Spaghetti con le vongole: la ricetta scientifica spiegata in 5 punti
Il must di ogni tavola che si rispetti è spaghetti con le vongole, spaghetto a vongole per i cultori di cose meridionali.
E la nostra web serie La Ricetta Scientifica si arricchisce di questo piatto facile da pronunciare e difficile da fare come il dio del mare comanda.
Un vero piatto 4 stagioni. Ineludibile a Natale, indispensabile a Ferragosto e in tutte quelle date del calendario che vi fanno venire voglia di mare.
Ricordarsi di spurgare le vongole per liberarle dalla sabbia è un dato penso acclarato per tutti.
Fonte di discussione è invece l’aggiunta o meno dei pomodorini (a Napoli c’è chi dice che devono essere “rosa”) o anche del peperoncino piccante (che però a me piace; senza eccedere, chiaramente, che potrebbe sovrastare il tutto).
Neanche provo poi ad intromettermi tra chi dice “spaghetti con le vongole” e chi “spaghetti alle vongole”: ricordo solo che a Napoli si suole dire “spaghetto a vongole”, con un sound che trasforma il tutto come un’unica parola, ovverosia “spaghettavvongole”.
Che sottende una filosofia di vita, sia chiaro.
La ricetta scientifica degli spaghetti alle vongole
Ingredienti (per 4 persone)
500 g di spaghetti
1 kg di vongole veraci
3 spicchi d’aglio vestito schiacciato
1 peperoncino (opzionale)
80 g olio extravergine di oliva + 20 per la mantecatura
1 mazzetto di prezzemolo tritato
Sale e pepe qb
1. Come scegliere le vongole
Scientificamente le vongole (come le cozze e le telline) sono molluschi appartenenti alla classe dei bivalvi e alla famiglia delle Veneridae (o Veneridi).
Molluschi sono anche le lumache di mare o le patelle (monovalvi o gasteropodi) e i cefalopodi, come seppie, calamari e polpi, ma in questi la conchiglia è interna e inclusa nelle carni.
E sappiate che il termine “vongole” raggruppa numerosi generi e circa 400 specie differenti in tutto il mondo.
Quando però si entra in pescheria credo possa essere utile saperne un po’ di più.
In termini scientifici si chiama Venerupis Decussata o Tapes decussatus, è una vongola autoctona del Mediterraneo, ed è quella che dovrebbe essere l’ingrediente principale del nostro piatto, la vongola verace, che presenta due sifoni, lunghi e separati, popolarmente chiamati corni, che il mollusco usa per filtrare l’acqua.
Pregiata, con gusci più chiari, dalla zigrinatura sottile, “carni” tenere e gustose, molto cara.
E’ una vongola che si pesca e si alleva (con ovvie conseguenze sulla salinità).
E molti pensano che in Italia si vendano solo vongole veraci autoctone.
Peccato non sia così.
In Italia è consentita la denominazione “verace” anche per un’altra vongola, molto diffusa commercialmente, che però di verace ha ben poco: la Venerupis Philippinarum, che presenta due sifoni più corti e uniti per quasi tutta la lunghezza, gusci dai colori vivaci, zigrinatura pronunciata, meno tenera e gustosa, più economica.
Diffusissima, originaria dell’Oceano Indiano e del Pacifico venne introdotta in Italia all’inizio degli anni ’80, per la precisione nel mare Adriatico, come vongola facile da allevare, che si adattava molto bene a diverse salinità dell’acqua, con un periodo riproduttivo doppio rispetto alla verace, resistente alla poca ossigenazione dell’acqua, con un ritmo di crescita molto più veloce (in due anni raggiunge la dimensione che l’altra raggiungerebbe in tre).
Ed è così che gli appassionati rivolgono le loro attenzioni verso la Venus gallina o Chamelea gallina, la vongola comune, disponibile tutto l’anno e pescata con le “vongolare”, motopescherecci dotati di draga idraulica o turbosoffiante che penetra nei fondali.
Chiamata in alcune zone dell’Adriatico “poveraccia”, è ottima in tutti i piatti della tradizione mediterranea.
È quella che in alcuni mercati adriatici vede chiamare lupino la pezzatura più piccola.
Meno interessante ma piuttosto diffusa in Laguna un tipo di vongola molto simile a quella comune e commercializzata insieme ad essa, è la Vongola veneziana o vongola gialla (Venerupis aurea), detta in dialetto “Longòn”.
Ho lasciato alla fine il frutto di mare che preferisco, molto considerato dagli appassionati, anzi addirittura il preferito. Parlo del lupino (Dosinia exoleta, Venux exoleta), che è più piccolo della vongola verace, scomodo da sgusciare, ma economico.
Però il lupino è molto più saporito della vongola verace di origine asiatica.
Sarà perché è un prodotto della pesca, ma tanti dicono “si sente molto di più il mare”, ed io non posso che concordare: non è per caso che quando li trovo in pescheria li preferisco ad occhi chiusi.
2. Come togliere la sabbia dalle vongole
Le abbiamo scelte, verificando prima di tutto che fossero vive, ovvero con il guscio ben chiuso o solo leggermente aperto, che basta sfiorarlo con un dito per vederlo serrarsi all’istante, segno che il mollusco all’interno è ancora vitale.
Sia chiaro, in pescheria arrivano sottoposte a controlli preventivi di sicurezza, quelli praticamente presenti lungo tutto il percorso che porta i molluschi fino a noi consumatori.
Percorso che inizia con la raccolta dei frutti di mare nelle zone di produzione, classificate in base a dei controlli periodici, distinte nelle classi A, B e C.
I molluschi raccolti in zone di classe A possono andare direttamente al consumo umano, passando per un centro di spedizione.
Nel caso di zone classe B il prodotto deve essere destinato ad un centro di depurazione per il trattamento.
Infine, nel caso di classe C i molluschi devono essere stabulati per almeno due mesi.
Lasciando le specifiche ad altro post (voi annotate tutto), ricordatevi che i nostri amati frutti di mare devono essere venduti solo e soltanto in queste due modalità:
- in apposite confezioni (in retine di nylon, cassette di legno) destinate ad essere cedute come tali al consumatore
- sfusi, prelevati dal venditore da grosse confezioni, in genere di circa 5/10 kg, e comunque mai tenuti immersi in acqua.
Ricordandovi dell’obbligo dell’etichetta completa di tutte le informazioni, con tracciabilità chiara in caso di acquisto di confezioni frazionate, vi butto lì il classico consiglio dell’esperto, Sandra Ciciriello, già socia del ristorante Alice di Milano e buyer nei più importanti mercati del pesce: “Se c’è stata una mareggiata, meglio aspettare qualche giorno a comprarle perché, se i fondali sono stati smossi, le vongole possono risultare più ricche di impurità”.
Insomma, abbiamo il problema di doverci accertare di aver liberato le nostre vongole da tutti i rimanenti sedimenti, sabbia in primis.
Poche le indicazioni, con un esame visivo “sommario” per eliminare quelle rotte, aperte, o stranamente sporche, insomma quelle che sarebbe meglio eliminare prima di far fare loro un “bagnetto” in acqua e sale (18-20 g/litro) per un periodo variabile dall’ora a poco meno di 2.
Attenzione, inutile prolungare, il rischio è quello di renderle troppo sapide.
Punto d’attenzione gastrofighetto: se l’acqua del vostro rubinetto è troppo “clorata” o proviene da tubature “antiche”, non disdegnate l’utilizzo di acqua minerale naturale.
Devono restare sospese, per evitare di toccare il fondo del recipiente. Altrimenti la sabbia come esce rientra. Basta uno scolapasta in una ciotola più grande, oppure un piattino da frutta capovolto sul fondo della ciotola.
Sarebbe meglio, ma in casa potrebbe risultare difficile, non ammassarle, usando una teglia ampia e profonda, o al meglio, almeno un paio di boule. Così si aprono leggermente, “lavorando” meglio.
Le dobbiamo poi sciacquare, sotto l’acqua corrente, strofinandole tra di loro per un nuovo esame, per arrivare alla “prova del nove”, quella del piatto: le facciamo cadere una ad una. Quelle da cui viene fuori anche solo un granello di sabbia vanno eliminate.
Un ultimo consiglio. Se proprio le dovete conservare, lasciatele nella retina stringendola il più possibile, avvolgendole poi in un panno umido e riponendole in frigo, possono essere conservate per 1-2 giorni a temperature tra 0 e 4 gradi.
Se le vongole sono strette le une alle altre, non avranno fisicamente lo spazio per dischiudersi.
Così, manterranno all’interno l’acqua che è loro necessaria per vivere.
3. Come scegliere la pasta
Già, la pasta. Esistono sostanzialmente due scuole di pensiero: quella diciamo “modernista”, caratterizzata dalla mantecatura esasperata, con la pasta tenuta “in piedi” da alluvionali quantità d’amido, da mangiare rapidamente; e quella “classica”, ovvero con moderate quantità d’amido, la pasta abbastanza scivolosa (sciuliarella), che personalmente in questo caso preferisco.
Da lì la mia scelta logica, ovvero l’uso di una pasta di tipo industriale (ma di qualità, come la De Cecco), che rilascia sicuramente meno amido rispetto alla nostra amata pasta di Gragnano IGP, che in alcune “edizioni” artigianali ne rilascia misure davvero imponenti.
Detto questo, e ricordando che della composizione dell’amido ne avevamo parlato in occasione della nostra pasta, patate e provola , prima di “complicarci troppo la vita” ricordo che il prof. Bressanini quando parla della cottura della pasta, ricorda che tutti i processi dipendono dalla temperatura.
E più la temperatura aumenta e più velocemente si verificano i processi che ci interessano.
Come la gelatinizzazione dell’amido che è quel fenomeno in cui i granuli di amido assorbono acqua e formano un gel. Questo avviene tra i 60°e i 70°.
Senza andare troppo “a scuola di chimica”, sappiate che a queste temperature i granuli di amido, idratandosi progressivamente, si gonfiano, non sono più cristallini e e si legano con l’acqua presente. Per capirci è quando l’acqua di cottura si “intorbidisce”.
A cottura ultimata, semplificando ulteriormente, la trasformazione in gel che otteniamo con il riscaldamento ci viene tolta, in parte, dal calare della temperatura, che ripristina la struttura con conseguente “ricristallizzazione o retrogradazione” dell’amido.
Da dire che la struttura dell’amido non torna come in origine, ma assume una posizione intermedia (la pasta cotta ed al dente).
Però non tutti gli amidi sono uguali. E amidi come quello del frumento gelatinizzano con più difficoltà e riscristallizzano più facilmente, rispetto ad altri.
A permettere ciò è la quantità di amilosio, 28%, presente (l’altro componente dell’amido è l’amilopectina per il 72%).
Insomma, se è così facile ottenere un pasta “azzeccata”, dovremo cercare di limitare l’apporto di amido, cosa che faremo in seguito con una particolare tecnica che potremmo definire impropriamente “a mezza cottura”.
Resta da sceglierla, la pasta: per me, come molti chef dicono, la pasta perfetta per le vongole sono i vermicelli, leggermente più spessi degli spaghetti, meno degli spaghettoni.
Sia chiaro, se trovate solo gli spaghetti non disperate, il piatto verrà buono lo stesso.
Semmai, come i veri esperti sanno a memoria, utilizzare le linguine, contraddistinte per la sezione lenticolare, e di conseguenza con le estremità più sottili, potrebbe presentare il conto al momento di mantecare.
Questo accade perché mentre gli spaghetti hanno un diametro tale che fa si che si cuociano in modo uniforme, le estremità più morbide delle linguine rilasceranno più amido, per un effetto ancor più mantecato, che ricordo, qui non è quello che cerchiamo.
4. Come aprire le vongole
Arriviamo, dunque, all’apertura (cottura) delle vongole, per certi versi semplicissima.
Piccola premessa: alcune versioni della ricetta prevedono, per eccesso di sicurezza, l’apertura delle vongole senza alcun condimento, al massimo poca acqua.
Questo perché spesso, nonostante la spurgatura iniziale, potrebbero contenere ancora sabbia.
Noi qui seguiremo invece lo schema “classico”, provvedendo a “filtrare” successivamente l’intingolo ottenuto dalle impurità presenti.
In una larga padella, meglio ancora in una casseruola ben capace, bassa e larga (le conchiglie non dovranno stare ammassate), versiamo 4-5 cucchiai d’olio extravergine d’oliva, due spicchi d’aglio schiacciati e un pezzetto di peperoncino fresco.
Il fuoco, manco a dirlo, basso, così rosoliamo lentamente l’aglio.
Poi dipende dal gusto personale e, stando attenti a non farlo bruciare, possiamo arrivare quasi a brunirlo per avere un aroma più pronunciato, che in questa ricetta non sta per niente male.
Oppure possiamo aggiungere subito le vongole.
In ambo i casi facciamo star sul fuoco a rosolare giusto un paio di minuti, per poi aggiungere l’equivalente di un mestolo d’acqua.
Siamo al momento cruciale: copriamo con il coperchio, ed iniziamo a controllare spesso scoprendo e ricoprendo perché le vongole vanno tolte dalla pentola a mano a mano che si aprono, operazione che con un paio di pinze da cucina ed una scodella diventerà agevole.
Ricordatevi che devono cuocere e non stracuocere altrimenti diventeranno gommose.
A questo punto non ci resta che filtrare il liquido di cottura ottenuto, operazione fattibile utilizzando un colino protetto con una garza o un panno di cotone, oppure con il metodo Cannavacciuolo (l’Antonino nazionale): inclinando la padella a 45º versiamo lentamente in un altro recipiente il liquido, l’eventuale sabbia e le altre impurità resteranno depositate sul fondo, che ripuliremo.
Una nota scientifica: sappiamo che l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), al fine di evitare rischi per la salute (come l’epatite A) consiglia di indicare nell’etichetta di tutti i molluschi bivalvi la dicitura “da consumarsi previa cottura”, anche se non fornisce indicazioni sulla durata e sulla temperatura da utilizzare.
A tale proposito, è di poco tempo fa uno studio dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, che i più curiosi possono leggere per esteso, il quale indica nella cottura a una temperatura di 100°C per 2 minuti in seguito alla completa apertura delle valve di tutte le vongole come sufficiente a inattivare completamente il virus dell’epatite A nelle vongole infettate sperimentalmente.
È da tenere presente che non è stato aggiunto nessun liquido di cottura proprio per effettuare gli esperimenti nella peggior condizione possibile dal punto di vista della trasmissione del calore.
Si può dunque supporre che in presenza di acqua, olio o sugo la temperatura necessaria all’apertura di tutte le vongole venga raggiunta più velocemente (con la classica “schiumetta” che si forma in padella ad indicare empiricamente la cottura corretta).
Pressoché analoghi risultati (bollire il liquido di cottura per 2 minuti) si erano ottenuti in precedenza in occasione di studi sulla disattivazione del Norovirus.
5. Come preparare lo spaghetto a vongole
Dove eravamo rimasti? Ah sì, stavamo sgusciando le vongole. Perché è così che va fatto, al massimo ne conserveremo qualcuna “intera” a mo’ di decorazione.
Sappiate che un tempo la presenza dei gusci serviva ai ristoratori a garantire ai clienti che si fosse in presenza di vongole fresche e non decongelate.
Ed io, che ho avuto modo di vivere la cucina anni ‘80, pur lasciando massima libertà a chi prepara il piatto, ritengo che ad oggi, sia a casa che al ristorante, questo lavoro un po’ noioso vada fatto.
Non c’è cosa peggiore al mondo d’aver perso tempo a sgusciare le vongole (o a togliere gusci vuoti dal piatto) per poi mangiarle con la pasta fredda, o peggio “incollata”.
Una piccola accortezza: i frutti di mare man mano che vengono sgusciati li conserveremo in una fondina che copriremo con della pellicola per non farli asciugare.
Punto d’attenzione: dopo la cottura, scartiamo quelle che non si sono aperte.
Riprendiamo quindi la stessa padella di prima, e mettiamo su anche la pentola per bollire l’acqua.
Senza seguire il prof. Bressanini questa volta, insomma nessuna cottura “fuori dagli schemi” come avevamo fatto con la nostra cacio e pepe scientifica.
Piuttosto non saliamo eccessivamente l’acqua. E “caliamo” la pasta.
Mettiamo altro olio (4-5 cucchiai), l’aglio, ancora un pezzetto di peperoncino fresco e quel liquido di cottura precedentemente filtrato. Aggiungiamo anche qualche gambo di prezzemolo spezzato con le mani.
Piccolo segreto da chef: prendo un mestolo dell’acqua dove sta cuocendo la pasta e la uso per “sciacquare” i gusci vuoti delle vongole. Dopodichè filtro il liquido ottenuto e lo aggiungo al condimento già sul fuoco.
Non superiamo i 5 minuti (ovvero non andiamo oltre la metà cottura della pasta), la scoliamo, conservando l’acqua di cottura, e la versiamo nella padella con il nostro intingolo, per poterla “risottare”, aggiungendo se necessario, un po’ di acqua di cottura.
A cottura ultimata non ci troveremo mai di fronte ad uno spaghetto appiccicoso, vuoi per la precedente parziale cottura in acqua, vuoi per la tipologia di pasta utilizzata. Dovremo però completarla.
Fuori dal fuoco, eliminiamo i gambi del prezzemolo e gli spicchi di aglio, aggiungiamo le vongole, il prezzemolo tritato, un “filo” d’olio a crudo, un pizzico di pepe macinato se piace, e gli spaghetti sono pronti.
Buon Appetito!
La ricetta scientifica spiegata in 5 punti
Cacio e pepe
Pasta, patate e provola al forno
Ragù napoletano
Papaccelle ‘mbuttunate
Focaccia messinese
Risotto alla parmigiana
Pasta e fagioli
Cartellate pugliesi
Tortelli di zucca
Pastrami di manzo
Cassata siciliana