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14 Marzo 2020 Aggiornato il 14 Marzo 2020 alle ore 15:29

Coronavirus a Roma. Proloco Trastevere chiude il delivery per “esasperazione”

Un caso di interpretazione errata delle norme anti-coronavirus che a un noto ristorante di Trastevere è costata la chiusura.
Coronavirus a Roma. Proloco Trastevere chiude il delivery per “esasperazione”

Te lo do io il delivery! All’indomani della pubblicazione del decreto anti-coronavirus dell’11 marzo 2020, per capirsi quello in cui si emanavano le ‘ Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale” (di cui qui trovate il testo completo) quello che a molti ristoratori è sembrato un ragionevole compromesso per evitare di interrompere del tutto l’attività, in qualche caso si è rivelato una terra di nessuno, in cui far valere l’interpretazione personale.

E’ successo a diversi esercenti romani, che si sono sfogati su Facebook, con modalità diverse. C’è chi, come è accaduto a Legs (il regno del pollo fritto all’italiana di Centocelle) ha dovuto subire oltre all’intimazione a chiudere per motivi abbastanza fumosi (“disparità dei locali” qualunque cosa questo voglia dire) in modo aggressivo (“urla e minacce“) nonché in completa assenza di rilascio di uno straccio di verbale, salvo poi chiarire tutto il giorno successivo e tornare ad operare come era suo pieno diritto.

Ma c’è anche chi si è vista entrare nel locale, chiuso al pubblico, una pattuglia della Municipale che ha addirittura minacciato di mettere i sigilli all’attività. “Era sera, orario di cena, e noi stavamo operando in regime di chiusura, come ha ordinato il Presidente Conte, quando si sono presentati dicendo che eravamo in violazione dell’ordinanza“, ci ha spiegato Elisabetta Guaglianone, di Proloco Trastevere, osteria e pizzeria con focus sulle specialità regionali provenienti da piccole produzioni di filiera, da corta a cortissima. “In ottemperanza alle misure prese dal Governo abbiamo ridotto il menu al solo reparto pizzeria e ci siamo attrezzati per la consegna a domicilio, utilizzando le piattaforme più note“. Il decreto infatti, consente il delivery “nel rispetto delle norme igieniche”, che giustamente mirano a evitare improvvisazioni pericolose in un settore delicato come quello alimentare.

Stavamo lavorando internamente – continua Elisabetta – con la porta chiusa, ma non sprangata, per poter effettuare la consegna ai rider che di volta in volta venivano a ritirare gli ordini, e questa cosa non è piaciuta all’agente della Municipale, che non ha voluto sentire ragione e ha chiamato altri vigili per apporre i sigilli. Per fortuna i suoi colleghi (sono diventati sei in tutto) l’hanno presa in disparte, e quando è tornata è scesa a toni più pacati. Ma ci ha comunque fatto il verbale per, secondo lei, violazione dell’articolo 650 del Codice Penale“.

L’articolo in questione è una delle cosiddette “norme in bianco”, perché non prevede una casistica precisa, ma recita testualmente: “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità (1) per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene (2), è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato , con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro (4)”.

L’unico riferimento che riporta il verbale è al decreto del Presidente Conte“, quello emanato l’11 marzo e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 12, ed erroneamente datato 10 marzo sul verbale; il precedente è del 9 marzo, pubblicato il 10. “Proprio quello che legittimava la nostra attività. Non c’è stato modo né di spiegarsi né di far valere le nostre ragioni. Mentre provavamo a ragionarci abbiamo dovuto interrompere l’accettazione degli ordini che stavano arrivando dalle piattaforme delivery, in venti minuti avevamo scontrini per 200 euro. Che non è poco, anche se non sono somme tali da coprire le perdite di questa quarantena. Volevamo semplicemente mantenere un servizio per i nostri clienti, che si sono dimostrati solidali e vicini. E invece non potremo farlo, abbiamo deciso di chiudere per tutto il periodo, perché nessuno ci assicura che questa storia non si ripeterà, e senza una certezza di poter lavorare è inutile anche alzare la serranda“.

Piu che il virus, poté l’arbitrio: va bene che le norme sono state varate in fretta e furia per fronteggiare (giustamente) un’emergenza e soprattutto scongiurarne una peggiore. Ma qualche precisazione forse sarebbe il caso di farla circolare, e perché no, anche per mettere finalmente ordine nella giungla delle piattaforme delivery, che diverse fonti sostengono aver addirittura aumentato le commissioni (fino al 35%) e la durata minima dei contratti di adesione (1 anno) approfittando dell’emergenza.

Sarebbe un gesto importante per fugare i dubbi di chi deve far rispettare le regole e tutelare il più possibile un settore, per il quale le previsioni economiche non sono per niente rosee.

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