La guida agli ultimi giorni di Expo
Siete anche voi tra quelli che hanno scelto l’ultima settimana per visitare Expo? Allora di certo avrete già letto di come la vostra giornata passerà, inevitabilmente, tra le varie code. Riuscirete di certo a visitare qualche padiglione, ma non aspettatevi certo la quantità. Io non li ho visitati tutti, ma ci ho passato due giorni di fila e posso darvi qualche dritta, anche su cosa/dove mangiare, ovvio!
Punto primo: Palazzo Italia, Padiglione Zero e Albero della Vita rimarranno aperti anche dopo il 31 Ottobre (forse a partire dalla primavera 2016, il tutto è ancora in stato decisionale), per cui, dato che le file sono di tre ore e più, non perdeteci nemmeno tempo.
Giappone: è diventato il padiglione più ambito tra tutti quelli dell’Esposizione. Perciò, avendone già visti un po’, ho deciso di tentare l’impresa. L’opinione che sto per darvi è altamente personale, vi avviso. C’è chi è impazzito per questo padiglione, ma in verità, vi dico, non ne vale la pena. Non vale la pena fare più di un’ora di coda per nessun padiglione, per me. Perché li ho trovati tutti abbastanza inconsistenti e lontani dal tema attorno al quale dovrebbe ruotare Expo: feeding the planet, energy for life. Comunque, se per qualche strana congiuntura astrale trovate poca coda andateci, ma stiamo parlando di ore anche per chi è nella corsia preferenziale: genitori con bambini (informatevi con precisione sulle condizioni perché ho visto famiglie essere rispedite indietro dopo più di un’ora di fila paziente e silente), anziani, ecc. Io, mi sono messa in coda alle 10.30 del mattino e sono uscita alle 17.15, con sosta al ristorante, ma molto rapida. Considerando che i tempi di visita tra le varie sale sono tutti cronometrati, il tour, nel complesso, dura 50 minuti. E se vi attardate a leggere qualche pannello vi annunciano che l’installazione della sala successiva sta iniziando e che quindi dovete muovervi. Insomma, e allora perché ho fatto tutte quelle ore di coda? Nei tempi morti invece tenteranno di farvi passare il tempo insegnandovi qualche parola in giapponese. È stato abbastanza simpatico, ma mi è capitato uno stuart simpatico. Parliamo del cibo: si mangia velocemente e non ho trovato nemmeno troppa coda, ma va bè, erano le 5! Però davvero carissimo. Ho ordinato un “Sushi stile Edo e maki”, e cioè un box composto da 4 nigiri e 4 uramaki. Per ben 22 €. Non valeva la pena nemmeno per questo. L’unica pietanza economica è la zuppa di miso, che costa solo 2 €, ma non è diversa da quella che si può trovare in un qualunque ristorante giapponese.
Gli altri padiglioni considerati “inaccessibili” sono per lo più quello degli Emirati Arabi e quello del Kazakhstan, che possono arrivare anche a chiudere le code nelle ore mattutine, nel senso che proprio, per tutta la giornata, non faranno più entrare nessuno. Per il resto, sappiate che ogni padiglione ha le sue, più o meno scorrevoli, code. Dipende dalla vostra pazienza e da cosa vi interessa vedere. Il fatto è che ormai tutti si fiondano su quelli considerati più belli da vedere, per cui ce ne sono alcuni, come la Repubblica Ceca, la Moldavia, il Turkmenistan, la Lituania, la Turchia e gli stessi Stati Uniti, che di coda non ne hanno, o pochissima. Questo perché c’è ben poco da vedere.
Se volete mangiare la storia non cambia. La coda è più o meno ovunque anche qui. Ed è concentrata soprattutto nei padiglioni più “esotici”. Tenete conto che in questi molte delle pietanze presenti sul menu verranno esaurite già intorno alle 12.30. Ma comunque ce la si può fare.
Io, in questi giorni folli, ho assaggiato la cucina del Cile, ispirata dallo spazio dedicato alla vendita dei loro prodotti tipici, che sembra un supermercatino di nicchia. La cucina è quella sudamericana. Per cui, empanadas (7 €) , tortino di mais (10 €), zuppa di capesante (19 €), cozze ripiene, panini con lombata e avocado, e anche qualche dolce. Ho assaggiato un mollusco di cui non avevo mai sentito parlare, l’abalone. È tipico delle loro coste e ha una consistenza particolare, vicina forse a quella del calamaro, ma più ciccosa, tanto che a tratti risulta complesso anche tagliarlo. Assomiglia ad una pallotta biancastra e ha un sapore tanto delicato quanto indefinito: il mare si sente, ma non saprei a cosa accostarlo per farvi capire. Viene servito freddo da accompagnare con la loro maionese fatta in casa. Sull’essere fatta in casa sono dubbiosa. Costa 12 €.
Ho poi assaggiato un cheeseburger all’interno del padiglione Olanda. Che però è un padiglione all’aperto, costituito da vari food truck (furgoncini) che servono vari cibi di bandiera, dal formaggio gouda, alle polpette, alle patatine fritte, hot dog con salsicce tipiche, pancakes. E Heineken a profusione. Dunque, il mio panino aveva una fetta di gouda fritto, degli spinaci e dell’aceto balsamico. Niente di fuori dall’ordinario, ma l’ho apprezzato. Se quindi volete mangiare senza stressarvi, questo è il padiglione che fa per voi. Ah, per gli snack l’imperativo è quello di fiondarsi in Belgio, per accaparrarsi un cono delle loro celebri patatine fritte, sappiate che troverete coda. Per spirito “accademico” le avrei assaggiate, ma non ho reputato saggio o indispensabile subirmi una coda anche per delle patatine fritte.
In Indonesia ho provato il ristorante interno e ho buttato un occhio sui carrettini di street food esterni. I carrettini lasciateli perdere, i noodles sono appiccicaticci e sembrano cucinati da giorni. Non fatelo. E nemmeno il ristorante. Un piatto preimpostato, composto da varie pietanze che non arrivano dalla cucina ma dai vassoi riscaldati che vi troverete davanti agli occhi. Non potete scegliere quindi cosa mangiare. Per 25 € assolutamente no.
In Repubblica Ceca ho bevuto una buona Pilsner e provato uno stuzzichino da 4 €: la loro salsiccia marinata nell’aceto, non male. E in Baherein una torta di datteri, molto buona, e un succo che mi ispirava: anguria ed essenza di rose. Peccato che l’anguria provenisse da una bottiglia di Sciroppo Fabbri. Costava 5 €: molto più che rubati.
Per entrare in Marocco mi sono fatta due ore di coda, ma l’ho trovato molto carino e scenografico. Le varie tipologie di tajine proposte erano molto appetibili, ma era pieno pomeriggio, per cui mi sono concessa la loro pausa merenda: una formula da 5.50 € in cui erano compresi dei dolcetti, amaretti e al cocco, e un bicchiere di the alla menta. Rigenerante. Hanno un giardino in cui sarebbe un peccato non sostare per un attimo per godersi l’atmosfera, e, se siete fortunati, un musicista allieterà il vostro tempo con qualche melodia da danza del ventre.
In Austria il padiglione è composto solo da un bosco che riproduce l’ecosistema del Paese, perciò non vi consiglio di farvi la fila. L’Austria è vicina, e si fa prima a raggiungerla in macchina! Però le polpette di capriolo sono una delle cose più buone in cui mi sia imbattuta in Expo.
Insieme al succo di Baobab, che scoperta! L’ho assaggiato in Gambia, all’interno del cluster “Frutta e Legumi”. Ottimo, l’ho preso per accompagnare il loro misto veg, e cioè un piattino con platano fritto, degli involtini tipo primavera, e una selezione di frittelle dolci e salate. Stuzzicante ma i 10 € spesi erano sproporzionati.
Nel cluster adiacente, quello dedicato alle spezie, ho fatto mezz’ora di coda in Afghanistan perché c’erano alcuni piatti invitanti che mi incuriosivano. Ma una volta arrivato il mio turno, e solo in quel momento, ho scoperto che era quasi tutto finito. Per cui mi sono accontentata di provare la loro bevanda tipica: lo Sharbat allo zafferano e olio di rosa. Che però ho trovato troppo oleoso, non proprio piacevole come sensazione. Ah, dimenticavo, un’altra bevanda provata e che consiglierei è il the freddo alle prugne che vendono in Corea.
Detto questo, dove è meglio mangiare? Dipende dai gusti, certo. Io, personalmente, ho trovato molto più invitanti le proposte culinarie offerte dai Paesi ospitati nei vari cluster. Forse perché si entra in uno spazio molto più piccolo rispetto a quello dei padiglioni veri e propri, e forse anche perché si è al chiuso, dato che invece la maggior parte dei padiglioni ha una cucina all’aperto per permettere di vendere anche agli ospiti che decidono di non visitare l’interno, ma il profumo di spezie, di Paesi “diversi”, di cucina “diversa”, è per me impagabile. Per cui, se dovessi tornare (improbabile), mangerei in uno di questi. Forse ritenterei la fortuna in Afghanistan, o tenterei di capire se lo zighinì profumatissimo che ho visto è meglio di quello dei ristoranti eritrei di Milano che già conosco.
Per la pizza – tra i piatti italiani più gettonati – avete tre possibilità: Rossopomodoro nel padiglione Eataly (c’è la tonda napoletana, la fritta, l’integrale e qui sono arrivati a sfornarne quasi 2500 al giorno sottolineando l’indice di gradimento per la pizza), Ecco Pasta e Pizza (dove è andato Joe Bastianich), Alce Nero – Berberè che è il modello “nordico” di Matteo Aloe. Il flusso è continuo con qualche attesa minore molto prima dell’orario canonico di pranzo. Si parte dai 7,50 € della margherita di Rossopomodoro.
Se rimanete anche la sera, sappiate che molti padiglioni chiudono alle 20, e quindi anche le loro cucine.
Invece, se volete fermarvi a bere qualcosa e fare un po’ di festa giovane, in Olanda c’è sempre il dj set, e si divertono. Altrimenti sulla terrazza russa si balla, e i cocktail sono buoni, tutti a base di vodka, e non una qualsiasi, ma la Beluga. Costano 8 €, e la bottiglia 90.
L’impresa Expo non è dunque impossibile, basta andare con le idee chiare e non pretendere di visitare tutto o assaggiare tutto. Per questo, dovevamo tutti pensarci a maggio! Insieme a Massimo Bottura, per intenderci!
[Alessia Manoli. Immagini: Manuela Vanni, Vincenzo Pagano, Alessia Manoli, Expo 2015]