La pizza di Chicago? “Mangiatoia per topi”. Ma Napoli faccia mea culpa
Napoli non celebra la pizza come dovrebbe, sottolineano in molti nel “day after”.
Day after? Tranquilli, questo nuovo conflitto nucleare è circoscritto all’affollato mondo delle città che si autoeleggono capitali della pizza.
Durante il National Pizza Day, con un tweet dal suo profilo ufficiale, la città di Chicago si è proditoriamente autoproclamata capitale del piatto notoriamente nato, cresciuto e pasciuto a Napoli. “Fieri di essere la Capitale della pizza nel mondo”, hanno scritto senza imbarazzo dalla metropoli dell’Illinois.
Per carità, ognuno scrive ciò che vuole. Ma ricordiamo che si parla della pizza detta “pie”. Una torta che per promiscuità d’ingredienti e spessore ha spinto l’anchor man del Daily Show e umorista Jon Stewart a definirla “mangiatoia per topi”.
Ad ogni modo, questa deriva che spinge la pizza sempre più lontano dalle origini napoletane è insopportabile. Ma è anche colpa di Napoli se, almeno una parte di Chicago, è convinta nella sua sicumera che la pizza sia non solo un piatto locale, ma pure il migliore del mondo?
Napoli non ha un National Pizza Day
La prima cosa da chiedersi è se esistono similitudini tra il National Pizza day americano, che cade il 9 febbraio, e la Giornata Mondiale della Vera Pizza Napoletana proclamata il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio, patrono dei pizzaiuoli.
Risposta semplice: no. La prima è una ricorrenza ben organizzata e sfruttata commercialmente. Della serie: quando gli americani fanno gli americani. La festa napoletana, neanche accostabile a quella statunitense per spinta promozionale, è praticamente sconosciuta. Anche perché sottopubblicizzata.
I numeri della pizza negli Stati Uniti
Ma il paragone tra ricorrenze è solo la punta dell’iceberg.
Il fatto che la pizza sia nata a Napoli ma che i maggiori profitti li facciano gli americani, non fa onore al genio e all’inventiva italiana. E dice molto sulla nostra incapacità di valorizzare le poste strategiche.
I numeri sono impressionanti. I più voraci consumatori mondiali? Sono gli americani con 10 kg a testa. Il 93% della popolazione la consuma almeno una volta al mese. Si vendono 3 miliardi di pizze nelle pizzerie degli Stati Uniti. Che sono tante: il 17% di tutti i ristoranti americani. Tutta questa messe di numeri ne genera un altro: il giro d’affari della pizza negli Stati Uniti vale circa 35 miliardi di euro.
Ma non è pizza napoletana
Trovare nelle grandi città statunitensi pizze veramente napoletane, magari a ruota di carro come vuole la tradizione, è possibile. Merito dei nostri pizzaioli immigrati più di recente, che giocano una partita tutta in salita per rieducare i palati americani dopo un secolo di contaminazioni.
Anche barbare. Perché nelle pizze americane c’è troppo di tutto. La norma è l’eccesso di ingredienti. Anche smodato. A volte sono orge di proteine e grassi. La pizza hawaiana all’ananas nasce da questa idea lontana anni luce dal gusto italiano, al netto di qualche riuscito tentativo di sdoganamento.
Per tacere delle pizzerie intese come catene di fast food, fenomeno tipico della ristorazione americana, che rappresentano vere offensive alla genuinità del piatto partenopeo.
La reazione dei napoletani
Inevitabile la risposta dei napoletani. Anche e soprattutto sul profilo Twitter della città di Chicago, da dove è partito il tentativo di appropriazione indebita. I commenti non mettono in discussione l’orgoglio per la Chicago pie, ma riparliamone, cari napoletani, quando ne avete mangiata una. Però, sulla pizza, prima c’è sempre Napoli.
Come puntualizzato da Salvatore Esposito, il “Genny” della serie tv Gomorra. Con tono più garbato che minaccioso, una volta tanto.