Coronavirus e ristorazione. Cosa fare per uscire dalla crisi il 1 settembre
L’idea per uscire dall’emergenza Coronavirus l’ha lanciata Giovanni Cagnoli dalle colonne del Corriere della Sera.
Cagnoli è presidente di Carisma, holding di 14 aziende con oltre 300 milioni di fatturato e oltre 1.000 dipendenti.
La sua proposta parte dall’osservazione dei dati di contagio in Italia e negli altri Paesi dove si fanno tanti tamponi. Il contagio si distribuisce in tutte le fasce d’età, ma sotto i 50 anni il tasso di mortalità in assenza di patologie pregresse è molto vicino allo zero.
Tra i 50 e i 60 anni sale e più di quanto sia (sotto) stimato dall’Istituto di Sanità con 50.000 casi. In base ai dati raccolti in alcuni Paesi europei, il numero di infettati potrebbe essere compreso tra 1:400 e 1:600, cioè in Italia ci sarebbero circa 2 milioni di contagiati, moltissimi in maniera inconsapevole.
Le stime se il virus si sviluppasse al Sud con la stessa intensità del Nord sarebbero preoccupanti.
La conformazione delle aree dei focolai spinge a pensare che sia inutile parlare di un picco generalizzato così come sarebbe irrealistico comprimere i servizi essenziali di cui l’agroalimentare interessa chi legge questo è uno dei motori dell’economia. Impossibile mettere in quiescenza prolungata alimentari, sanità, elettricità, rifiuti, comunicazioni, logistica annota l’autore.
Cui aggiungiamo la riflessione che la Cina ha chiuso totalmente, ma non l’intera nazione bensì una regione per quanto grande e popolata. In pratica, il resto del Paese ha continuato a produrre per sostenere l’impatto di emergenza sanitaria ed economica degli altri abitanti costretti all’isolamento. Noi non abbiamo potuto fare lo stesso. Ed è una grande differenza.
Non mettere in quiescenza una parte del motore complica le cose perché attività vuol dire altre occasioni di contagio.
Cagnoli è convinto che si possa fare diversamente e non aspettare passivamente il giorno del picco. “Per ridurre i casi giornalieri in Italia a 100 o 200 da questi livelli occorrerà ancora del tempo forse fino a metà o fine del mese di maggio. Inutile illudere gli italiani”.
La sua ricetta quindi prevede di distinguere la popolazione italiana in tre fasce d’età.
- Fino a 55 anni, verde.
- Da 55 a 65 anni, gialla.
- Oltre 65 anni, rossa.
Per i cittadini in fascia rossa, isolamento e misure di protezione drastiche con la consegna a domicilio della spesa.
Per la fascia 55-65, rientro graduale al lavoro in tempi dilazionati.
“Fino a 55 anni tempistica certa e dichiarata di ritorno graduale all’attività”.
C’è anche un timing.
- 6 aprile, riapertura delle aziende (suppongo, graduale).
- 14 aprile, cioè dopo Pasqua, apertura definitiva.
- 21 aprile apertura di negozi, bar e ristoranti con l’obbligo di rispettare la distanza interpersonale.
- 2 maggio, eliminazione delle limitazioni di spostamento e riapertura delle scuole.
Un calendario che dovrebbe tenere conto delle possibili fluttuazioni del contagio nelle diverse aree del Paese per prevedere azioni correttive se ci fossero scostamenti significativi rispetto alle previsioni.
Necessario un programma di sostegno alle aziende e ai privati con un piano di “back stop” dello stato. In pratica congelare gli oneri, garantire apertura di credito rapida, sostenere il reddito dei lavoratori. Uno stop che costa 300 miliardi da ripartire su tutti i soggetti attivi che sarebbero molti di più adottando una politica di riapertura in grado di vedere tutti pronti sulla linea di partenza il 1 settembre 2020.
Perdite di aziende, uomini, lavoratori significherebbe ripagare comunque un debito con forze minori. Per Cagnoli vale molto più azzeccare subito la cura all’80-90% che aspettare due mesi e poi fare giusto al 95%.
Una teoria che chiaramente sottolinea come sia impossibile soppesare allo stesso modo salute, economia, occupazione.
E anche le diverse modalità di risposta tra settori di produzione e attività commerciali pongono interrogativi sulle possibilità concrete di attuazione di un’apertura in “zona arancione”. Per l’industria rispettare una distanza interpersonale e adottare Dispositivi di Protezione Individuali appare ben più che ipotizzabile.
Ma chi andrebbe mai in un ristorante o in una pizzeria con tutti protetti da mascherine e guanti con distanze da mantenere?
Probabilmente andrebbero ripensate le modalità di produzione in cucina, ai forni e nei laboratori e quelle di servizio in sala.
- Niente file davanti ai locali
- obbligo di prenotazione e di rispetto degli orari
- tempi certi e limitati di occupazione dei tavoli,
- nuovi layout degli spazi spesso progettati per sfruttare la massima capienza
- linee di cucina semplificate e maggiore assemblaggio dei piatti con ingredienti preparati in condizioni di lavoro solitario
- conseguente cambio dei menu con limitazione di piatti espressi e condimenti fuori fuoco,
- nuovi packaging in grado di reggere procedure di sanificazione al termine della catena di trasporto (e relativa messa in conto di impatto ambientale)
- self service da carrello al tavolo
- casse automatiche
- modalità contactless generalizzate.
Una sfida ardua che cambia di molto il concetto di piacere e di esperienza con il relativo storytelling che ha animato fino a un mese fa la comunicazione degli addetti ai lavori.
Eravamo passati dal nutrirci al divertirci e dovremo ritornare al mangiare diversamente rispetto a casa o proprio a casa.
Un cambiamento non da poco che taglia trasversalmente tutti i tipi di cucina senza superiorità di alto o basso, di innovazione o di tradizione.
Un atteggiamento che potrebbe portare alla rivalutazione non emergenziale del food delivery.
La consegna a domicilio di cibi già pronti, possibile anche con l’alta cucina, porterebbe alla ridefinizione degli spazi di lavoro, produzione e consumo.
Non più tanti ristoranti, pizzerie, pasticcerie, ma grandi superfici condivise da più operatori in zone che favoriscano la logistica di trasporto porta a porta. Luoghi dove produrre piatti, pizze, dolci in ambienti più facilmente controllabili e sanificabili. Con applicazioni trasferite dal mondo “di prima” come gli show cooking per seguire la preparazione della cena che arriverà a casa su mezzi e con modalità adeguate.
Ma perché direte voi, non finirà mai la possibilità di contagio e non riusciremo a debellare il virus? La speranza di un vaccino, ci dicono gli esperti, è alla portata delle nostre conoscenze. Ma è il fattore tempo e le conseguenze economiche che possono mutare lo scenario e i nostri comportamenti. Più attenti alla salvaguardia personale e forse, si spera, a quella collettiva.
Poi è chiaro che la speranza è mangiare tutti insieme il casatiello a Pasqua.
[Link: Corriere della Sera. Immagini: Sony Pictures Animation, Scatti di Gusto]