Napoli. Trippicella, macelleria di hamburger, trippa e sushi
Il colore dominante è il rosso. Non siamo alla Ferrari, ma poco ci manca. Trippicella è un locale – che chiamarlo macelleria è in fondo riduttivo – aperto in sordina al quartiere Chiaia a Napoli ma con le idee chiare: rivoluzionare l’acquisto della carne con un locale dedicato.
A Napoli, che 15 anni fa i manuali di marketing prendevano ad esempio per il paradosso della grande distribuzione che non riusciva ad affermarsi, le botteghe stanno provando a riconquistare lo spazio perduto. Non si può fare implodendo sulla nostalgia della tradizione che le nuove leghe nutrite a pane e smartphone nemmeno capirebbero, ma lavorando sulla solidità che la conoscenza del passato può offrire all’occhio moderno.
Antonio Di Sieno, classe ’79, detto Trippicella – nomen omen – si professa macellaio 3.0 per cercare di innestare la quinta marcia e portare la carne al centro dell’attenzione dei consumatori di Napoli in un lembo di terra che ha visto già aperture di riferimento come Gourmeet e Sogni di Latte.
Il suo, dichiara, è un progetto di Meat Innovation che punta al verticale assoluto. Pesca nella tradizione a piene mani ma stando al passo con i tempi. Anche in maniera divertente.
Il Meat di sopravvivenza, ad esempio, è un’idea regalo con l’occorrente per un carnivoro che voglia resistere nel deserto del Gobi o più probabilmente nella giungla urbana dei carrelli che schizzano nei centri commerciali. Una scatola nera da riempire con tagli sottovuoto pronti all’uso. Potrebbe diventare il compagno di frigorifero di single incalliti e donne in carriera (ok, si scherza con qualche stereotipo ma il target è quello).
Il bancone della macelleria è ben fornito. Non aspettatevi solo la carne hyperlocal perché Trippicella si va a cercare l’eccellenza dove sta in giro per l’Italia e non solo. Se volete il Wagyu lo trovate insieme al Black Angus delle due americhe, alla manzetta scozzese, alla scottona prussiana e alla podolica irpina. Un meating pot che potrà far storcere il naso ai difensori dei confini borbonici ma che può avere una giustificazione nella ricerca delle frollature perfette. E degli hamburger perfetti che sembra non siano solo di stanza in quel di Milano.
La storia di Trippicella comincia alla fine degli anni ’30 a Pollena Trocchia e sembra già una favola. Ma non solo di cuore perché Antonio, figlio di Antonietta ,è conosciuto come Trippicella per via delle frattaglie che sono essenziali per andare avanti in quanto soldo dato in cambio della macellazione. Enzo, il nipote, continua il percorso e si arriva ad Antonio – quarta generazione che altrimenti si dimentica la tradizione di fronte alle intemperanze – ha “un pizzico di megalomania che lo fa un uomo alla ricerca dell’eccellenza”. Non lo dice in un’intervista, lo mette proprio bianco su nero nel menu dei panini.
Sì, perché il nero è l’altro colore che affianca al rosso della carne – suppongo per via dell’autostima che sa di dover affrontare il discorso delle “trippicelle” – e per via della sua ricerca dell’hamburger che declina in 15 varianti. E, strappatevi pure i capelli, ce ne sono ben 6 con il bistrattatissimo e amatissimo pane nero.
Sul pane poco ho da dirvi perché nella presa di conoscenza guidata, cui hanno preso parte un manipolo di “operatori del settore”, l’hamburger era previsto in porzione mini e senza carboidrati.
Decisione dovuta a un percorso “sensoriale” (termine molto usato dal Trippicella) che andava giù pesante.
Partenza con la tradizione. In tavola – al piano superiore c’è una saletta – arriva il manifesto di vita di Antonio De Senio che si conferma ottimo oratore parlando tra i 30 e i 50 secondi a piatto: la coppa di testa alla maniera della nonna. Ben pressata, meglio asciugata, sottile e saporosa è la pietanza preferita dal padrone di casa.
Accanto, quinto quarto hard con il ventre e la matrice condita con pepe indiano e prezzemolo. Buono.
Siamo all’autocelebrazione con la trippa di trippicella con salsa al basilico e grissino alla mandorla. Gente che ulula all’affermazione di Di Sieno sul diventare volgare quando si tratta di quinto quarto.
Potresti mettere il punto e invece arriva semplicemente il soffritto. Personale momento di odio per la porzione ridotta. Piccante al punto giusto.
A spegnere gli incendi e ad innaffiare ci pensa Pasquale Brillante che vuole provocare e in una sequenza che i duri e puri d’antan avrebbero elevato al soglio del vino rosso sceglie tutti bianchi.
Un Ca’ del Bosco Dosage Zero ad aprire. Trippa con il Greco Villa Cicogna di Benito Ferrara. Con il soffritto c’è un cambio di programma: dall’Aglianico Rosato Fontanavecchia al Fiano di Joaquin. Buona idea che zoppica sull’abbinamento con il soffritto ma dalla spiegazione un po’ contorta pare di capire che c’è stato qualche problema di consegna delle bottiglie.
E il cambiamento si sente perché, dopo la gazzosa Lurisia e una spuma di agrumi per azzerare il soffritto, arriva la parte innovativa.
Ecco il patanegra cotto nel suo strutto che viene abbinato ai friarielli lingua di cane di questo periodo e al Fiano di Clelia Romano. Come mettere insieme buono più buono e chiudere la sequenza dei piatti di carne fin qui assaggiati solo con bianchi. Idea che piace al parterre.
Si passa a una delle mode gastronomiche del momento: gli hamburger che, come detto, sono in versione mini e senza bun. Ma sono tre. Eccoli in sequenza: cervo e grasso di Mangalitza, capriolo con lardo di patanegra, cinghiale e grasso di maiale beneventano. Abbinamenti rispettivi con pistacchio siciliano no Bronte, pinoli e tartufo nero, scarola sottovuoto. Se sono alla ricerca dell’hamburger perfetto, c’è ancora un po’ di cammino da fare nelle miscele magro-grasso e soprattutto nella cottura.
Da bere spunta un sostanzioso Taurasi Vigna Cinque Querce di Salvatore Molettieri che fa da spartiacque con le provocazioni.
Si rientra nell’alveo delle provocazioni con le proposte della chef giapponese Noriko (le proposte nazionali sono dello chef Simone Profeta) alla voce carne.
L’idea è quella del sushi di carne kuroge (la zona si candida a diventare il punto di riferimento del piatto giapponese) che viene ottimamente declinato con lo shabu shabu, lo zenzero ed erba cipollina piuttosto che il tartufo e limone, il miele di castagno sul carpaccio. Non sembra solo un tributo alle manie.
Rosé di Boellinger, applausi, le domande di rito e la di un calendario di appuntamenti come gli incontri per capire la carne e conoscere gli allevatori.
Provate a vedere se questa carne in versione 3.0 vi soddisfa.
Trippicella. Via Cavallerizza 3b. Napoli. Tel. +39 331.3382251