Autem a Milano, doppia recensione del ristorante di Luca Natalini
In Porta Romana a Milano, il mio quartier generale, lungo la tranquilla via Lattuada, ecco Autem, il ristorante di Luca Natalini, che da subito ha incuriosito abitanti della zona e non e di cui vi avevamo informato all’apertura.
Come potevo io perdere l’occasione di provarlo, non una ma ben due volte? Sì, perché alla tavola di Autem ci si siede a pranzo e a cena, non solo per provare i differenti menu che Chef Natalini propone, ma anche per godere della diversa atmosfera di un ristorante che dà su una strada del centro di Milano, ma che se ne disinteressa, come sospeso su una nuvola.
Chi è Luca Natalini
Classe 1989, Toscano di Pescia in provincia di Pistoia, inizia la sua carriera giovanissimo a soli 14 anni, quando si trasferisce a Parigi per apprendere tecniche e segreti della cucina francese. La sua esperienza continua poi a Praga, Vienna e in Russia, dove rimane per ben 5 anni come supervisor generale di una compagnia di ristoranti presente in tutto il Paese. Si laurea all’Alma nel 2012, vince diversi premi e colleziona anche collaborazioni e sfide in tv.
Archiviata l’esperienza di Langhirano, che è stata travolta dal Covid, il 5 maggio del 2023 Natalini apre Autem Milano, al centro del capoluogo lombardo, in uno dei quartieri senza dubbio più romantici.
Se gli chiediamo come deve essere un piatto per avere successo lui risponde semplicemente e chiaramente “buono”. Non ama le infrastrutture Luca Natalini, non gli piace nemmeno chi dà un nome alle sensazioni, ai gusti, chi dice che una cosa deve seguire per forza delle regole precise per essere considerato qualcosa di riuscito. Per lui l’importante è che i piatti che escono dalla sua cucina siano semplicemente buoni.
Continuando nella lettura di questo articolo capiremo se è realmente riuscito nell’intento o meno.
Com’è Autem a Milano
Autem è sicuramente diverso, e manifesta questa sua estraneità alla maggior parte dei ristoranti milanesi già dall’ingresso. Appena varcata la porta a vetri ci si ritrova subito in cucina, a tu per tu con lo Chef Natalini e con la sua brigata. L’affaccio è ovviamente sulla prima sala del ristorante dove il legno predomina e insieme ai toni verdi delle pareti rende Autem accogliente come una casa. Effettivamente questo deve essere stato lo scopo di Natalini quando ha disegnato (eh sì proprio così) il suo locale.
La sala è perfetta per chi è interessato ai movimenti della cucina, ai piatti che escono uno dopo l’altro, allo chef che li finisce e li coccola un’ultima volta prima di chiamare il servizio.
Dalla prima sala ci si immerge in un secondo ambiente: la sala specchi. Due tavoli rotondi e un tavolo quadrato più intimo.
In questa sala il posto per un altro tavolo è occupato da un divano, come a dire che non c’è necessità di un altro coperto, ma forse più di un momento, di un po’ di tempo, di una chiacchiera in salotto.
In fondo troviamo un’ultima sala privata, ancora in allestimento ma già pronta per essere usata. Il luogo ideale per un business lunch, o comunque per garantire discrezione e riservatezza.
Quanto costa Autem Milano
Ad Autem Milano parlano gli ingredienti. Sono loro, con la loro palese supremazia, a decidere cosa si mangerà ogni giorno. È la natura che comanda, che riempie di piatti e di parole una carta bianca scritta a mano e consegnata ad ogni tavolo. Non ci è dato sapere se sia la stessa per tutti, e ci piace pensare di no.
È in questo concetto che forse trova posto anche una spiegazione sul nome Autem. In latino vuol dire “anche”, “inoltre”. Qui lo abbiamo omesso, ma accanto al nome originario del ristorante c’è un asterisco: Autem*. Qualcosa, quindi, che rimanda ad altro. Come a significare che non è finita lì, che c’è sempre un approfondimento, che non si chiude mai davvero un cerchio, nemmeno in un pranzo o una cena.
Pesce, carne, verdure, c’è tutto nel menu di Autem a Milano. Dalle materie prime più nobili a quelle più povere. In questa cucina non si spreca nulla. Anche il pesce segue il tempo della natura.
Una carta che cambia di continuo
Le soluzioni sono diverse. Per il menu alla carta, che cambia a seconda degli ingredienti a disposizione, abbiamo gli antipasti a 30 €, i primi dai 36 ai 40 € e i secondi dai 36 ai 56 €.
Sono poi disponibili 3 menu degustazione. Uno a 4 portate ( 80 €), uno a 6 portate (100 €) e l’ultimo a 8 portate (130 €). A pranzo, dal lunedì al giovedì, è disponibile un ulteriore menu: Convivium. Il nome stesso lo presenta, si tratta di un menu di condivisione. Prevede una portata di carne, una di pesce, un’insalata, una di fritto, un uovo, una di verdure e per finire frutta fresca di stagione. Il prezzo del Convivium è di 50 euro a persona. Acqua, caffè e coperto inclusi.
Noi, che di certo non ci facciamo intimorire, siamo andati ad assaggiare sia il menu Convivum che uno dei menu degustazione. In giorni diversi sia chiaro, siamo delle buone forchette, ma abbiamo un contegno.
Come si mangia: il pranzo
Le portate del menu Convivium arrivano tutte insieme al tavolo e sono tutte in condivisione. Andiamo per ordine e vediamo cosa ci è toccato, assolutamente al buio, quel giorno.
La precisazione da fare è che si tratta di piatti caldi e freddi, quindi non c’è un ordine in cui lo chef suggerisce di mangiare. Potete tranquillamente decidere se iniziare dai piatti freddi e passare poi a quelli caldi oppure il contrario. In questo senso una suggestione allo chef vogliamo darla. È possibile chiedere che siano servite prima le portate fredde e poi quelle calde? Così, noi l’abbiamo buttata lì.
Il vitello tonnato
Non sono nata a Milano e nemmeno al nord, ma ho mangiato con molto gusto il vitello tonnato di Autem Milano. I fanatici di questa pietanza forse penseranno che nemmeno esista se non è completamente ricoperto dalla salsa. A me invece è piaciuto proprio per questo. Avrei tenuto il piatto per me, ma eravamo in tre, mi è toccato essere non dico generosa, ma quantomeno educata.
Passiamo all‘insalata della piana, caco mela e condimento affumicato. Perfetta anche per chi desidera iniziare proprio da qui. Profumatissima, nella giusta dose, e qui ognuno ha il suo stra meritato piattino.
Zucca e zucca
L’immagine è così evocativa che a concentrarsi bene probabilmente riuscirete a sentirne l’odore. Sono i fiori di zucca ripieni di una salsa allo spinacino e fritti. Insoliti, niente ricotta, niente mozzarella, niente acciughe. Un fritto da manuale.
Passiamo al carpaccio di dentice e condimento all’italiana. Da mangiatrice seriale di pesce crudo l’ho apprezzato molto, il suo condimento era gentile ed allo stesso tempo deciso per esaltare il pesce. Non si discute certo poi sulla freschezza della materia prima.
Qui una pietanza calda: l’uovo alla gentiluomo, funghi trifolati e cremoso di patate di Mont Saint Michel. Super goloso.
Mi sento molto soddisfatta per le foto che ho fatto, perché mi riportano esattamente al momento in cui ho assaggiato i piatti, a quella giornata che iniziava ad annunciare il freddo di Milano, e al calore di un pasto caldo. Proprio come questa crema di zucca, zucca alla brace coi suoi semi tostati, olio di zucca e olio di n’duja (e qui le mie origini calabresi ringraziano moltissimo).
Concludiamo con la frutta di stagione e una minima pasticceria. Mi sento di dire che la dolcezza di questa frutta, che non richiede qui davvero nessuna abilità dello chef, la dice lunga sulla ricerca della materia prima di Autem Milano.
La cena da Autem a Milano
Sgomitando tra le varie prenotazioni e la waiting list sono riuscita ad ottenere due posti a cena qualche settimana dopo. Parliamo di pochi giorni fa e ho quindi il ricordo freschissimo.
Finalmente posso provare il menu degustazione. Scelgo la via di mezzo, quello di 6 portate. Chiedo però allo chef una piccola aggiunta: i rossetti fritti. Sento proprio di meritarmeli quella sera. Porzione che è arrivata oltretutto molto abbondante. Evidentemente sono entrata in empatia con lo chef, che avrà percepito anche lui i miei ultimi mesi difficili e la necessità di coccole culinarie fatte bene.
Gli snack iniziali aprono lunghe e appetitose strade al nostro menu.
Cracker con spinacino selvatico
Crosta di parmigiano soffiata
Tartelletta con crema di latte e barbabietola marinata
Brisee con parfait al fegatino di piccione
Waffle con champignon trifolati e burre blanc.
Per iniziare
La prima portata, che da qui potrebbe sembrare una tisana alla fragola, in realtà ci parla di pesce. Gamberi rosa di Santa Margherita con lardo di colonnata, olio di sesamo affumicato e acqua di pomodoro fermentata.
Una bella coccola per iniziare. Il consiglio è quello di mangiare tutto insieme, l’acqua, il gambero e il lardo, per bilanciare l’aspro e il dolce e ottenere un gusto perfettamente equilibrato.
È il turno di uno dei piatti Signature di Autem Milano e dello Chef Natalini: lumache cotte come una bourghignonne e cremoso di patata di moint Saint Michel.
Le lumache, parliamoci chiaro, non piacciono a tutti. Ammetto che non è sicuramente un piatto che mi viene da ordinare al ristorante, nemmeno se sono in Francia e me le propongono fritte (per dire). Eppure signori e signori, che possa essere messo agli atti, questo piatto mi ha convinta così tanto da metterlo sul gradino più alto del podio della mia personalissima classifica.
Proseguiamo con un’insalata di anguilla affumicata al ciliegio e condimento affumicato. Anche l’anguilla non è un pesce da tutti, ma io che non potrei vivere certamente sottacqua senza rischiare un’indigestione, la amo molto. Buonissima con l’insalatina. Se proprio devo trovare un difetto sono qui anche per questo: la colatura di olio di anguilla era forse eccessiva, ho salvato la mia camicia per miracolo. Credo, tuttavia, sia una cosa risolvibile con qualche accuratezza. Anche questo tra i piatti Signature di Chef Natalini
La famosa pasta in bianco
Ed ecco finalmente la famosa pasta in bianco. A vederla sembra uno spaghetto appena impiattato e a cui, ingiustamente, hanno negato il condimento. Il gusto smentisce lo scivolone (quello però giustissimo) degli occhi. La pasta infatti è cotta in un decotto di alloro e mantecata con vermouth alle prugne e aceto di mele. Come direbbe lo chef Natalini: buona!
Alla pasta in bianco seguono i verdissimi ravioli del plin con borragine e ortica , finferli trifolati e salsa al gorgonzola affinato nell’uvetta. La salsa al gorgonzola viene portata in una caraffetta e lasciata al tavolo, con il caldissimo suggerimento di fare i maleducati (o questo è quello che vogliono farci credere i poteri forti) e fare la scarpetta. Non ho un carattere così deciso da sorvolare sui consigli dello chef di Autem Milano, quindi ho eseguito. Nemmeno questa volta sono stata giudicata.
Il piccione e i dolci
Qui vorrei proprio lanciare un sondaggio di quelli che vanno tantissimo su Instagram: di cosa si tratta? Ve lo dico subito: piccione cotto in carcassa, servito con un’insalata di caco mela e fiori di tagete e sugo d’arrosto. Volete che ripeta il fatto che anche il piccione non è che ce lo servano tutti i giorni a tavola? Eppure in 10 giorni l’ho mangiato due volte e l’ho trovato gustoso sempre. Preferisco il cosciotto alla parte del petto e ho quasi corrotto, senza risultato, il mio compagno di cena per un baratto che trovavo dignitoso, ma niente. Di certo non è tornato in cucina.
Dopo il pre-dessert col sorbetto ai cachi e acqua di pompelmo al timo , olio, sale e pepe, arriva un dolce che ho amato molto, seppure non fosse al cioccolato (cosa che pretendo spesso). Una sponge cake morbida alla banana fermentata. Il claim è sempre quello: buona!
A conclusione della cena frutta fresca su ghiaccio, piccola pasticceria, cioccolatino all’olio, gelee al frutto della passione calabrese (a parer mio l’annona, un frutto importato a fine 800 dal Sud America), biscottino al limone
e caldarroste.
A conclusione di questo articolo invece: bravo chef, bravo perché se volevi costruire un posto che avesse il sapore di casa ci sei riuscito, se volevi ampliare gli orizzonti e i palati dei tuoi ospiti ci sei riuscito, e se volevi che ogni singolo piatto fosse buono, sì, ci sei riuscito, e ti dirò di più, forse ancora prima di provarci.