Cuoco o imprenditore? Carlo Cracco, la seconda che hai detto
“La cucina mi ha preso per fame”, ha detto una volta Carlo Cracco riguardo i suoi inizi davanti ai fornelli. “Carlo Cracco ci ha preso per sfinimento”, potrebbe tranquillamente rispondere il suo pubblico – i fan, come i detrattori, ormai abituati a goderne o a subirne la presenza all’incirca in ogni circostanza.
Parlo di vita vissuta: la mattina esco per prendere l’autobus e me lo ritrovo alla fermata, con la mano in tasca e l’ormai solito sguardo sornione per pubblicizzare un noto marchio di scarpe. Durante il giorno, accendo il pc e perdo il conto delle notizie che lo riguardano: l’ultima, per dire, lo vuole ambasciatore ecosostenibile, promotore indefesso del sughero italiano. Di sera, se è la settimana della moda e va male, lo incontro all’incirca ogni giorno. Se non è la settimana della moda e va comunque male, ci inciampo più o meno con la stessa frequenza.
Per esempio, l’altra sera sono stata – per la prima volta, lo devo ammettere e spero non mi giudicherete per questo – nel suo ristorante in occasione di un evento di una famosa compagnia aerea. Ho varcato la soglia di via Victor Hugo, scendendo i due piani di scale che mi dividevano dalle sale chiedendomi come sarebbe stato assaggiare, per la prima volta, qualche suo piatto, e pur sentendomi come se ne avessi già avuto esperienza, per osmosi, tra le serate passate davanti a Masterchef e gli innumerevoli eventi a cui avevamo entrambi presenziato.
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“Lo chef è in cucina?”, ho domandato con finto sguardo innocente, e per dovere di cronaca, al suo braccio destro. Che, ovviamente, non mi ha fornito una risposta, ma ha preferito argomentare, con lo stesso sguardo sornione – ma un filo più arrogante – del suo capo: “Gli chef si dividono in due categorie: i cuochi, e gli imprenditori. Carlo sta in quest’ultima categoria”. Alla fine, comunque, Cracco è sbucato da dietro l’angolo del ristorante, pronto a inscenare un brevissimo show cooking e disponibile, ancora una volta, alle foto di rito con gli invitati – prevalentemente donne, prevalentemente di una certa età – che gli si stringevano intorno.
A quel punto, a nessuno importava più della crema di miso con ricci di mare e caffè o dei canestrelli scottati, spuma di piselli e menta che intanto venivano serviti in sala.
Al di là di ogni giudizio di merito, viene da chiedersi come faccia a gestire tutto: i suoi (quasi) quattro figli, le copertine su Vanity Fair con la compagna Rosa, il nuovo bistrot milanese Carlo e Camilla in Segheria, i cinquant’anni incipienti, le richieste che gli arrivano da ogni parte, per qualsiasi cosa e (immaginiamo) a qualsiasi prezzo. Perchè dietro il suo volto non esiste ufficio stampa, organizzatore di eventi o manager al quale demandare compiti e inoltrare mail. C’è Rosa, certo, e qualche braccio destro, fine della storia.
Cracco, semplicemente, ‘go with the flow’, segue il flusso degli eventi, bonariamente. Lo vogliono al Festival di Sanremo, e ci va. Lo richiedono come testimonial di Diadora, e lui non soltanto si presta, ma a Pitti riesce anche a dire che sì, le sneaker in cucina sono perfette, anche quelle in camouflage, anche quelle con gli inserti in cavallino. Lo reclamano alla settimana della moda, e lui non si fa attendere, all’occorrenza si fa più vicino agli imprenditori e agli stilisti, stringe mani, per niente in imbarazzo tra uno stiletto e un uovo di quaglia.
Pensare che dietro la sua figura non esistano operazioni di marketing di sorta rende tutto più affascinante. Certo, non avrà scelto lui il titolo del suo ‘Se vuoi fare il figo usa lo scalogno’, oggi alla quattordicesima ristampa, nè si sarà piazzato di sua spontanea volontà al fianco di una modella nuda con in mano un pesce dall’interpretazione scontata. Ma, al di là di qualche misero trucchetto, ciò che piace forse più di tutto della figura cracchiana è il suo sembrare al contempo perfettamente riuscito e affatto congeniato a tavolino. Il suo risultare, dopotutto, più verace di una passata di pomodoro.
Dietro la sua trasformazione fisica pare ci sia, ancora una volta, soltanto la sua compagna, e dietro ai suoi sguardi infuocati a Masterchef i doveri della non-diretta, spesso sciolti in un abbraccio finale al momento della eliminazione del concorrente.
Cracco è così, dal vivo, quando ci parli e ti aspetti che ti ignorerà, ti guarderà dall’alto in basso, e tu sei lì pronta a farti anche a maltrattare, in un atteggiamento di rachidiana memoria, mentre gli chiedi dei nuovi cocktail alla Segheria e invece lui, nel risponderti, al posto dello sguardo di triglia tira fuori una risatina imbarazzata. Molto imbarazzata. Veramente imbarazzata.
E a te tornano in mente tutti i topoi, ancora una volta perfetti, con cui ha farcito la sua storia alla stampa: la famiglia di umili origini, la vocazione al sacerdozio, il suo essere somaro a scuola, la gavetta, l’esser stato bruttino, e ancora peggio, grasso. Forse è vero, che gli chef si dividono in cuochi e imprenditori: Cracco appartiene senza ombra di dubbio a quest’ultima categoria.
E a maggior ragione, a me è venuta voglia di assaggiare qualcosa di preparato davvero da lui, piuttosto che farmi fare l’ennesima foto insieme: la prossima volta quasi quasi glielo dico, che baratterei volentieri un nostro selfie – e lui che sorride imbarazzato – con una ricetta uscita davvero dalle sue mani.
[Immagini: styleandfashion.blogosfere.it, televisionando.it, Donna Fanpage, Vincenzo Pagano, Scatti di Gusto, Martin Schoeller, Francesco Arena]