Perché il delivery in Campania è un bluff, spiegato bene dal Giardinetto di Scafati
Volevano il delivery delle pizze e dei cibi pronti in Campania che era vietato con una situazione di disparità rispetto alle altre regioni.
E ora, con la nuova ordinanza del Presidente della Regione Vincenzo De Luca da lunedì 27 aprile sarà possibile seguendo un rigido protocollo di misure che prevedono tanta sicurezza per limitare le possibilità di contagio e anche orari differenziati di apertura per bar (dalle 8 alle 14) e per ristoranti e pizzerie (dalle 16 alle 22).
Passato il primo momento di euforia, molti hanno iniziato a ragionare sulle concrete possibilità di effettuare le consegne a domicilio.
Non tutti gli operatori sono d’accordo e in mezzo a proposte da sommossa, c’è chi analizza con freddezza l’ordinanza.
Come Mariangela La Mura de Il Giardinetto di Scafati. Che in un post su Facebook riporta la spiegazione di perché sia impossibile aprire al delivery anche se il locale già lo faceva.
Impossibile aprire il delivery con queste regole
Avete letto il protocollo di sicurezza in allegato all’ordinanza reg. n. 37 del 22.03.20?
Sintetizzo: le attività dì ristorazione possono operare consentendo il servizio di delivery food (cosa diversa dal servizio di asporto).
In pratica il cliente potrà prenotare telefonicamente o online il cibo , ma solo la sera ed entro le 22. Ora, tralasciando ogni valutazione economica in merito ( e ci sarebbe da discutere considerato che in media si riescono a fare 5 consegne massimo ogni ora) mi soffermo sull’aspetto relativo alle disposizioni di sicurezza da rispettare.
Per aprire dovremmo effettuare la procedura di sanificazione dei locali con relativa certificazione da esporre. I dipendenti torneranno a lavorare in numero ridotto per consentire il rispetto delle distanze di sicurezza nell’ambito dei locali adibiti alla lavorazione del cibo. Ogni lavoratore dovrà effettuare la visita medica che attesti lo stato di buona salute dell’interessato.
Analogamente il datore di lavoro procederà ad informare “ nelle modalità più idonee ed efficaci le nuove disposizioni” che saranno ugualmente esposte nei locali.
Ancora, tutti gli operatori, nonostante non avranno contatti con il pubblico ma solo con qualche collega di lavoro nel rispetto delle norme di distanziamento sociale, dovranno indossare guanti, mascherine monouso, camici monouso e – udite udite-sovra-scarpe monouso (dispositivi di difficile reperimento finanche per gli ospedali!).
Ogni mattina verrà(non si sa da chi) misurata la temperatura ai dipendenti che dovrà essere inferiore ai 37,5 gradi , in caso contrario se ne dovrà inibire l’attività.
Bisognerà procedere alla sanificazione degli ambienti una volta al giorno con prodotti quali etanolo o prodotti a base di cloro in specifiche concentrazione relazionando puntualmente tale attività in appositi registri (che si aggiungono a quelli che relativi alle modalità di trasporto del cibo, a quello relativo alla loro conservazione, allo smaltimento rifiuti).
Analogamente i fornitori dovranno rispettare gli orari di consegna evitando il contatti tra gli stessi e i dipendenti ( e già fa ridere così!) “favorendo la trasmissione telematica dei documenti di trasposto” documenti che in fase di scarico sono essenziali ai fini del controllo della merce consegnata.
Relativamente alle consegne, deve essere mantenuta una distanza tra i locali destinati alla preparazione del cibo rispetto a quelli dove entrerà il fattorino a ritirare la merce (qui possiamo volare con la fantasia immaginando il teletrasporto del cibo).
A questo punto mi permetto di fare una considerazione : che la tutela del lavoratore e di riflesso di tutta la società debba essere la priorità non si discute ma qui bisogna essere realisti.
Di fatto questo documento è stato redatto da chi non ha la più pallida idea di come funzionino le cucine di un ristorante o di un pub, di come si possa lavorare alla le linea dei forni delle pizzerie.
Evidentemente chi ha redatto questo protocollo non sa che se si sta davanti ad un forno a 450 grandi la mascherina renderà impossibile la respirazione, il camice monouso impedirà i movimenti e farà salire la temperatura corporea di chi lavora, i guanti monouso si scioglieranno sulla pala calda, non ne parliamo dei disagi di chi indossa occhiali da vista.
Immagino uno chef che non potrà neppure sentire l’odore di ciò che prepara, non potrà controllare la pasta in cottura a patto di non abbassare la mascherina in continuazione (ma a questo punto che senso ha tenerla?), lavapiatti a contatto con lavastoviglie che lasciano uscire ondate di vapore bollente ogni 15 minuti (di fatto non si riesce a respirare con una mascherina!)
Aggiungo che davanti ad un forno non si possono utilizzare prodotti di plastica ma solo in acciaio o alluminio , spiegatemi, volendo immaginare una alternativa, come si possa lavorare magari con una visiera… ancora: norme igieniche prevedono che la pulizia di stoviglie e di utensili di cucina debba essere fatta con appositi prodotti che non lasciano odori in quando entrano in contatto con il cibo, ma qui si chiede di usare etanolo o cloro su un mestolo!
Non mi dilungo sulle norme che dovrebbero osservare i fattorini e gli stessi clienti in caso di pagamento in contanti.
Insomma, la questione è questa : se diversamente non c’è possibilità di garantire la sicurezza di lavoratori e cittadini è più onesto non consentire questa riapertura che , allo stato dei fatti, è solo un bluff che alimenta le speranze di chi è giustamente ansioso di ritornare a lavoro.
Tuttavia balza agli occhi la disparità di trattamento tra le varie attività : non mi risulta che i lavoratori di un panificio siano obbligati ad indossare camici monouso e sovrascarpe . Eppure loro sono a contatto continuo con la clientela .
Ai ristoratori invece si dà la possibilità di aprire senza contatto con il pubblico ma con un sovraccarico di misure di sicurezza rispetto a chi ha lavorato ogni giorno senza tutti questi dispositivi ma comunque in sicurezza .
Personalmente trovo tutto ciò una mera mossa politica fatta per ingraziarsi i lavoratori che chiederanno di rientrare a lavoro e giustificare le future richieste di riscossione alle attività.