Venezia mette al bando kebab e pizza al taglio
Venezia, raggiunta ogni anno da circa 25 milioni di turisti, decide di allinearsi a Firenze e adotta il regolamento Unesco con un’operazione di ‘repulisti’ a tutela del centro storico in cui finiscono anche pizzettari e kebabbari.
Tutti colpevoli di accogliere – e raccogliere – all’interno dei loro negozietti merce di natura e provenienza incerte, e soprattutto di inquinare l’estetica di un centro storico da tutelare. Meglio ritornare alla tradizione, invoca il sindaco Luigi Brugnaro eletto nelle liste del centrodestra lo scorso giugno.
Meglio, dunque, sostituire a felafel e pizze al taglio cibo di produzione locale: pesce fritto, tramezzini, cicchetti dei bacari o frittelle veneziane.
Non sta a chi scrive ricordare che la tipicità della città lagunare è proprio nella sovrapposizione di sapori, lingue, culture, razze, che nei secoli vi si sono avvicendate, e che pertanto fa un po’ sorridere invocare il diritto esclusivo ad una produzione locale.
Al massimo, se proprio bisogna fare guerra al kebab lo si faccia per i danni irreparabili che causa alla nostra silhouette: ma lo sapete quante calorie contiene uno solo di quei coni traboccanti carne e salsa all’aglio? Circa M-I-L-L-E-C-I-N-Q-U-E-C-E-N-T-O, per non parlare dei grassi saturi presenti (il 350% di quelli assimilabili da un essere umano ogni giorno) e del sale, presente in percentuale del 200% rispetto al fabbisogno medio giornaliero.
Insomma, il kebab benissimo non fa.
Sarebbe però un gesto quantomeno civile lasciare che a decidere se mangiarne o meno siano i diretti interessati. E non un sindaco integralista. Non vi pare?
[Link: Nuova Venezia]