Le papaccelle ‘mbuttunate scientifiche spiegate in 5 punti
Se ne avete voglia googlate pure, ci mancherebbe. Ne troverete tante sui peperoni (papacelle è, manco a dirlo, un peperone napoletano: ma ve lo spiegherò più avanti), sulle loro proprietà benefiche, sulla loro pesantezza (leggi poca digeribilità), sulla loro presunta “pericolosità” in quanto solanacee, sulla loro corretta stagionalità. E, naturalmente, tante ricette.
Ricette che ne fanno un prodotto estremamente versatile: in padella, con olive e capperi, come base per una saporita salsa ad accompagnare la pasta nei mesi più caldi, in vari modi imbottiti e stufati al forno.
Ecco, parliamo dei peperoni ripieni. Come al solito, ormai sembra un refrain immancabile, le ricette “popolari” non sono mai davvero codificate: ognuno di noi ha la propria versione, intimamente convinto di essere in possesso di quella migliore e più saporita.
Certo è che ripieni e poi cotti al forno è una delle “modalità” che più appassiona i cultori, sia nella versione più ricca e “festaiola” del ripieno di carne che nella più economica e popolare versione dove il pane raffermo fa da base ad un altrettanto godurioso ripieno. E qui vi presentiamo i peperoni ripieni, anzi le papaccelle ‘mbuttunate.
Io, come sempre leggermente eretico, ne farò una mia versione, e utilizzerò qualche strumento scientifico per analizzare e tentare di giustificare uno dei più noti “peccati di gola” della cucina partenopea.
Ah, purtroppo per la loro digeribilità non esistono veri rimedi.
La “sopportabilità” varia da soggetto a soggetto, ovvero anche sbucciarli da crudi, o addirittura arrostirli per poi spellarli pazientemente (è nella buccia che risiede la cellulosa, che non digeriamo particolarmente bene), potrebbero rivelarsi pratiche inutili.
La ricetta dei peperoni ripieni
Ingredienti
8 Papaccelle napoletane ricce
500 g di mollica di pane cafone raffermo (dal Palatone di San Sebastiano al Vesuvio)
7/8 filetti di alici sott’olio
30 g di capperi sotto sale
150 g di olive nere di Gaeta
40 g di gherigli di noce
un ciuffo di prezzemolo
50 gr di pane grattugiato
olio extravergine d’oliva q.b.
acqua q.b.
sale fino q.b.
1. La papaccella napoletana
È vero, i peperoni danno il meglio nella stagione estiva, peraltro da tempo maledettamente allungatasi a causa del cambiamento climatico.
Esiste però nel napoletano una varietà, leggermente tardiva, che molti di noi inconsapevolmente conoscono nella loro versione più commerciale, quella della stagione invernale, sott’aceto, utilizzata “a crudo” nell’insalata di rinforzo napoletana a Natale o addirittura soffritta in padella come contorno della carne di maiale nei mesi più freddi.
Parliamo della papaccella napoletana (papaccella riccia), presidio Slow Food dal 2004.
È una varietà di peperone, dalla pezzatura piccola, variamente colorata dal giallo al verde o rosso, più o meno intenso, coltivata nelle zone del napoletano e del vesuviano nell’intervallo che va da luglio fino alla fine di ottobre. Le mie papccelle, ovvero quelle usate nella ricetta, me le sono procurate da un produttore del Vesuvio.
Le dobbiamo lavare, asciugare, aprire praticando un taglio circolare sulla calotta intorno al picciolo (conservate la parte che otterrete), liberarle dai semi all’interno. Operazioni, ça va sans dire, da effettuare tutte delicatamente.
2. Il pane cafone
Il pane cafone è il pane del forno del paese, quello cotto a legna, non quello preparato con il lievito madre, ma un suo “parente”, ovvero il criscito, che, semplificando, potremo definire come derivante dal riporto di altre panificazioni.
Siamo partiti dal pane innanzitutto perché rappresenta la base di una ricetta sostanzialmente “povera”, con pochi ingredienti, dove il pane, quello del giorno prima, è appunto protagonista.
Però non basta che sia raffermo, deve avere la giusta acidità, i giusti sentori. Ed è per questo che deve, necessariamente, essere pane cafone napoletano, come il famoso palatone di San Sebastiano al Vesuvio. Il significato del nome ce lo spiega Raffaele Bracale, studioso dell’idioma, e non solo, partenopeo.
‘o palatone (grosso filone di ca 2 kg), bastevole al fabbisogno giornaliero di una famiglia numerosa, il suo nome gli deriva dal fatto che al momento di infornarlo, detto filone occupa per intero la lunga pala usata alla bisogna;
la palata è invece il filone il cui peso non eccede 1 kg ed occupa la metà della pala per infornare;
un quarto o meno della pala occupano le c.d. palatelle (piccoli filoncini da 500 o 250 g)
Non lo trovate? Nessuna paura, anche un buon pane preparato con lievito madre andrà più che bene.
3. Il ripieno
È con il ripieno, semplicissimo, che nobilitiamo questi prodotti della terra.
La mollica del pane rafferma, tirata via dal pezzo di pane con un cucchiaio, imbibita d’acqua e poi strizzata dopo qualche minuto.
Irroriamola con sufficiente olio, rendendola compatta.
A completare il tutto penseranno le olive nere, rigorosamente di Gaeta, che andremo chiaramente a denocciolare, i capperi (possibilmente piccoli) dissalati, dei gherigli di noce spezzettati, il prezzemolo triturato, i filetti d’acciuga sott’olio tagliati a piccole losanghe, meglio se di Cetara.
Piccola nota: esistono ricette tradizionali di alcune zone della Campania che, per aggiungere ulteriore sapore al ripieno, di per sé abbastanza povero, lo ripassano ulteriormente in padella, incrementando così leggermente il gusto.
Ne troverete altre con scamorzina affumicata a cubetti o con formaggio grattugiato a scelta.
Io riporto qui la ricetta di casa mia, assolutamente tipica delle zone del Salernitano.
Per completare bisognerà riempire le papaccelle con il ripieno, pressando delicatamente e rimettendo il “cappello” precedentemente creato.
Un filo d’olio extravergine in una teglia circolare (quello che a Napoli chiamiamo ruoto), le nostre papaccelle, ancora un filo d’olio a completare per la successiva cottura in forno.
4. Le proprietà dei peperoni
Di cosa sono ricchi i peperoni?
Innanzitutto di beta-carotene, che è un nutriente prezioso per il nostro corpo: è un precursore della vitamina A – per questo motivo viene anche chiamato provitamina A – e ha un potere antiossidante che pare essere coinvolto nella protezione da alcune disfunzioni e malattie.
Caroteni che sono però “sepolti” in profondità nelle cellule e quindi devono prima essere resi accessibili, rompendo le varie barriere, a partire dalla parete esterna, prima che nel nostro intestino possano venire assorbiti.
Nei peperoni crudi, poi, troviamo una notevole quantità di vitamina C, persino maggiore di quella contenuta negli agrumi.
In quelli rossi abbonda il licopene, che non è una brutta parola, bensì una molecola della famiglia dei carotenoidi che ha un buon potere antiossidante e si pensa che abbia delle funzioni protettive nei confronti di alcuni tipi di tumore.
5. La cottura
Inforneremo per 45/50 minuti circa a 180º (regolatevi con il vostro forno), saranno pronte quando le vedrete leggermente appassite in superficie.
Piccola nota scientifica: con la cottura, oltretutto con una buona, ma non eccessiva, dose di grasso, rendiamo disponibili una buona dose di nutrienti. Due le ragioni.
- Come abbiamo visto prima, per accedere ai “nutrienti” dobbiamo andare in profondità, quindi degradare meccanicamente, o in questo caso attraverso la cottura, la struttura dei nostri peperoni per cercare di liberare queste preziose molecole e renderle maggiormente bioaccessibili. Certo, non stiamo parlando di cotture prolungate per ore, ma di certo è sempre meglio mangiare un peperone cotto (sarebbe meglio a vapore, vabbè) piuttosto che crudo, da un punto di vista della vitamina A.
- Altro aspetto da sottolineare, riguardo la vitamina A, è che si tratta di una vitamina liposolubile, ossia si “scioglie” in presenza di lipidi – grassi. Accompagnare, quindi, alimenti ad alto contenuto di vitamina A con alimenti grassi – senza eccedere, ovviamente! – ne migliora l’assorbimento.E a me non resta che augurarvi buon appetito.
[Immagini: Massimo D’Alma, Vincenzo Pagano, Scatti di Gusto, Regione Campania]
La ricetta scientifica spiegata in 5 punti
Cacio e pepe
Pasta, patate e provola al forno
Ragù napoletano
Papaccelle ‘mbuttunate
Focaccia messinese
Risotto alla parmigiana
Pasta e fagioli
Cartellate pugliesi
Tortelli di zucca