Fluff blogger, siete solo funghi chiodini nel libro di Camilla Baresani
Gli sbafatori di Camilla Baresani (Madeleines Mondadori, 2015, 16,90€) è un pamphlet [*] – forse più libello nell’aspetto materiale e libercolo in quello ideologico.
Sono anch’io uno “sbafatore”, in un certo senso: non mi tiro indietro davanti agli inviti, alle inaugurazioni, alle opening night, agli aperitivi apericene aperipresentazioni, anche se ho pacchi e pacchi di scontrini comprovanti il pagamento di conti (con pochissimi sconti) di ristoranti trattorie friggitorie… E anche se un paio di giornaliste mi hanno quasi preso a borsettate quando mi son dimenticato di “esigere” l’omaggio-stampa della serata.
Questo probabilmente ha influenzato le mie reazioni, almeno in parte: inoltre, ho l’età di Guidobaldo, il co-protagonista, senza averne le capacità critiche e l’intensa frequentazione femminile nei dopo-cena. O almeno penso di averla: a pag. 6 si dice che ne ha 58, a pag. 40 diventano 56 (registrati indelebilmente su Wikipedia… accidenti, devo metterci anch’io la mia biografia). E probabilmente ho anche i difetti di Rosa, la blogger, che magari abita dalle mie parti, visto che prende il tram 5 in Centrale e scende dopo dodici fermate (a meno che non lo prenda nella direzione opposta).
Però ci sono alcune cose che non mi tornano. A partire dalla trama: la misera blogger invitata come rimpiazzo a un evento megagalattico viene circuita dal critico famoso, ci va a letto, lui la congeda all’alba, di tanto in tanto nel resto del romanzo la messaggia o la chiama, si vedono, letto, dubbi di lei, che intanto inizia la sua ascesa nella blogosfera, essenzialmente millantando, e intanto si scoprono gli intrallazzi di lui, e la loro relazione finisce. Punto.
Il resto sono pagine e pagine di citazioni foodie: c’è tutto quello che dovrebbe esserci, dalle Strade della Mozzarella alle cicerchie e cavatelli con crema di gamberi viola aromatizzati al timo e limone (credo inesistente in sé ma ovviamente plausibile), dai contratti per la pubblicità occulta al relais Casadonna Reale, dal precariato e dallo sfruttamento di giornalisti e blogger alle citazioni di Davide Scabin (“La benzina del mio motore non è far soldi ma trovare l’esprit innovativo”, credo abbastanza realistica ma non so se reale).
Non molto altro. Frasi memorabili, poche: “Hai presente i funghi chiodini? Nascono nell’ombra dei tronchi secolari, a grappoli. Sono quasi infestanti, ma poi muoiono e non lasciano segno.
Ecco, voi foodblogger siete come funghi chiodini. Girate tutte insieme, ridete e vi appassionate a comando, vi fate raccontare qualsiasi panzana perché non sapete niente e non avete esperienza”.
Veramente memorabili, forse, solo le pagine dedicate all’Uomo Mascherato, “critico gastronomico dall’identità misteriosa” a pag. 6, “blogger che andava per la maggiore”, “giustiziere della ristorazione” a pag. 94. Detestato da Rosa per aver creato l’epiteto “fluff blogger”, divertita peraltro dal suo “evidente furibondo narcisismo”, l’autocelebrazione della sua etica e l’evidente somiglianza dei suoi testi con il Jack Bauer della serie tv 24 (basta sostituire ristorante con Casa Bianca, chef con Presidente, scampi con terroristi e così via).
Anche questo personaggio ha, come gli altri, un modello – se però gli altri sono più dei centrifugati di persone reali, questo sembra un ritratto del Critico Mascherato, Valerio Massimo Visintin, autore di recensioni sia sul suo blog che nelle pagine milanesi del Corriere della Sera. È veramente come lo dipinge Baresani, a cui non sembra stare troppo simpatico? Probabilmente no, ma probabilmente anche sì, almeno un po’.
Per carità, le “Ricette di Rosa Bacigalupo” in appendice sono godibilissime, ben scritte, appena un po’ sopra le righe, con quell’atteggiamento critico-superiore che serpeggia un po’ dappertutto, e che comincia a essere pesante. Certo, definirle “ricette di vita” mi sembrano un po’ fuori tono rispetto al personaggio che le avrebbe scritte; ma ne consiglio comunque la lettura.
Il punto è un altro: che non l’ho trovato, il punto. Cosa c’è di interessante nella descrizione delle dinamiche di un gruppo relativamente ristretto, che si ferma però a una semplice elencazione di tic e di piatti, di vizi (tanti) e di virtù (pochissime, magari nessuna), anche divertente e sapida, certo – come si dice, anche a proposito di chef e ristoranti: “interessante”? Cosa lo rende tanto differente da un romanzo sul mondo delle fashion blogger (e giornaliste/i), o delle beauty blogger (e giornaliste/i)? Immagino che anche i blogger di mandrini, o di elicotteri, si comportino in modo simile. E dov’è la vicenda, il plot?
Post scriptum. Già iniziate le lodi in rete e in carta del volume. Benissimo, per carità: mi piace / non mi piace sono categorie critiche primarie. Ma tirare in ballo Brera, Soldati, e chiamare l’autrice “solo Camilla come la Cederna”, ecco, no.
* «Un pamphlet, termine francese traducibile con libèrcolo (che connota il suo aspetto materiale, fisico) o libello (che ha una connotazione ideologica) è un breve saggio, o uno scritto polemico di dimensioni agili.» (Wikipedia),.