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Vino
8 Novembre 2010 Aggiornato il 6 Aprile 2019 alle ore 21:05

Ama o non m’Ama (il Castello)

Amo come l'amore ama. | Non conosco altra ragione di amarti che amarti. (Fernando Pessoa) Debbo subito confessare: quando si parla di castello di Ama sono
Ama o non m’Ama (il Castello)

Amo come l’amore ama. | Non conosco altra ragione di amarti che amarti.
(Fernando Pessoa)

Debbo subito confessare: quando si parla di castello di Ama sono parziale. Lo dichiaro subito così non c’è margine di fraintendimento!

Castello-di-Ama-Louise-BourgeoisSono innamorato di questo borgo toscano, che sembra disegnato per quanto è perfetto. Adoro l’ospitalità proverbiale della casa, mai sopra misura ma attenta al più minimo dettaglio. Sono pieno di ammirazione per la coltissima collezione di arte contemporanea che in relativamente pochi anni sono riusciti a  creare, con passione e cultura rare: l’ammirazione poi sfora in invidia davanti all’apparizione del lavoro della Bourgeois, in un anfratto celato della bellissima cantina. Mi appassiona la loro linterpretazione del sangiovese, elegantissima e viva, scevra da ogni nota di surmaturazione: un vino di altitudine scolpito nei profumi e aromi dal pedoclima di questo spicchio di Toscana. Sono incantato per una adesione così totale e completa al concetto di terroir: il territorio è la vera ricchezza di Ama, tutelato e protetto con la convinzione che solo da questi terrazzamenti, da questo clima, da tutta questa bellezza nasca un vino straordinario.

Ma soprattutto sono innamorato di Lorenza Sebasti e di Marco Pallanti, una coppia di vita e lavoro che ha saputo forgiare una realtà bellissima, con il proprio amore e entusiasmo fino a farla diventare un unico. Due belle persone che mi onoro di annoverare tra gli amici.

Ogni volta che torno, non importa se per poche ore o giorni, tutto questo disegno mi è chiarissimo. Diventa anche il mio progetto e grazie alla loro capacità di coinvolgere non può fare a meno di diventare anche il mio obiettivo.

L’occasione dell’ultima visita è stata una di quelle iniziative che solo loro sanno pensare. Intorno ad un tavolo tre figure mito dell’enologia europea: Pierre-Henry Gagey, Angelo Gaja e Marco Pallanti. Come dire la personificazione di tre dei più straordinari climat del vino (borgogna, langhe e chianti), tre aziende che hanno fatto la storia: Gaja, Castello di Ama e Louis Jadot.

Tre fly di degustazione: il primo di bianchi di Borgogna, il secondo una verticale del Mitico Merlot di Ama l’Apparita, il terzo di grandi rossi della Côte d’Or. Un momento di piacere e riflessione sul vino e intorno al vino.

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Si inizia con quattro bianchi di borgogna, per descriverci un millesimo che Pierre-Henry Gagey ci descrive con una sola parola che dice molto charmant. È lui infatti a condurre la degustazione, parlandoci pochissimo di vitigni ma molto di climat e territorio. E’ un piacere sentirlo parlare con semplicità e naturalezza di concetti sulla bocca di tutti. Non so perché ma quando i borgognoni mi parlano di territorio, di tecnica ridotta al minimo, di conduzione biologica: non posso fare a meno di credergli. I concetti escono naturali e semplici dalle labbra anche di un gigante (oltre 150 ettari) come Jadot. Soprattutto mi colpisce un passaggio che salta di slancio tante polemiche: alla domanda su cosa ne pensasse della biodinamica, Pierre-Henry con semplicità e serietà dichiara che il 10% dei vigneti sono certificati e se le sue dimensioni fossero minori sarebbe certamente integralmente in regime di biodinamica, perché si sente molto vicino a quel modo di pensare l’agricoltura. Comunque naturali o gasati che fossero, i bianchi erano una delizia.

Per la precisione i vini della prima batteria erano:

Puligny Montrachet 2006, un vino già disponibile e piacevole. Proveniente integralmente da uve acquistate. Un bianco che ci stupisce con note intense di nespola e una nocciola seducente. Già pronto e bevibilissimo

Puligny Montrachet premier cru Folatières 2006, più ostico è complesso, ancora molto giovane ma già godibilissimo nelle sue note minerali e di pompelmo amaro.

Puligny Montrachet premier cru Clos de la garrenne 2006. Domaine du duc Magenta,Il più ostico della batteria, molto chiuso e tetragono. Mi colpisce la mineralità che promette.

Chevalier Montrachet grand crup Les demoiselles 2006, un bambino, ma di talento. Un vero fuoriclasse che nel tempo uscirà benissimo.

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Poi tocca ai Quattro Merlot di casa, quella vigna l’Apparita che tanti successi ha raccolto negli anni passati. Conduce Marco Pallanti, il padrone di casa. Con la consueta grazia e serietà che lo caratterizza, ci racconta di come lui e Lorenza abbiano un rapporto incerto con questo figlio tanto fortunato. Di come abbiano temuto che i tanti successi dell’Apparita oscurassero il progetto del sangiovese, per loro tanto importante. Dice, tra le altre, una cosa che mi fa tanto pensare e che voglio citare: “Bisogna andare a cercare nel bicchiere. Il vino come opera aperta, che si conclude solo nella fruizione”. Quanta verità e insegnamenti in queste semplici parole, ci sta tutta Ama, ma ci sta anche tutto il nostro modo di bere e di rapportarci con la bottiglia.

I Quattro millesimi in degustazione, sono unici e danno una lettura assai diversa di questo vino e della interpretazione particolare del merlot, che mi piace definire toscaneggiante. Tutti gli Apparita sanno sempre più di Ama che di merlot:

L’apparita 2007, ancora molto giovane. La trama tannica è dolce e suadente, anche se l’acidità è viva e intensa. I sentori tipici del merlot si vestono con un abito toscano

L’apparita 2001, una festa per il palato. Un bicchiere disponibile e godibilissimo. Mi colpisce la precisione millimetrica della maturità del frutto, portata al limite ma priva di ogni piccola nota di surmaturazione.

L’apparita 1992, Al naso è Molto evoluto e persino un poco fanè. In bocca migliora evidentemente. Il frutto è ben definito ma inizia a scolmare. Secondo me un vino da bere subito se lo avete in cantina

L’apparita 1988, stupefacente e vivo, malgrado il millesimo importante in bocca è piacevolissimo, persino fresco. Il frutto è esuberante e dinamico. Molto elegante e una trama tannica suadente.

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Si chiude nuovamente in Francia. Ora tocca ai rossi. Il climat di Chambertin. La descrizione si dilunga molto sulle caratteristiche geografiche di questo territorio. veniamo portati per mano per le colline della Côte D’Or, attraverso le tradizioni agricole e enologiche della borgogna. Un viaggio interessantissimo che ci fa capire come ci siano vini che hanno un’inizio e vini che hanno un’origine. Questi che assaggiamo qui hanno decisamente un’origine e quale origine… il terroir da cui vengono i più grandi vini rossi del mondo! Una notazione fatta en passant, senza troppo risalto, mi colpisce alla bocca dello stomaco: questi vini sono tutti vinificati nel medesimo modo e con la medesima tecnica per far emergere il più possibile le caratteristiche e le peculiarità dell’uva e del territorio. Parole sante che vorrei si facessero sempre più nostre in Italia, la tecnica è uno strumento che serve ad assecondare le possibilità dell’uva nel diventare vino, non un mezzo per ottenere un vino disegnato al tavolino.

I rossi sono:

Gevrey chambertin 1999, un borgogna didascalico nel suo naso non finissimo e nelle tipiche note di ferro e emoglobina. Peccato per il frutto un poco evoluto

Gevrey chambertin premier cru, Clos saint Jacques 1999, Mi colpisce molto: un vero borgogna come amo e apprezzo. Non enorme ma fine ed elegante, promette un invecchiamento magico.

Chapelle chambertin grand cru 1999, frutto leggermente evoluto, non scalpitante come vorremmo da un borgogna. Chiusissimo e poco disponibile, il frutto è evoluto e la concentrazione eccessiva

Chambertin grand cru, Clos de beze, signori e signore un mito! Molto integro e tipico. Esile e piacevole, profumi fini ed eleganti varietali. In bocca concentrato e di buona struttura. Ancora giovanissimo

Insomma una bellissima esperienza nello stile di castello di Ama, cantina che fa dell’eleganza la peculiarità più bella. Anche appuntamenti come questi ci fanno ben comprendere che lo stile è qualcosa che travalica il vino. Una sottile linea rossa che unisce luoghi, persone, storie, vite, terra e umori… sino a tramutarsi in liquido, nel sangue della terra.

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