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2 Settembre 2020 Aggiornato il 3 Settembre 2020 alle ore 14:12

Aragoste: non farle soffrire, come chiede Giorgio Locatelli, costa 2500 euro

Alleviare la sofferenza delle aragoste stordendole prima di cucinarle, come chiede lo chef Giorgio Locatelli, può costare 2500-3000 euro
Aragoste: non farle soffrire, come chiede Giorgio Locatelli, costa 2500 euro

Un nuovo appello è arrivato nei giorni scorsi dai veterinari della British Veterinary Association, che hanno chiesto agli chef di adottare pratiche meno disumane per cucinare aragoste, granchi e gamberi senza farli soffrire.

Come sostiene da tempo Giorgio Locatelli, il celebre chef giudice di MasterChef che spiegò in trasmissione i tempi di cottura.

Mi sia concesso un breve ricordo personale. Di quando, adolescente, durante una vacanza in Sardegna, ho visto un’aragosta buttata viva dai pescatori di Golfo Aranci nell’acqua bollente, legata da elastici che ne costringevano le antenne.

Non potevo credere a ciò che vedevo. E soprattutto, sentivo. Dopo il grido (quel fischio che per alcuni è dolore, per altri solo il passaggio del vapore nel carapace) ho pensato che piangesse. E subito dopo, ”basta: faccio lo sciopero dell’aragosta”.  

Decisione ammorbidita col passare del tempo in nome di un prelibatissimo peccato di gola. Oggi il tema torna d’attualità.

La raccomandazione è: bollirle vive sì, ma stordite attraverso un attrezzo. Scenario che apre nuove discussioni. 

Cos’è il CrustaStun

https://www.instagram.com/p/BoZFtYDhI44/

L’attrezzo, ”CrustaStun” (da crustacean, crostaceo, e stun, stordire) che costa da 2500 a circa 3600 euro, è già diffuso in Inghilterra. Uno dei più ferventi utilizzatori, dal lontano 2014, è Giorgio Locatelli, lo chef italiano titolare dell’omonima locanda a Londra.   

Dalle dimensioni di una valigetta, “CrustaStun” ha all’interno un vassoio, dove viene posto il crostaceo, che viene immerso nell’acqua salata. L’operatore preme un bottone e la corrente elettrica passa attraverso l’animale. Dopo meno di un minuto dalla chiusura del CrustaStun, l’aragosta è bella che stordita e si può cucinare.  

Tecnicamente ancora viva: per ucciderla ci vogliono 10 secondi nella macchina.

Questo compromesso garantisce tra l’altro carni morbide e succose, una delle ragioni che spingono i cuochi a cucinare i crostacei vivi. Diversamente, sostengono loro, la polpa diventa stopposa.  

Così la ricetta è salva, ma il crostaceo no. E la nostra coscienza? 

Aragoste e coscienza

aragoste

Un dilemma che ha convinto altri Paesi ad abolire del tutto la pratica. Nel 2018 la Svizzera ha vietato ai cuochi di buttare i crostacei vivi nell’acqua bollente e di trasportarli sul ghiaccio o nell’acqua ghiacciata. Devono invece essere lasciati nell’acqua di mare e storditi prima della cottura. 

Sul tema della sofferenza dei crostacei bolliti vivi i pareri scientifici sono discordanti, ma lo studio più citato è comparso sul Journal of Experimental Biology, nel 2013. Sostiene che i crostacei possono soffrire. L’esperimento, condotto su decine di granchi comuni, li sottoponeva a una piccola scossa elettrica e questi cercavano di evitarla nascondendosi. 

Assunto che soffrono, e che esiste uno strumento per stordirli e bollirli ancora vivi per conservarne la bontà, sul piano etico come la mettiamo? 

Nel 2018, dopo la scelta della Svizzera di bandire la pratica, diversi chef hanno espresso opinioni contrarie. Secondo lo chef stellato Bernard Fournier tanto valeva smettere di cucinare le aragoste. In linea con la sua opinione anche alcuni chef italiani come il sardo Luigi Pomata e Rocco Pace.

Più contenuta la reazione di Heinz Beck, tre stelle Michelin per La Pergola di Roma, a volte descritto come lo “Chef che parla alle aragoste”. Nel 2013 lo chef tedesco ha chiesto un metodo per continuare a proporle ma senza inutili sofferenze.    

catalana aragosta

Chissà se col nuovo appello dei veterinari qualcosa cambierà o si continuerà a parlarne senza decidere nulla. 

Il mondo della cucina offre ampi spunti di discussione etica. Anche ribaltando i ruoli. Come ha fatto di recente Andoni Luis Aduriz. Con l’ingegnosa trovata culinario-filosofica della sferificazione di angulas (avannotti delle anguille) vive del Mugaritz, lo chef spagnolo assegna il ruolo di protagonista (vero o presunto) al cliente. Così, davanti a quel piatto, si dispiegano le nostre contraddizioni di consumatori, demandate ad altri.  

Aduriz, invece, porta il boia fuori dalla cucina, e lo fa sedere ben vestito e comodo al tavolo del ristorante. Chiedendogli di scegliere, al cospetto di quel piatto con un avannotto di anguilla vivo, in semi di basilico, tra la vita o la morte.  

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