Lecce. La Torre di Merlino è un luogo magico per conoscere la cucina del Salento
Nel cuore di Lecce, a pochi passi da Piazza Sant’Oronzo, si erge La Torre di Merlino. Un ristorante che non millanta una magica esperienza gustativa (come potrebbe dar intuire il nome) ma offre un pasto che affonda solidamente le sue radici nella tradizione, innovandola.
Il menu pesca a piene mani dal territorio e figurano piatti ed ingredienti tipici del Salento. Ce n’è abbastanza per mettere in crisi anche il più navigato avventore di ristoranti.
Il problema è però presto risolto dal menu degustazione da 35 €, una successione di 5 piatti con un entrée e dolce finale.
Emblematico del pranzo è la prima portata, polpette fritte di carne mista, scelta rustica che non sfigura e interpreta la tradizione in chiave contemporanea.
La polpetta è croccante fuori, circondata da una frittura asciutta con l’involucro che mantiene la sua consistenza senza ammorbidirsi, prerogativa della carne che si trova al suo interno.
Unica ombra è la punta di acidità finale.
La prima portata: Burrata e stracciatella accompagnate da capocollo. Il latticino è fresco e poco sapido, un toccasana per i 40 gradi costanti della stagione.
Il capocollo è morbido e delicato, non sfilaccia e si sposa alla perfezione con la burrata. Se non avete vergogna mangiateli insieme e affogate le vostre papille nel piacere del vero confort gastronomico.
Non poteva mancare un piatto di Fave e Foglie.
Il corpo centrale è una crema di patate su cui campeggiano la cicoria e le fave, il tutto guarnito con pane fritto e spolverato con altra cicoria.
La crema di patate è molto delicata e viene quasi coperta dal gusto amaro e deciso della cicoria. Morbida e vellutata per certi versi risulta quasi insipida.
La cicoria allappa per l’asprezza, l’olio aggiunti a crudo reidrata la bocca.
È presente una nota legnosa alla fine del piatto, tipica di alcune ripassature con vino, testimone della genuinità del vegetale che in questo caso non è preparato con alcol.
Il piatto per sua natura vede campeggiare la cicoria che eclissa il resto degli ingredienti e non sarebbe corretto lamentarsi dell’assenza di un ventaglio equilibrato di sapori, non implicato dalla preparazione.
Al tavolo arrivano le Rape infuocate (bollite e in seguito saltate con peperoncino, porro, olio, burro e vino bianco) con piselli nani di zollino (presidio Slow Food) e muorsi di pane fritto, lo stesso trovato nelle Fave e Foglie.
Il gusto delle rape è pieno e non viene reso da un’eccessiva piccantezza che è anzi controllata e non copre il vegetale pugliese per antonomasia.
I piselli nani bianchi a prima vista assomigliano a dei comuni ceci ma se ne distaccano per l’assenza di farinosità e la scorza quasi croccante. Morbido e delicato il legume è una prelibatezza.
È il piatto migliore; l’esperienza si configura come un climax discendente dal piccante al dolce e per masticabilità, dal bollito al croccante passando per il legume vellutato. Un must.
Arrivati troppo tardi per la loro corposità sono i Ciceri e tria, un piatto abbastanza antico da condividere parte il soprannome dell’arpinate avvocato, Cicerone appunto. Una tradizione romana che si è conservata fino ai nostri tempi e che detta la compresenza di tagliolini di grano duro alternativamente cotti al vapore o fritti.
La sapidità domina il piatto e i tagliolini non si sfaldano né si spezzano mentre i ceci rimangono in secondo piano: una portata più soddisfacente per le mandibole che per il palato.
Unico demerito è la loro abbondanza che mina la degustazione.
Il quinto e ultimo piatto è a scelta del cliente, scelta che nel mio caso è ricaduta sui Turcinieddi, una pietanza tipica di molte regioni italiani con altrettanti nomi a base di interiora di agnello.
Gli intestini vengono preparati a cottura lenta che non disperde aromi e sapori come farebbe invece una brace.
La consistenza è quella tipica delle interiora; farinosa si apre con la sola forchetta per la tenerezza.
Antitetica invece è la durezza del gusto, ferroso per la presenza di sangue che viene interrotto solamente dal finocchietto.
Una degustazione non per tutti, ma destinata sicuramente ai neofiti della cucina pugliese che ne vogliano conoscere la bandiera.
Il pasto non poteva che chiudersi con un pasticciotto salentino, una pasta fragrante che racchiude una crema densa (e ne potete godere ovunque con la ricetta originale). Abbastanza equilibrato non sfocia in una dolcezza esagerata che viene invece apportata dal vino che lo accompagna.
Il bilancio del pranzo è favorevole se ci si affida al menù degustazione mentre ordinare alla carta potrebbe inficiare il rapporto qualità/prezzo e far smarrire il cliente meno esperto di piatti pugliesi.
Il conto che viene presentato a fine pasto si colloca poco al di sotto dei 50 €, una cifra non irrilevante che tiene conto però della posizione strategica e di una qualità degli ingredienti impossibile da trascurare.
Lecce sicuramente offre altri luoghi degni di nota, segnalateceli nei commenti.
La Torre di Merlino. Via Giambattista del Tufo, 10. Lecce. Tel. +39 0832 242091