnaccia, facendomi il verso.
“Ma no, niente cioccolatini confezionati, mia cara, piuttosto mo’ ti porto in un’enoteca, che è chic e non impegna!”
Sofia mi guarda perplessa, forse il concetto enoteca le sfugge, del resto non credo che ce ne fossero molte ai tempi suoi.
E così la nostra scelta cade su L’ebbrezza di Noè, unica risto-enoteca sopravvissuta al boom del fenomeno a Napoli, registratosi in maniera massiccia agli inizi dei depressi anni 2000.
Anche Luca Di Leva ha aperto la sua attività – con il forte aiuto del padre Ugo -, circa 13 anni fa, ma è l’unico che ha saputo rendere la sua attività un serio punto di riferimento per gli amanti del vino nella città. Da allora il concept del locale è sempre rimasto lo stesso, anche se dal 2003 oltre alle degustazioni di formaggi e salumi e qualche piccolo piatto, la proposta culinaria si è arricchita di alcune scelte cucinate. L’impostazione che adesso segue Luca è quella di proporre un menù cambiato quotidianamente, formato da cinque antipasti e altrettanti primi e secondi; rimangono ferme le proposte originarie delle selezioni di crostini, formaggi e salumi, e variazioni sul tema, oltre che qualche dolcino.
Sofia entra spocchiosa nel locale, dopo qualche mese di conoscenza posso sicuramente affermare che le novità non le piacciono troppo: un luogo che punti la sua attenzione più sul vino che sul cucinato la rende perplessa piuttosto e anzi che no.
L’ambiente è carino: luci e musica non invadenti, salette piccole e con pochi tavoli, bagno curato e profumati (perfino troppo, oserei dire). Ogni ambiente è dedicato ad un pittore contemporaneo che abbia dipinto almeno un quadro sul vino, mentre il nome del locale allude alla famosissima opera del Giordano.
Iniziamo con l’entree proposta da Luca a tutti commensali: una tondissima polpetta di melanzane. Ecco per me la polpetta di melanzane è una prerogativa, di questa, benignamente tacerò.
Poiché siamo a dieta (…), Sofia ed io scegliamo un solo antipasto: il caldo inizio. Una serie di assaggini molto ben presentati. Simpatici il bigné caldo con funghi porcini, il carciofo ripieno di se stesso (una roba dal nome metafisico), lo sformatino di uova con basilico e pomodoro, buono perfino direi, quest’ultimo.
Carino il cestino del pane: tortano, pane bianco, bollini di briosche, grissini. Carino, ma mica buono!
Si prosegue con dei fusilli freschi con tocchetti di patate, speck e battuto di basilico (una sorta di pesto slegato ed estremamente meno sensoso): interessanti, ma cribbio, la pasta al dente sembra proprio cruda.
Sofia mi sceglie un risotto taleggio, radicchio e noci pecan: probabilmente l’amarezza del radicchio e delle noci non risulta del tutto bilanciata dal taleggio.
Mentre degustiamo un Amarone cantine Masi, ben introdotto da una breve spiegazione del nostro anfitrione, decidiamo di buttarci su un bel plateau di formaggi. Davanti alla tête de moine, Sofia esclama: “Uh Gesù, e tu mi volessi fare mangiare cavolo crudo, a me?!”. Non è cavolo, Sofì, ma allora non la posso proprio portare da nessuna parte. Lo Stilton lo conosce, viva Dio, così come il Bra. Anche gli altri formaggi, selezionati da Luca per noi tra i moltissimi nella sua cantina (il padre è referente ONAF), sembrano piacere alla mia pizzaiola preferita. Godibile la mostarda di peperoni verdi che con miele, salsa alle arancia e quella di cipolle di Tropea, accompagna la degustazione.
Optiamo per due dolci: brownie su salsa di arancia e spumoncino alla nocciola ripieno di gelato al cioccolato. Buonini entrambi, ma diciamo tutti insieme un netto no alla panna spray, che, soprattutto, sul brownie si è disciolta come non sta facendo in questi giorni la neve sul Vesuvio.
Il conto, un po’ altino a dirla tutta, siamo sui 35-40 euro a persona, prezzo non del tutto giustificato dalla cucina che propone piatti più divertenti che riusciti. Il servizio è attento, anche se a volte un po’ lento, e la scelta dei vini e dei formaggi molto, molto competitiva.Menzione d’onore per ricarichi estremamente contenuti sulle bottiglie, ma, del resto, è un’enoteca.
Sofia ed io, tirando le somme, suggeriremmo di andare all’Ebbrezza di Noé? Sicuramente sì, perchè siamo due fegati profondi. E poi la scelta dei vini e dei formaggi e salumi di Luca è veramente notevole. Probabilmente la scelta di cambiare spesso il menu, anche se suppongo che le proposte siano a rotazione, non paga: un menu ancora più piccolo e variato magari mensilmente potrebbe aiutare i ragazzi della cucina, Giacomo e Gregorio, ad essere più centrati.
La cortesia di Luca e il suo amore per il vino, però, sicuramente valgono il prezzo non extra-brut, ma almeno demi-sec del biglietto. Porto via un’ebbra Sofia prima che come il biblico Noè diventi discinta: e chi l’acchiapperebbe più, stasera mi so messa pure i tacchi!
L’ebbrezza di Noè. Vico Vetriera a Chiaia, 9 – Napoli. Tel. +39 081.400104
Foto: Renato Bevilacqua