Milano. Tutti in fila da Pescaria per il pesce più buono che c’è
È dagli inizi di giugno che vedo fluire foto di goderecci panini targati Pescaria da Polignano a Mare con furore sulla timeline di Facebook, tutti accompagnati da annunci di un imminente atterraggio in terra meneghina.
Una campagna social studiata con astuzia e dimestichezza da Brainpull, artefice di questo piccolo miracolo gastro-mediatico che ha trasformato una pescheria (Lo Scoglio di Bartolo L’Abbate) in uno street food alquanto pettinato.
Gente che merita applausi fragorosi per l’idea e il coraggio, che ha saputo forgiare una brand identity e uno storytelling niente male.
Perfino il ritardo dell’inaugurazione – che doveva avvenire a luglio ma slittata a ieri in via Bonnet 5 per inconvenienti tecnici – è stato gestito bene creando un’attesa spasmodica per questi paninazzi che facevano bella mostra di tentacoli di polpo fritti, scorfani in pastella e tartare a nastro. L’evento creato su Facebook contava quasi 4000 partecipanti.
Io arrivo alle 19.10 in sella al mio biciclo bicolore e la fila che mi separa dall’ingresso è esattamente questa.
Non saranno 4000 ma sicuro sono parenti di 400. Stoico, non mollerò confidando nella scarsa determinazione altrui. E infatti man mano qualcuno molla la presa, quasi indignato per l’eccesso di umani in coda per un panino e le distanza ravvicinate (oh, ma ci siete mai stati a un concerto Roccherrolle? Dilettanti).
Peccato che alle 20 io sia ancora qui. E devo sorbirmi discorsi che mi solleticano lo stesso interesse che potrebbe suscitarmi un documentario sui rituali d’accoppiamento delle scolopendre. Vago con la mente nel magico boschetto della mia fantasia, ma alle 20.55, tornato alla realtà, ho guadagnato pochi metri. Non nego di sentire la palpebra pesante come una saracinesca arrugginita e le ginocchia anchilosate. Inspiro, espiro, dai che c’ho fame, mannaggia!
Mi avvicino sempre più ma alle 21.05 sbuca un ciuffo di vegani che protesta. Una dimostrante urla qualcosa al megafono, a me arriva una poltiglia in cui riesco a carpire solo: Voi Mangiate Tartarughe E Delfini. Mmm, in realtà no, ma temo che abbiate confuso le tartarughe con la pagnotta usata da Pescaria e chiamata così perché ne richiama la fantasia del guscio. Poi sento solo, in coro: Per Tutti Gli Animali: LI-BER-TÁ! Il tutto dura 5-minuti-cinque di orologio, non registro casi di redenzione alimentare tra il pubblico.
Sono davanti la soglia ma devo attendere fino alle 21.50 per entrare, già scoraggiato dal tizio dello staff che amministra il flusso alla porta che mi dice che Stasera Non Ci Sono Fritti. Neanche Il Panino Col Polpo.
Depressione, raga, depressione. Che però svanisce quando alla ragazza in cassa chiedo Avete Il Panino Col Polpo? E lei mi risponde Certo! Yu-hu! dico io.
Il menu è ricco e si divide tra mitili-e-crostacei crudi (media prezzo 5-25 € a porzione), pesce crudo (8-15 €), tartare (fisso: 12,50 €), fritture (5-35 €), 5 tipi di panini (10-12,50 €, opzione veg a 6,50 €) e 3 insalate (10 € l’una). La cantina è alquanto generosa (15-50 € a boccia).
Mi ha raggiunto un amico, si ordina in due: un panino col polpo (mio), 2 panini con gamberi al ghiaccio (uno a testa), una tartare di salmone (sua), una porzione di ostriche (6 pezzi, 3 ciascuno), una tagliatella di seppia cruda (mia). Il calice di vino bianco è offerto. Totale 66 €.
Nel frattempo scruto il locale gremito di bocche masticanti e non. Tutto bianco con lampadine intrappolate in nasse che penzolano dal soffitto, la sala è un lungo corridoio che scorre lungo il bancone a ridosso del quale c’è un piccolo angolo-cucina a vista dove si assemblano i panini e si scalda il pane in un forno elettrico a quattro piani.
Il dj scandisce l’attesa con un imperituro quattroquarti.
Ore 22.15. Arriva il primo panino “chiamato” a squarciagola da uno dei camerieri (su ogni scontrino c’è un numero sequenziale. Io ho A 109), ovvero un must di Pescaria: 100 g di polpo fritto, cicoria aglio e olio, ricotta e pepe, mosto cotto, salsa al profumo di alici.
Un arrangiamento equilibrato in cui la tonicità del polpo gioca con le morbide consistenze di ricotta e cicoria. Il panino viaggia su un piacevole andirivieni di dolce e amaro in cui ha un ruolo importante il mosto cotto, invero sorprendente. In più il pane è fragrante e vigoroso. Qui si vince a tentacoli bassi.
C’è tanta gente e l’ordine di consegna ne risente. Si balza da un numero a un altro senza criterio con rilasci di panini a spizzichi e bocconi: A 112, A 117, A 104, A 120. Quaterna!
Dopo qualche minuto arriva tutto il resto tranne il mio secondo panino, quello coi gamberi al ghiaccio. Vabbè, ci do dentro con le tagliatelle di seppia cruda.
Soddisfacenti nella loro semplicità, è un crudo e qui conta solo la qualità della materia prima, ottima.
Anche le ostriche hanno la loro da dire, fresche e carnose, sento il mare puro infrangersi sullo scoglio del mio palato.
Assaggio la tartare di salmone che invece mi fa scendere il termometro dell’eccitazione.
Sarà stato un salmone pigro quello, ma non c’è nessun guizzo, la trovo dimenticabile – avendone mangiate di migliori. E poi è servita con carpaccio di zucchine e pomodorini rossi (e alcuni verdi immaturi) al posto di cipolla di Tropea, capperi, peperone e zenzero promessi dal menu: colpa della ressa?
Passa un’abbondante mezz’ora e del mio secondo panino – sì, sono un porco ingordo – neanche l’ombra. Al che m’avvicino al bancone e con garbo dico allo chef Lucio Mele in persona, la mente creativa dietro la carta di Pescaria e con trascorsi al fianco di Claudio Sadler e Alfonso Iaccarino, che manca ancora sto benedetto panino coi gamberi.
In un attimo mi rifila 5 calici di vino – al tavolo mio e del mio amico si sono aggiunte tre ragazze – e 5 friselle condite con cime di rapa, sgombro e pesto di pomodorini, tutto questo per scusarsi della svista: gesto molto signorile.
E le friselle sono pure buone con lo sgombro valorizzato da una leggera marinatura (in aceto, dicono i miei recettori).
E non faccio in tempo a finirne una che il panino mi piomba davanti le fauci. Nella fattispecie: gamberi al ghiaccio, pancetta Santoro croccante, chips di patate, insalatina di spinaci, stracciatella e ketchup affumicato.
Mi dispiace, ma a mio avviso la composizione è sintatticamente sbagliata. Il gambero, cotto col ghiaccio, mantiene il suo tenue sapore soverchiato però da pancetta e ketchup che la fanno da padroni nel bolo in via quasi dittatoriale. A nulla serve la nota lattea e rinfrescante della stracciatella. Il ripieno è freddo (giusto, dato che il gambero non tocca fiamma) e le chips concorrono a dare un’ulteriore spinta croccante. Per sentire il delicato sapore dei crostacei – che sono di eccelsa qualità – devo estrarli e mangiarli a parte.
Poi guardo la sezione del panino e, insomma, di pancetta, che essendo cotta è ancora più sapida, ne hanno cacciata parecchia: ok l’abbondanza ma qui ci vuole equilibrio soprattutto se si propone un insieme ardito e si ha a che fare con un ingrediente che va sostenuto e valorizzato. Peccato, è anche il panino più costoso (12,50 €) e, secondo me, poteva essere giocata un’altra combinazione di ingredienti proprio per l’inaugurazione.
Poco male, in linea di massima mi pare che quelli di Pescaria ci sappiano fare, maneggiano ottima materia prima e hanno idee interessanti, sebbene qualcosa mi sia parsa fuori fuoco. Vanno di certo ri-testati tra un po’, quando l’entusiasmo di massa si sarà placato e la cucina viaggerà a ritmi normali, sperando di trovare qualche nuova chicca in menu.
Benvenuti a Milano.
Pescaria. Via Bonnet 5. Milano. Tel. +39 02 659 9322
[Testo e Immagini: Marco Giarratana]